Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra.  Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.

Recensione a: Massimo Recalcati, La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, Feltrinelli, Milano 2022, pp. 144. € 15,20.

Il noto psicoanalista Massimo Recalcati in questo testo affronta uno degli argomenti più controversi e affascinanti di sempre: la morte. Tale argomento da quando esiste l’uomo sulla terra suscita scalpore, curiosità, insofferenza. Nell’attuale contesto socioculturale la morte costituisce un vero e proprio tabù. Non se ne parla e si preferisce ad ogni occasione evitare ed esorcizzare in diversi modi la questione. Purtroppo, anche in ambito teologico l’argomento della morte non sempre gode della dovuta attenzione.

Recalcati – come è sua consuetudine – rifacendosi al pensiero biblico e al pensiero filosofico tenta di affrontare la questione in chiave psicoanalitica. A tal riguardo, egli afferma che, dinanzi all’esperienza della perdita di una persona cara, si aprono per chi resta due prospettive: vivere il dolore nel risentimento e nella nostalgia melanconica di ciò che era e non é più o, invece, vivere il dolore come una spinta a continuare la propria vita nella dimensione della nostalgia-gratitudine in modo tale che l’eredità ricevuta risulti essere realizzata. La simbolizzazione del lutto della perdita si configura sempre entro due dimensioni: idealizzazione e de-idealizzazione dell’oggetto perduto. Inoltre, prima della morte/sparizione di una persona cara é possibile fare esperienza del lutto ogniqualvolta termina una relazione che per un soggetto é di vitale importanza, si ha in queste circostanze come una pregustazione dell’esperienza del lutto e della perdita. La dimensione luttuosa di natura melanconica può indurre alla mania che consiste in una non accettazione della perdita e del lutto. Tale risvolto fa sì che chi nega l’esperienza del lutto in quanto tale e chi ne è vittima assume atteggiamenti e comportamenti ossessivi compulsivi atti alla negazione totale della perdita e del lutto stesso. In questo contesto si tenta di sostituire in ogni modo l’oggetto perduto con qualcosa altro e vale il noto proverbio popolare: morto un papa se ne fa un altro.

È chiaro che in tale frangente la vita di chi ha fatto l’esperienza della perdita assume le caratteristiche di un’esistenza frenetica e dedita al consumismo sfrenato che conduce lentamente ma inesorabilmente alla deriva esistenziale. Nel testo, inoltre, si approfondisce in merito all’esperienza del lutto e della perdita anche il pensiero di Sigmund Freud il quale riteneva che l’esperienza del lutto può giungere ad un compimento nel momento in cui il soggetto metabolizza la perdita dell’oggetto amato nella libido avviene un Reset che consente la ripresa della vita quotidiana.

Secondo Recalcati – ed è la tesi centrale del saggio – il compimento dell’elaborazione del lutto per sua natura resta incompiuto, appunto, perché una scintilla dell’oggetto perduto permane in modo permanente proprio come la scintilla delle stelle che si possono ammirare di notte nel cielo nonostante siano di fatto delle stelle morte. Dei nostri innumerevoli morti resta qualcosa. Ora sta a noi decidere se raccogliere questa eredità. Si può, infatti, restare intrappolati nel laccio della nostalgia melanconica e giungere alla mania oppure si può, invece, scegliere di compiere un passaggio introspettivo tale da trasformare il dolore della perdita in un motore atto a riprendere il ritmo della vita dando un senso all’eredità ricevuta.

Si citano nel testo diversi esempi per illustrare la tesi della metabolizzazione del lutto. Più di tutti è interessante il riferimento al film di Clint Eastwod: Gran Torino. Il giovane asiatico denominato “tardo” dal protagonista Walt raccoglie l’eredità dell’anziano vicino ma non resta ingabbiato nel risentimento e nella sete di vendetta a causa del male ricevuto, ma con gli insegnamenti di Walt in tasca prende in mano le redini della sua vita e decide di viverla nel migliore del modi possibili come segno di gratitudine nei confronti del suo anziano e affezionato vicino.

Traggo forza, energia, potenza da ciò che non é più e che non sarà mai più perché la sua luce – come quella delle stelle morte – ancora mi raggiunge e mi illumina.

