Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra.  Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.

Recensione a: U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 168, € 13,00.

Nella presente riflessione sul tema del disagio giovanile ci si propone di presentare un noto testo di Umberto Galimberti. Nel far ciò, si tenterà di mettere in luce come l’ora di religione, all’interno della scuola italiana, costituisce non un limite, come molti ritengono erroneamente, bensì una risorsa didattica efficace e indispensabile per una formazione completa e matura delle giovani generazioni.

Umberto Galimberti è un filosofo, saggista e psicoanalista tra i più noti in Italia nonché editorialistata presso “la Repubblica”. Nella sua attività professionale ha dedicato particolare attenzione al tema del disagio giovanile. Nel testo, con lucidità di pensiero e fondando le sue argomentazioni a partire dalle opere di Nietzsche, rileva come nel nostro contesto sociale attuale assistiamo ad una crisi di carattere culturale. Il disagio giovanile non lo si può trattare senza riferirsi e confrontarsi con il mondo della scuola. Galimberti ritiene che il nichilismo filosofico costituisca un’inquietudine malsana e con la sua pretesa di svuotare di senso i valori supremi ha permeato di sé ogni ambito della vita sociale in Occidente.

Il nichilismo decanta la nullità dei valori etici, della religione, del senso della vita. Galimberti è persuaso che, dopo la “morte di Dio”, la società occidentale ha sostituito i postulati del Cristianesimo con quelli della scienza e della tecnica. Tuttavia, la scienza tecnica non ha nulla da offrire all’uomo contemporaneo. Essa si limita semplicemente a funzionare. Pertanto, a causa di ciò, molti giovani vivono come immersi nel “vuoto”, non riescono a trovare né a dare un senso alla propria vita e percepiscono costantemente una sensazione di precarietà e di insicurezza. Il futuro non appare loro tra le coordinate della “promessa” e della “realizzazione”, ma sono pervasi e assaliti dalla paura e dall’incertezza.

A tal proposito, le statistiche dell’Istat sono allarmanti: a causa della pandemia da Covid-19 vi è stato un incremento notevole di sofferenza e insoddisfazione tra i giovani. A patire gli effetti della pandemia sono state soprattutto le donne. Il presidente dell’Istituto italiano di statistica, Gian Carlo Blangiardo, ha spiegato:

Circa 220 mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. Gli stessi fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi – ha detto – sono manifestazioni estreme di una sofferenza e di una irrequietezza diffuse e forse non transitorie,

(Fonte sito web: https://www.open.online/2022/04/21/istat-salute-mentale-adolescenti/

Ultima consultazione 23/01/2023, ore 14.25)

Dati con la quale occorre confrontarsi per capire meglio “l’universo dei giovani” e per tentare di rintracciare l’origine dei loro disagi che rendono la loro vita insipida e vuota. Non di rado essi sono protagonisti di episodi di violenza efferata e inspiegabile per la ragione umana. La mancanza di senso è alla base dei disagi che molti ragazzi e ragazze vivono. Si ritrovano catapultati in una società che parla loro tanto ma in fondo non comunica nulla. Pretendiamo da loro delle risposte ma non siamo in grado di porre le domande giuste. Cerchiamo di colmare la loro sete di sapere offrendo loro oggetti, soluzioni economiche e materiali, che non esauriscono il loro bisogno di accoglienza, affetto e vicinanza.

A partire da queste acquisizioni Galimberti passa a considerare la scuola e il suo rapportarsi ai giovani nell’età della adolescenza. Uno dei primi aspetti che viene messo in evidenza è il divario tra gli studi e l’inserimento nel mondo del lavoro. Tale divario non contribuisce affatto ad offrire ai giovani un’identità personale stabile. Inoltre, ai nostri ragazzi manca l’autostima e, di conseguenza, l’auto-accettazione dei vaccini indispensabili perché essi possono far fronte alle avversità della vita. La scuola non può offrire alcun tipo di istruzione, se prima non è in grado di offrire un’identità ai propri studenti. L’identità si costruisce sempre nel riconoscimento e nell’accettazione dell’altro. Molti giovani non hanno un’identità definita perciò si perdono nella droga, nella pornografia, coltivano manie di grandezza, si lasciano asservire dal “dio denaro”. Nella loro fascia di età è il desiderio a guidarli e, talvolta, i loro desideri si scontrano con la realtà che fa prendere loro coscienza del fatto che i sogni non potranno avverarsi. L’adolescenza, afferma Galimberti, è segnata dal desiderio e dalla frustrazione, dal riconoscimento e dal mancato riconoscimento. Tale processo è alla base della costruzione di un’identità personale propria. Senza un’educazione identitaria si rende impossibile un percorso di istruzione fruttuoso ed efficace.

Si rende necessario per il mondo dell’istruzione promuovere itinerari di educazione emotiva. Ai nostri discenti dobbiamo trasmettere il “saper fare” e il “saper essere”. Devono poter apprendere l’arte della introspezione. Acquisire la capacità di “connettersi” con il proprio “io”, conoscersi, così da prendere coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Instaurare un legame con il proprio “sé” è condizione imprescindibile per darsi un’identità che non rischia di affondare tra le sabbie mobili del nichilismo e dello smarrimento di senso. Tali itinerari devono tendere a stimolare in essi la capacità critica nei confronti di sé stessi e della realtà circostante, in modo tale da consentire loro di ampliare i confini relazionali. La relazione è la chiave di volta per una crescita interiore matura e consapevole.

