Stefano Berni (1960) è docente di Filosofia e scienze umane nei licei. È stato professore a contratto presso la cattedra di Filosofia del diritto dell’Università di Siena, assegnista e dottore di ricerca. È tra i fondatori e nel comitato scientifico della rivista “Officine filosofiche” dell’Università di Bologna e Presidente della Società Filosofica Italiana di Prato. Le sue ultime pubblicazioni sono: Potere e capitalismo. Filosofie critiche del politico (Pisa 2018); Etiche del sé. Foucault e i Greci (Firenze 2021); L'alchimia del potere. La filosofia politica di Hannah Arendt (con Antonio Camerano; Milano 2022).

Lettera a una giovane amica rivoluzionaria

È nobile che tu voglia lottare per la giustizia e per l’uguaglianza tra gli uomini, è ancora più nobile il tuo atteggiamento giacché avresti potuto agire diversamente, non provenendo da una condizione di povertà. Quello che a te è stato concesso come un dono di dio o un privilegio: il nutrimento, il vestiario, lo studio, la casa, i viaggi, e che tu hai capito essere il frutto di tanto lavoro e fatica di tuo padre e di tua madre, tu vorresti ora concederlo a tutti. E per questo sentimento di giustizia sei pronta a sacrificare tutto, te stessa, la tua vita, la tua proprietà (o meglio quella dei tuoi genitori), i tuoi affetti. Sei disponibile a sacrificarti per gli altri. E non solo pensi di essere pronta ad affrontare una vita difficile, rinunciando alle tue passioni, alle tue ambizioni, alla tua felicità, agli amici, ma sei anche pronta a lottare e a sfidare coloro che ritieni colpevoli di queste disuguaglianze sociali: i padroni, il potere, la polizia e a lottare contro coloro che non hanno la tua stessa visione considerandoli prepotenti e ingiusti, colpevoli di tutto.

Anziché abbandonare però le tue proprietà o condividerle con altri, nel tempo libero agisci da rivoluzionaria. Dici che è la contraddizione del capitale, del sistema: non si rovescia un sistema se contemporaneamente non si prende tutti coscienza dell’ingiustizia. Sei disposta ad aspettare che si avveri la contraddizione dialettica; che essa stessa, la storia, faccia il suo corso, come se fosse una legge già scritta, in cui noi dovremmo agire, per spingere in avanti queste contraddizioni fino alla pace e alla giustizia finale. A quel punto saresti disposta a concedere agli altri le tue ricchezze.

Sei disposta anche ad agire con violenza, chissà, forse perfino ad uccidere, se i fini giustificano i mezzi. Ma il rischio è che la forza prenda il sopravvento sulla tua idea di giustizia. E la tua idea vale come quella degli altri se la misuri con la violenza. La giustizia imposta con la forza è un controsenso. È cinismo politico. È il più bieco realismo: se la ragione si impone con la forza, la forza è la ragione stessa. Solo chi vince ha ragione. Ma allora tutti i vincitori che si sono imposti con la forza pensano di aver ragione per il semplice fatto di aver vinto. Anche i nazisti accusarono, al processo di Norimberga, gli alleati di avere ragione solo perché avevano vinto, forse dimenticandosi che quella era in realtà proprio la loro filosofia, quella che Hitler aveva seguito. Solo chi vince, per lui, dimostra di essere il più forte, e dunque porta con sé la ragione.

La stessa idea in fondo apparteneva anche agli antichi, perché per loro gli Dei aiutavano i più forti, pertanto quelli ritenuti anche nel giusto. In effetti, la giustizia è bendata per timore di non commettere favoritismi e discriminazioni, ma possiede anche la spada per imporsi con la forza. Ma essa può farlo perché si crede super partes, al di sopra degli uomini, assoluta, sciolta da ogni vincolo, anche da quella legge che ha scritto e della quale si dimentica e alla quale non vuole sottomettersi. Tu invece sei una donna in carne ed ossa. Ti poni al di sopra di tutti, ma ciò ti rende arrogante (i Greci la chiamavano hybris) come se tu fossi una dea; ma tu non vivi nel cielo sopra gli astri, non sei Dio in terra, non puoi decidere per tutti quale sia il migliore dei mondi possibili.

Pensi che questa lotta sia da affrontare a livello mondiale, come se fosse facile cambiare il mondo se tutti (quasi 8 miliardi di persone!) avessero la volontà di farlo. Ma ti rifiuti di partire per l’Africa o per altri continenti dove la battaglia è più dura e le contraddizioni sono ancora più palesemente presenti; lì, aiuteresti davvero il prossimo, ma sarebbe una decisione troppo facile o forse tremendamente difficile. Questa scelta distingue il cristiano dalla tua concezione marxista, dato che lui è pronto a rinunciare immediatamente a tutto pur di aiutare il povero e testimoniare hic et nunc la sua fede davanti a Dio. Ma entrambi credete. Credete ad un’idea di umanità. Come se ‘restare’ umani non comprendesse anche quello che caratterizza l’uomo, fin da subito: la guerra, le atrocità, la violenza. Ciò che ‘resta’ è appunto l’umano. Tu stessa sei fin troppo umana, forse troppo umana. Sì, perché quel prossimo, se tu andassi ad aiutare i poveri, sarebbe davvero prossimo, vicino a te, che suda, muore, si ammala, urla, puzza. Invece l’umanità, e la giustizia che la riguarda, è un’idea. L’idea non puzza, non prevede emozioni o sentimenti, non prevede coinvolgimenti, è astratta, razionale ed è certamente più facile da abbracciare.