Il dolore della perdita di una persona cara costituisce un evento traumatico per l’esistenza di ogni persona. La vita, infatti, subisce un arresto, si blocca, si ferma dinanzi a quell’addio, talvolta inaspettato. Il tempo da parte sua scorre inesorabile e chi subisce il colpo fa un’esperienza terribile dell’impotenza, della fragilità umana e comprende quanto la vita stessa sia precaria e breve. Tuttavia, si può tentare di reagire “positivamente” solo cogliendo il senso che la persona perduta ha dato alla propria vita e raccoglierne il messaggio, portarlo con sé in maniera tale da rendere viva quella persona in ogni e dove della propria esistenza stessa. Ecco il senso della luce delle stelle morte. Noi osserviamo incantati le costellazioni nelle notti di primavera e d’estate eppure quella luce che squarcia il buio ci proviene da un corpo celeste ormai morto e deteriorato. C’era ma ora non c’è più eppur tuttavia la sua luce ancora permane.

La vita e la morte sono un mistero dinanzi al quale ci si può interrogare in punta di piedi. Non esiste al problema della morte una soluzione univoca e definitiva e per sua stessa natura non potrà mai esistere. La speranza però che la vita continui al termine dell’esistenza umana di natura biologica ha accompagnato da sempre tutte le civiltà esistite e in ciò ha svolto e svolge un ruolo d’eccezione la civiltà cristiana.

L’uomo se ne va nella dimora eterna […].

E ritorni la polvere alla terra, com’era prima,

e lo spirito torni a Dio che lo ha dato.

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

e tutto è vanità. (Cfr. Ql 12,5.7-8)

Così meditava il buon saggio filosofo ebreo intorno al III secolo a.C. e con lui tanti altri sapienti e profeti. In tale periodo in Israele maturava la coscienza ebraica circa la fede nella vita oltre la morte. Nell’Antico Testamento, infatti, con il superamento della teologia della retribuzione terrena (cfr. Libro di Giobbe: castigo ai peccatori e prosperità ai giusti), si fece strada l’idea secondo cui gli empi e i giusti al termine del loro pellegrinaggio terreno, a seconda delle loro azioni, avrebbero ricevuto un giudizio da Jahvé di condanna o salvezza e avrebbero dimorato nello sheol (regno dei morti) in attesa del Messia e del compimento del piano salvifico di Dio.

Con l’avvento dell’Incarnazione del Verbo, Gesù di Nazareth, e con il suo messaggio di amore, pace e beatitudine eterna si radicò nella coscienza biblica l’idea chiara e certa della sopravvivenza dello spirito alla morte del corpo biologico in attesa del compimento definitivo del Regno di Dio e della Resurrezione dei corpi trasfigurati e gloriosi (cfr. 1 Cor 15). Accostare gli studi laici e psicoanalitici di Recalcati al pensiero biblico cristiano è stimolante e apre sicuramente alla riflessione sul mistero della morte e della vita eterna. Se secondo la psicoanalisi l’esperienza del lutto resta incompiuta perché qualcosa dell’oggetto perduto si radica nell’intimo del soggetto che fa la drammatica esperienza della perdita, per la Bibbia che ha plasmato l’intera cultura occidentale l’esistenza terrena non si esaurisce con la morte biologica ma lo spirito della creatura torna al Creatore in attesa del compimento della parusìa in cui ci sarà la Resurrezione e gli spiriti si ricongiungeranno ai corpi trasfigurati.

É chiaro che tale impostazione rientra esclusivamente in un’ottica credente dell’esistenza e come tale richiede che chiunque aderisca a questa tesi compia l’atto di fede. Tuttavia, ci sono diversi studi in atto anche nel campo delle neuroscienze che studiano il Dna e la coscienza e pare che anche in questo campo le varie teorie convergono sul fatto che la vita non finisce con la morte clinica. Se tutti questi dati sono veri significa che i credenti oltre alla propria esperienza di fede possano avere a disposizione anche dati empirici su cui poggiare la solidità della propria speranza. Benedetto XVI, uno degli ultimi baluardi della fede cattolica nonché uno studioso attento e scrupoloso di teologia, filosofia e antropologia in un suo testo inerente proprio l’escatologia e il tema della vita eterna afferma quanto segue:

Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia (Benedetto XVI, Credo la vita eterna).

In conclusione fare esperienza del lutto e della perdita può costituire una tappa della vita tramite cui si ha l’opportunità di crescere e di evolvere nella conoscenza del mistero che da sempre accompagna la storia della vita umana sulla terra. Contemplare il mistero della morte significa apprezzare la bellezza della vita. Il pensiero greco da parte sua ci ricorda che l’intera vita umana consiste nell’allenarsi a morire ogni giorno. Pertanto, occorre vivere con la consapevolezza che l’esistenza umana non si esaurisce nella sola dimensione materiale e quindi ritorna impellente la dimensione dello spirito. Riscoprire e coltivare la dimensione spirituale dell’esistenza é ciò di cui la società odierna ha più bisogno specialmente nel nostro tempo in cui le malattie e le scomparse sembrano essere più frequenti.

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