Galimberti incoraggia genitori e docenti a tessere un canale di comunicazione con i figli/alunni e a farlo persistere nonostante i feedback possano, talvolta, risultare negativi. Molti ragazzi, manchevoli di una buona capacità critica e riflessiva, si rendono protagonisti di atti di bullismo e cyberbullismo. L’ educazione emotiva è una strada possibile per far sì che i giovani possano coniugare le istanze del loro pensiero con quelle del cuore così da avere poi dei risvolti positivi nel loro comportamento. Educare all’empatia e alla relazione consente ai nostri ragazzi di intercettare chi sono e quale è lo scopo della loro vita.

Galimberti affronta poi il problema della dipendenza dalle droghe ed è del parere che occorre promuovere una vera e propria cultura volta a sensibilizzare, informare e formare giovani e chiunque abbia una responsabilità educativa circa gli effetti devastanti e allucinogeni innescati dal consumo degli stupefacenti. Auspica una scuola che oltre ad offrire nozioni, a quantificare e giudicare l’operato dei propri discenti, sia attenta anche a problematiche di questa portata e sia in grado di offrire alla società una risposta plausibile a questo grido di salvezza che ci previene dalla generazione del nichilismo.

«Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte», scrive Nietzsche. Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre disseminate di dolore. Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d’uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l’unico colore del cielo (cfr. p. 47).

Recuperare la categoria del “sacrificio” può rivelarsi un buon antidoto contro l’influenza regnante del “tutto e subito” cui i nostri ragazzi sono esposti costantemente. A tal riguardo, basta considerare il tempo che trascorrono online e, in particolar modo, sui social network. In tale ambito essi si confrontano con esempi di vita non propriamente positivi, influencer che guadagnano soldi sfoggiando uno stile di vita che, in maniera evidente e grossolana, non ha nulla di civile, legale e educativo. Occorre un’azione educativa che riesca a dimostrare loro la bellezza di coltivare delle aspirazioni sane e quanto, grazie all’impegno e al sacrificio, possano raggiungere traguardi significativi.

Emblematico è il caso dei “ragazzi del cavalcavia”, a cui Galimberti ha dedicato la propria attenzione. Questo caso di cronaca si riferisce a quei tre ragazzi che da un cavalcavia gettarono sassi sulle auto che transitavano in autostrada mietendo così feriti e una vittima. Tale avvenimento, drammatico e inspiegabile, è sottoposto alla nostra attenzione perché possiamo prendere coscienza del rischio cui conduce il disagio delle giovani generazioni: confondere la finzione con la realtà, essere incapaci di distinguere l’odio dall’amore, il bene dal male, può rendere capaci di percepire la vita altrui come un “nulla”, un “vuoto”, un qualcosa di “alieno”. Questo episodio di cronaca è solo uno dei tanti, troppi campanelli di allarme per una società che asservita al nichilismo e dedita al consumismo non solo dei beni materiali, ma anche dei sentimenti e degli affetti, rischia un naufragio epocale. La scuola quali strumenti e quali risorse ha a disposizione? Che cosa si può fare?

Nella mia piccola esperienza di insegnante, ritengo che l’insegnamento della religione cattolica possa costruire un valido supporto nella direzione indicataci da Galimberti. Promuovere una educazione all’emotività, aiutare a riflettere e a padroneggiare i propri sentimenti e le proprie emozioni, sensibilizzare sul problema della dipendenza dall’alcol e dalle droghe, offrire un orizzonte di senso ai discenti, sono tematiche care a questo tipo di insegnante.

Personalmente, proprio di recente, ho svolto nelle mie classi di secondaria di secondo grado un piccolo laboratorio sul tema del disagio giovanile. Strutturandolo nel modo seguente. Ho proposto ai ragazzi di leggere alcune schede, tra cui il rapporto dell’Istat sul tema in oggetto.  Dopodiché sono stati invitati a partecipare ad un brainstorming alla lavagna. Ponendo al centro di un cerchio il termine “disagio” ogni alunno/a ha espresso un suo aggettivo in merito. Ne è emerso un vero e proprio Debate nelle classi. Cosicché i discenti hanno avuto modo di confrontarsi e di affinare le loro capacità relazionali. Infine ognuno ha elaborato uno scritto in cui ha posto le conoscenze acquisite sul disagio e ha indicato le possibili risoluzioni al problema.

La religione cattolica persegue, all’interno delle finalità della scuola, l’obbiettivo di offrire ai discenti un sapere che concorra alla formazione della loro “persona” in maniera “globale” e “integrale”. In forza di ciò, si tratta di una disciplina che va riscoperta e rivalorizzata. Essa, infatti, non restringe il proprio campo di operatività didattica prettamente nella sfera “confessionale” ma si nutre di un ampio respiro di matrice altamente culturale.

 

 

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