E allora bisogna anche essere onesti (intendo l’onestà come una coerenza di fondo che non ammette troppe contraddizioni). Intanto, tu non neghi il fatto, da buona marxista, che, se siamo nella storia, in situazione, nella contraddizione del capitale economico; ma la storia non decide; chi decide sono gli uomini che possono realizzare delle strategie per migliorare il futuro. Dunque, anche tu operi e intervieni nella realtà sulla base di un’idea: non puoi pensare che la storia si muova da sé in base ad una legge storica e poi però solo la tua idea può accelerare il cambiamento. Anche la tua ideologia, benché si sia forgiata storicamente, è pur sempre una delle tante idee che si cercano di applicare al mondo. Il tuo modello di pensiero non è avulso dalla storia, proprio come tutti i modelli di pensiero che conosciamo. Se tu credi alla storia e alla sua legge progressiva, anche questa è una concezione teorica, una filosofia della storia. Anche la tua è una visione astratta della realtà che tu cerchi di applicare nella prassi e che secondo te si muove nella prassi e a partire dalla prassi. Però, come la storia fa gli uomini, così gli uomini e le loro idee fanno la storia. Se tutto fosse determinato dal fluire della storia, tutto accadrebbe e sarebbe già stato realizzato. Tale giustificazionismo è alla base dell’idea di storia di Hegel e di Marx. Tu però vuoi giustamente intervenire sulla storia, le vuoi dare una direzione, non solo comprenderla ma trasformarla e migliorarla. Ma allora anche tu pensi che ci sia un mondo vero e uno falso, uno giusto e uno ingiusto.

È questo in fondo il dispiacere più profondo per me, che sono tuo amico e credo nel valore dell’amicizia (ma non nel valore del cameratismo o del corporativismo, sia di destra sia di sinistra): e cioè che ti rifiuti di studiare e di conoscere quelli che tu dici di utilizzare. In altre parole, non puoi pensare che, in nome dell’azione per l’azione, le teorie non valgano nulla. Ti comporti come quei contadini luterani ignoranti e insulsi pronti a bruciare tutto in nome di un libro che non avevano ancora mai letto. La frenesia di agire e di condividere un’esperienza limite, come quello di identificarsi in un gruppo-massa, ti obnubila il pensiero, e capisco che questo derivi in parte dalla giovane età, quando l’entusiasmo è più acceso. Ma il pensiero va alimentato con lo studio. Non puoi rifiutarti di leggere lo stesso Marx, o Hegel o Kant, ma anche di leggere e di confrontarti con i “cattivi” maestri della destra, da Nietzsche a Schmitt e così via. Essi ti offrono argomentazioni teoriche ma anche la bussola per orientarti nella vita. Devi ascoltare chi la pensa diversamente da te.

Marx fu in primo luogo un grande filosofo, ma lo fu in base alla situazione storica che stava vivendo. Marx sosteneva giustamente che la storia condiziona gli individui, ma lui non può essere estraneo alla stessa legge che ha scoperto. Oggi avrebbe detto ben altro. Non puoi prendere per oro colato quello che insegna una dottrina scritta più di centocinquanta anni fa senza vederne i segni del tempo e soprattutto non puoi pensare che la tua dottrina sia immune da ogni sospetto circa il valore che potrebbe assumere nella realtà. Altrimenti devi accettare la critica che ti ho mosso, seppure velatamente, di avvicinarti troppo alla teologia. Per questo dico che sei più vicina al platonismo, al cristianesimo, al dogmatismo, al fanatismo di quanto tu creda. Il pensiero funziona se si adatta alla realtà, non può la realtà rientrare forzatamente nel nostro schema. E questo sondare la realtà e decidere l’azione è la funzione della filosofia.

