Lorenzo Paudice (1975) si è laureato in Filosofia presso l’Ateneo fiorentino nel 2002, discutendo la tesi La questione del valore in bioetica. Dal luglio 2004 al settembre 2010 ha collaborato con la SISMEL – FEF (Società Internazionale per lo Studio del Medio Evo Latino – Fondazione Ezio Franceschini) alla redazione centrale per la realizzazione di Medioevo latino. Bollettino bibliografico della cultura europea da Boezio a Erasmo (sec. VI-VII). Nell’a.a. 2015-2016 è stato Docente Incaricato di Storia della Filosofia Antica presso la Facoltà Teologica “San Gregorio Magno” del Monastero Ortodosso di San Serafino di Sarov presso la facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze. Attualmente è impegnato in un personale lavoro di ricerca e approfondimento storico-teorico del pensiero di L. Wittgenstein e dei maggiori esponenti novecenteschi dell’ordinary language philosophy (in particolare G. Ryle e J.L. Austin).

Terzo, ambiziosissimo lungometraggio di Eggers (1983) dopo i due raffinati horror storico-soprannaturali – già di culto – The Witch e The Lighthouse, The Northman recupera i «Gesta Danorum» di Sassone Grammatico per raccontarci la “vera”, originaria epopea di Amleto (Amleth, per la precisione), principe vichingo in cerca di vendetta tra la Danimarca e l’Islanda del X secolo. Sceneggiata dal regista con lo scrittore islandese Sjón, e coprodotta dal protagonista Alexander Skarsård (che inseguiva da anni il progetto di un film sui Vichinghi), la pellicola unisce un realismo minuzioso – ai limiti del perfezionismo – nella ricostruzione d’epoca a un’aura visionaria e fantastica che attinge a piene mani dalla mitologia norrena e dai suoi testi fondativi: le due «Edda» e le grandi saghe di Egil, Grettir, Eyrbyggja e Hrolfr Kraki.

Il risultato è stupefacente, sia sul piano visivo (grazie anche agli splendidi paesaggi nordici) che su quello narrativo e drammaturgico. Frequenti gli squarci onirici e orrorifici: l’impressionante rito di passaggio iniziale, la cerimonia dei Berserkr, il duello di Amleth con il guerriero non-morto. Eggers cala lo spettatore non solo nella realtà materiale dei suoi personaggi, ma anche nel loro universo mentale e simbolico: ciò che  fa rivivere davanti ai nostri occhi è una civiltà totalmente dominata dalla violenza e dalla forza bruta, priva di altri valori etici che non siano il vigore guerriero, il senso dell’onore e il diritto/dovere alla faida familiare. Un mondo, dunque, essenzialmente amorale (in fondo, lo stesso Amleth non è meno spietato e crudele dei suoi nemici), nietzschiano nel suo vitalismo tragico “al di là del bene e del male” e nella sostanziale assenza di libero arbitrio (le Norme, come le Parche dell’antica Grecia, governano da sempre il destino di ciascuno). Memorabili i dialoghi letterari e le cruentissime scene di battaglia e combattimento, riprese prevalentemente tramite lunghi piani sequenza  estenuanti – sembra – per interpreti e regista.

Nell’895 il re Danese Aurvandill “Corvo di Guerra” (Ethan Hawke) fa ritorno in patria dalle sue conquiste oltremare ricongiungendosi alla moglie, la regina Gudrún (Nicole Kidman), ed al figlioletto Amleth (Oscar Novak). Rimasto ferito in battaglia, decide di conferire ufficialmente la propria maestà al ragazzo – suo unico erede – mediante un rito iniziatico officiato dal sacerdote Hefir (Willem Dafoe). La mattina seguente è assassinato in un’imboscata, sotto gli occhi allibiti del figlio, da suo fratello Fjölnir, che così s’impossessa del trono e di Gudrùn; Amleth riesce però a fuggire in barca, giurando vendetta. Anni dopo lo ritroviamo adulto (Alexander Skarsård) come Berserkr su una nave vichinga, ormai immemore del suo giuramento: durante una scorreria nelle terre di Rus’, questo gli è ricordato da una Veggente (Bjӧrg) che gli predice un discendenza regale, mentre un altro guerriero lo informa che Fjölnir è stato rovesciato da Harald di Norvegia e ora vive in esilio in Islanda. Imbarcatosi di nascosto su una nave diretta all’isola, Amleth fa la conoscenza della giovane maga Olga (Anya Taylor-Joy); una volta a destinazione, entrambi sono condotti come schiavi alla fattoria di Fjölnir, dove scoprono che questi ha sposato Gudrún e ha avuto da lei un figlio, Gunnar.  Tramite il colloquio segreto con un necromante, Amleth entra poi in contatto con lo spirito di Hefir – fatto uccidere a suo tempo dall’usurpatore – ed è da esso condotto al nascondiglio di una spada magica, Daugr, della quale s’impadronisce dopo un confronto (reale o immaginario?) con il suo defunto possessore.

Selezionato per una sanguinosa partita di knattleikr in cui interviene anche Gunnar, salva la vita al bambino entrando così nelle grazie di Fjölnir e Gudrún. Intanto fa l’amore con Olga e insieme giurano di unire le forze contro i loro padroni. Nelle notti che seguono Amleth uccide con il suo aiuto diversi uomini di Fjölnir e ha un drammatico incontro con la madre, la quale gli rivela una verità sconvolgente: non ha mai amato Aurvandill (che le aveva usato violenza), egli stesso è nato da uno stupro e fu proprio lei ad incitare il cognato al regicidio; quindi tenta addirittura di sedurre il figlio, senza peraltro nascondergli di preferirgli Fjölnir e Gunnar. Accecato dall’ira, Amleth uccide nel sonno il primogenito di Fjölnir, Thorir (Gustav Lindh), rubandogli il cuore. Quando per riaverlo Fjölnir minaccia la vita di Olga, Amleth esce allo scoperto e si consegna allo zio; torturato selvaggiamente, è liberato in extremis da alcuni corvi inviati da Odino.  Fugge ancora in barca con Olga verso le Orcadi (dove ha alcuni parenti), ma appreso che la giovane aspetta due gemelli – uno dei quali sarà re – e sapendoli in pericolo finché Fjölnir vivrà, decide di tornare indietro a nuoto per affrontarlo. Prima di poter saldare i conti con lo zio, Amleth sarà costretto a uccidere – per legittima difesa – anche Gudrún e Gunnar. Il duello finale avrà luogo alle pendici del vulcano Hekla in eruzione, identificate con le porte infernali di Hel: Fjölnir verrà decapitato e Amleth trafitto a morte. Mentre il cielo si apre e una Valchiria ne discende per condurre la sua anima nel Valhalla, il principe chiude gli occhi felice pensando alla sua nuova famiglia, ormai definitivamente al sicuro.

Una trama densissima, dunque, che non lascia requie allo spettatore: centotrentasette minuti che filano via senza un momento di stanca. Superbi tutti gli interpreti, con una menzione speciale per la sconvolgente performance della Kidman, una “regina del male” di statura e intensità shakespeariane. Come ne Il primo re del nostro Matteo Rovere – un film per molti versi affine per audacia, ambizioni ed impegno produttivo, oltre che per il soggetto “fantastorico” a metà strada tra Archeologia e Mito – c’è moltissima  violenza, ma non poteva essere altrimenti, visti il tema ed il contesto. Grande successo di critica, inspiegabile flop al botteghino (59 milioni di dollari incassati nel mondo a fronte dei 70-90 di budget): un capolavoro evidentemente non per tutti.

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