Fabio Lazzari (1992) è laureato in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), sotto la guida del Professor Danilo Breschi. Ha conseguito successivamente un Master in Agricoltura Sociale presso l'Università degli Studi di Tor Vergata. Educatore cinofilo, appassionato di filosofia ed etologia, lavora in una Cooperativa che si occupa di agricoltura sociale.

Recensione a: I. Eibesfeldt, L’uomo a rischio, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 236, € 23, oo.

«Lo sviluppo delle società umane si basa sul perseguimento della certezza e della ricchezza». Con questa frase James W. Heisig, studioso statunitense di storia comparata delle religioni, apriva il suo Il nulla e il desiderio. Un’antifonia filosofica tra Oriente e Occidente, opera che approfondisce il dialogo fra religioni e filosofie orientali ed occidentali.

Sono state le società che nel corso della storia, fornendo certezza e ricchezza materiale oltreché culturale, sono riuscite a sopravvivere, a non soccombere all’impermanenza delle culture. Tutte le altre che non hanno risposto positivamente alla pressione selettiva sono diventate vettori dell’anti-progresso. Se ci pensiamo, non a caso, tutti coloro, individui o società, che non si conformano a modelli di ricchezza o che si pongono in aperta contrapposizione con i dogmi della società rischiano di finire nel calderone delle minoranze o, peggio, degli emarginati.

Irenaus Eibesfeldt, fondatore dell’etologia umana, ci diceva nel lontano 1992, nella sua opera L’uomo a rischio, che questa propensione naturale dell’uomo alla crescita materiale è da ricercarsi nella sua programmazione filogenetica. Già l’uomo del Paleolitico mostrava tendenze sfrenate alla massimizzazione delle risorse disponibili che, come un campanello d’allarme che improvvisamente si accendeva, erano il segnale di un’istanza inscritta nel codice genetico dell’uomo: abbiamo una tendenza connaturata a espanderci, a crescere sia qualitativamente che quantitativamente.

Ora,  questa forza, che opera principalmente nella veste di un desiderio fuori di sé, non va denigrata o osteggiata. Eibesfeldt, in quanto uomo della scienza, credeva fermamente nel progresso, in questa forza vitale che regola necessariamente non solo l’evoluzionismo biologico, ma ogni agire umano. Se dovessimo privare l’uomo di questa tendenza di accrescimento, di miglioramento del sé, lo spoglieremmo di una delle sue pulsioni vitali più importanti, quella di desiderare.

Al contempo il rischio di idolatrare il progresso è però, secondo l’etologo, dietro l’angolo. Come fece precedentemente anche il suo maestro, il celebre Konrad Lorenz, Eibesfeldt ci avvertiva di un fatto non trascurabile: l’uomo, in quanto appartenente al regno animale, ha vissuto e sempre vivrà uno sviluppo culturale e biologico non ascendente, bensì imprevedibile, quasi a zig-zag. Non esiste un piano prestabilito, un ordine finalistico dell’universo, perché rispondiamo anche noi alle logiche imprevedibili dell’adattamento, che non sempre si allineano con quelle del progresso e del miglioramento della condizione umana. Non possiamo credere nella permanenza ascendente dello sviluppo umano, perché, al pari di un qualsiasi animale, siamo soggetti alle leggi spietate della natura. Non è esagerato affermare che l’etologia umana, disciplina estremamente giovane che cominciò a muovere i primi passi nella seconda metà del Novecento, ha rafforzato l’idea di una natura umana ancora più umana e quindi costitutivamente fragile.

Su queste premesse, secondo l’etologo, c’è il pericolo che si stia materializzando in questa fase della post-modernità un percorso a ritroso nella via tracciata dal genere umano. Lo sviluppo umano ha trovato nell’estremizzazione, o forse sarebbe meglio dire brutalizzazione, delle sue due basi che lo regolano, certezza e ricchezza, i propulsori che muovono l’intero apparato. Non si sta forse perseguendo l’idolo della crescita economica sfruttando risorse naturali, mettendo a repentaglio ecosistemi e disconoscendo in molti casi il principio della sostenibilità sociale e ambientale?

Come se non bastasse, le stesse verità fondamentali che nutrono il progresso di una società hanno, nell’arco di un secolo, subito assestamenti senza precedenti. Siamo entrati di diritto nell’era delle ideologie spoliticizzanti, dopo metà secolo imperniato sulla difesa estenuante delle credenze politiche. Abbiamo posto la lapide sul Dio cristiano, dimenticando le radici cristiane che erano proprie di noi europei.

Eppure, nonostante tutto, ancora oggi crediamo e speriamo nel progresso. Ma per farlo abbiamo bisogno di certezze, di verità fondamentali, che tengano in piedi l’assetto comunitario, che portino unità. Sono state trovate nell’accrescimento materiale, eretto a paradigma, a verità assoluta e inconfutabile. Ricchezza e certezza sono diventate un tutt’uno. Il sapore del progresso ha assunto un sapore metallico capace di desensibilizzare persino le papille gustative di chi si mostra allergico alle ideologie economiche-finanziarie dominanti.

L’uomo è a rischio, questo è il monito che ci lascia l’opera di Eibesfeldt e che merita oggi, dopo circa 30 anni dalla sua pubblicazione, una maggiore attenzione.

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