Il filosofo è come un cartografo che naviga a vista e modifica, almeno parzialmente, il suo punto di vista, la sua carta nautica e anche sé stesso, per agire migliorando almeno parzialmente la sua vita. Non esistono capovolgimenti totali, non si può pensare di applicare una teoria e seguirla ciecamente, perché la realtà è molto più complessa delle nostre teorie, ma si può certo aggiustare e modificare qualcosa. L’azione senza la conoscenza non può portare a niente. Se non c’è un progetto politico adeguato alla realtà sociale e alla vita vissuta, la violenza in sé non genera alcunché se non altra violenza. Essa non ha quasi mai convinto nessuno, l’ha piegato, distrutto, eliminato ma mai convinto. Per convincere gli uomini, appunto, occorrono le idee, ma queste idee devono reggere anche al vaglio della storia. Ormai sono più di cent’anni che le idee comuniste hanno dimostrato la loro fallibilità, la storia stessa ce l’ha insegnato, se non credi a me credi almeno al tuo dio della storia. Se la dialettica fosse davvero la legge della storia e avesse funzionato, a quest’ora il comunismo si sarebbe già realizzato. Purtroppo, o per fortuna, le idee degli uomini e gli uomini stessi intervengono sul mondo e modificano la realtà, senza poterne prevedere fino in fondo gli effetti, così come avviene ad uno scienziato che non può studiare l’atomo senza modificarne il movimento.

I motivi per i quali il comunismo è fallito sono tanti, alcuni te li ho già esposti. Altri posso aggiungerli. L’uomo non desidera solo la giustizia distributiva, che anche per me è una cosa sacrosanta, ma egli si vuole sentire anche libero: se gli imponi un’idea, anche la migliore, la rifiuterà sempre, e subirà la legge come una dittatura. Tu stessa sei stata educata senza eccessive costrizioni, sei stata convinta dall’amore e da poche regole severe ma sagge e ora puoi pensare e muoverti liberamente. Occorre dunque convincere, accompagnare l’idea di giustizia con l’idea di libertà. L’una non può negare l’altra. Per questo, la società migliore è quella dove ognuno può pensare quello che vuole e esprimere le sue opinioni anche le più diverse come puoi fare tu. Possiamo migliorare questo tipo di società? Certo. Tutto è perfettibile ed è indubbio che ancora oggi, soprattutto al di fuori dell’Occidente, ci siano ingiustizie terribili, e la libertà di espressione, di religione, di opinione è negata. Su questo presumo che le nostre posizioni convergano: anche lì molti pensano diversamente da noi, ci odiano perché li abbiamo sfruttati, e non tutti saranno disposti ad accettare la nostra democrazia (e ora la nostra ecologia) che vedono, giustamente, come ciò che è servito da ipocrita ideologia per soffocarli. Se vuoi che si sollevino, non devi fomentare l’odio, il risentimento e la vendetta nei nostri confronti: lo scontro, la lotta, la violenza non porterà che ad altro odio e violenza.

Non possiamo pensare ad un mondo pacificato attraverso la violenza: è una contraddizione in termini. Combatti in primo luogo affinché essi diventino veramente liberi. Costringiamo gli occidentali ad andarsene, almeno quelli che non abitano da troppi anni in quel luogo, a lasciare quelle terre che abbiamo dominato e soffocato. È vero. Il miglioramento è lungo e pieno di difficoltà. Dobbiamo mettere in conto che potrebbe anche non realizzarsi. Difendiamo quei pochi diritti che abbiamo conquistato nei secoli. Soprattutto ricordati che la proprietà stessa, che è ormai considerata un diritto inalienabile dalla società occidentale e liberale, si basa su una istanza difficilmente modificabile nella percezione antropologica. Coloro che hanno correttamente lavorato per una vita e si sono arricchiti attraverso la fatica e tanti sacrifici, del resto come hanno fatto i tuoi genitori, non sono facilmente disposti a rinunciare anche ad una parte della loro ricchezza. Il lavoro, e anche qui Marx ha scritto pagine importanti, realizza la vita umana, e la ricchezza non è altro che la testimonianza di tale realizzazione. L’attaccamento alla “roba” aumenta in misura della fatica che hai dovuto compiere per ottenerla. Te ne accorgerai presto, quando sarai ‘costretta’ a lavorare.

Il fatto che molti giovani comunisti appartengano alla stessa classe sociale che vogliono combattere, mi fa sospettare che non abbiano mai conosciuto veramente cosa significa lavorare. In questo senso Pasolini non aveva del tutto torto nell’indicare i poliziotti e i carabinieri come i veri proletari, e i contestatori del ’68 come i figli di papà; anche se non possiamo dimenticare che la reazione ribelle dei figli verso i padri c’è sempre stata e nel caso specifico ha prodotto anche dei cambiamenti culturali rilevanti. Ma, laddove la reazione poi si è trasformata in una violenza radicale, come quella del terrorismo rosso (e anche nero), essa non ha prodotto che lacerazioni nel tessuto sociale di cui ancora paghiamo le conseguenze economiche e politiche.

Di questo sentivo l’urgenza di parlarti amica mia, di parlarti francamente per avvertirti che il rischio di gettare via la propria vita è alto e che non sarà il suicidio politico che potrà salvare il mondo da sé stesso. In questo forse rimango anch’io un po’ umanista: la propria vita, il fatto di essere nati e gettati in questo mondo, va salvaguardata e vissuta, e non saranno i nostri sensi di colpa che ci garantiranno un mondo migliore né ci responsabilizzeranno nei confronti degli altri.

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