Redattore

Niccolò Mochi–Poltri (1991): è impegnato da molti anni in attività di promozione culturale con le associazioni “Sur Les Murs” e Fondo Marco Mungai, delle quali è membro. Laureato in Scienze storiche, studioso appassionato di Filosofia, concentra i suoi interessi di ricerca sull’analisi della cultura politica dell’età moderna e contemporanea. Ha pubblicato Società. Divenire storico e conservazione (introduzione di F. Cardini, Roma–Cesena 2018).

Il regime cadde di fatto nel 1943. Quel che ne rimase si trasferì sulle sponde del lago di Garda, per tentare una resistenza impossibile all’avanzata degli eserciti alleati. Proprio ai ranghi di quello americano apparteneva Carleton W. Washburne (Chicago, 1889 – Okemos, 1968), un pedagogista americano incaricato di presiedere la Sottocommissione Alleata dell’Educazione, istituita il 28 luglio 1944 allo scopo di “defascistizzare” la scuola italiana e approntare dei programmi d’insegnamento per l’Italia liberata dal regime fascista. Il lavoro della Sottocommissione consistette fondamentalmente nell’abolizione dell’insegnamento della Dottrina del Fascismo, e giustappunto in qualche altra modifica dell’assetto istituzionale. Nella sostanza, la Sottocommissione assunse l’impianto generale dei programmi del 1936, demandando ai governi dell’Italia liberata il compito di elaborarne di nuovi[1].

 Washburne e i suoi collaboratori dovevano essere degli ottimisti. In fondo, all’epoca, la vittoria contro il fascismo era a portata di mano, la guerra stava per finire e le anime dei vincitori cariche di fausti presagi. Di certo, non avrebbero mai potuto immaginare che l’Italia repubblicana avrebbe sofferto di una irrimediabile instabilità governativa – 64 governi dal 1948 ad oggi lo stanno a dimostrare. Sulle fondamenta instabili dei governi è difficile costruire qualcosa. Senza entrare nello specifico, si può dire con beneficio d’inventario che l’assetto della scuola italiana sia restato fino ad oggi complessivamente quello del 1944[2]. Che però era, mutatis mutandis, quello del 1936! Ora, una certa vulgata giornalistica maggioritaria, ogni volta che parla di argomenti inerenti alla scuola, fa discendere dall’Iperuranio dei pubblicisti l’idea della “scuola gentiliana” quale modello di riferimento – come se i lettori fossero tutti quanti avvertiti di ciò che questo implica. Siccome oggi è il Quarto Potere ad offrire al pubblico i concetti coi quale sviluppare un ragionamento, allora riteniamo opportuno chiarire meglio la questione. Per tentar di riuscirci, si deve ritornare ad un problema che abbiamo già esposto sopra: quanto della Riforma Gentile sarebbe ancora stato “gentiliano” all’esaurirsi della “politica dei ritocchi” e dopo la “bonifica della scuola”?

 All’epoca dell’istituzione della commissione presieduta da Washburne, il principale interessato non avrebbe potuto offrire la sua opinione. Giovanni Gentile fu infatti vigliaccamente ucciso da un manipolo di comunisti del G.A.P. fiorentino il 15 aprile 1944. D’altronde, pure da vivo ed organicamente integrato nel regime, Gentile non partecipò più all’“adeguamento” della sua riforma. Perché non poté o perché non volle? Ci riserviamo di non rispondere a questa domanda, ed alle sue varie implicazioni; ma invitiamo comunque il lettore a rifletterci bene. Nondimeno qualcosa sull’evoluzione della riforma durante gli anni del regime si può dire. Un’evidenza balza subito agli occhi: l’originale afflato libertario di una scuola filosofica e concepita filosoficamente era andato repentinamente scemando a vantaggio di esigenze politiche totalitarie. Lo spirito era stato posto ai ceppi dei dogmi ideologici del regime e stava languendo nell’oppressione di parole d’ordine come «Il Duce ha sempre ragione». La manifestazione palmare di questo diverso atteggiamento riguardo allo spirito si coglie bene nelle trasformazioni dell’assetto istituzionale e didattico. Queste furono improntate, in sostanza, nella “centralizzazione” e “uniformazione” del sistema scolastico.

 Questi elementi di per sé non destano scandalo: lo Stato moderno si è da sempre forgiato sulla centralizzazione istituzionale e quindi sul suo corollario dell’uniformazione. Lo Staatsbildung del regime fascista non ha fatto eccezione. Ma se dal piano generale dello Stato spostiamo l’attenzione su quello specifico dell’istruzione, ebbene la situazione cambia – non dopo la Riforma Gentile, bensì proprio con la Riforma Gentile nella sua forma originaria. Ricorderemo che Gentile aveva intenzione di riscattare la dignità spirituale degli italiani, riconducendoli in primo piano sulla ribalta della storia. Per riuscirvi, era necessario creare le condizioni perché lo spirito potesse esprimersi liberamente, perché potesse compiere la sua inesauribile potenzialità dialettica – alla creazione di queste condizioni ed al conseguimento di questi scopi era stata da Gentile concepita la sua riforma della scuola. La progressiva fascistizzazione attuata dal regime, invece, era dogmatizzante. Tale dogmatizzazione non era altro che il cascame ideologico del dirigismo statale sulla scuola: devono essere sapute solo certe cose, e soprattutto devono essere sapute in una certa maniera. Non è dato scrutare nel cuore delle persone; ma se lo avessimo potuto fare per quello di Gentile, non possiamo escludere che soffrisse per le modifiche apportate all’impianto della sua riforma – soprattutto per l’effettivo rinnegamento del suo afflato ideale di fondo.

 Concludo con una provocazione. L’impianto scolastico ad essere salvato dalla Commissione presieduta da Washburne non era quello della Riforma Gentile originaria, e non lo era più anzitutto e propriamente perché vi era stato eliminato l’afflato ideale di fondo. Certo, furono modificate anche la struttura istituzionale e quella didattica – ma fu proprio la “censura allo spirito” che fece la differenza. Ora, caduto il regime, un nuovo Stato doveva essere costruito, quello della Repubblica italiana. Perciò nuovi processi di centralizzazione e uniformazione furono avviati, che coinvolsero naturalmente anche la scuola. Ebbene, coloro che hanno provato, e provano tutt’oggi, ad esorcizzare il fantasma di Gentile con la convinzione di promuovere la “liberazione” della scuola dai residui “fascisti”, lo fanno animati da uno zelo fervente, ma che distrae da quello che è l’autentico problema da risolvere, la vera eredità del regime fascista da cui liberarsi: il dirigismo statale.

 Ancora oggi i governi decidono quali cose devono essere sapute e come devono essere sapute. Ancora oggi i governi decidono quale dev’essere la funzionalità della scuola rispetto a certi obiettivi politici. Ancora oggi nuovi dogmi vengono proclamati. Ma oggi, a differenza di ieri, un’ombra s’allunga sulla scuola italiana. A prescindere dal colore politico, pare che tutti i governi dall’inizio del nuovo millennio convergano su un punto: convertire la scuola a un modello tecnico/professionale. Il ché, fuori da ogni retorica, si traduce fattualmente nel formare gli studenti non tanto a prendere coscienza del loro essere “persone”, nella loro irriducibile complessità e potenzialità, quanto semmai a tramutarsi in operai di una catena di montaggio sociale. E allora, oggi forse più che nel 1923, è necessario e urgente ridestare lo spirito. Forse oggi, più che allora, è necessaria una Riforma Gentile.

Note

[1] Alberto Gaiani, op. cit., p. 63

[2] Ivi, p. 67

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