Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia. È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.

Recensione a
A. Asor Rosa, L’eroe virile. Saggio su Joseph Conrad
Einaudi, Torino 2021, pp. 120, € 15,00.

Alberto Asor Rosa ci riporta con questo libro a un tema che appare oggi contemporaneamente attualissimo e remoto, perché respinto in un passato violento e disumano dal quale, però, l’Occidente non ha saputo né voluto davvero emanciparsi. Protagonista di queste pagine è l’eroe virile, così come si trova nei libri di Joseph Conrad, ossia un uomo bianco, che si sente superiore in tutto e per tutto sia rispetto alle forze della natura sia rispetto ai selvaggi che è chiamato a sottomettere, per realizzare così la propria vocazione. In quei romanzi, a dominare la scena, sono sempre uomini votati ad inseguire un nemico selvaggio e oscuro, pericoloso e inquietante; sono uomini il cui destino di esploratori, naviganti e colonizzatori, li ha portati alle soglie della violenza pura e della sconfitta bruciante. Non si tratta, ovviamente, di rivendicare in modo ingenuo le glorie della storia occidentale, ma di fare i conti con le forze che, allora come sempre, dominano la vita degli individui e ne orientano il desiderio e la paura.

I romanzi di Conrad sono rappresentazioni di esperienze del limite umano ma, allo stesso tempo, sono anche racconti d’amore, come spiega bene Asor Rosa in apertura del suo volume, ma si tratta di amore in senso lato: «Joseph Conrad parla continuamente di amore (nonostante le apparenze), e ne parla in maniera fortissima e talvolta lancinante. […] Ma non si potrebbe dire con altrettanta sicurezza che l’oggetto di questo amore sia sempre la donna (anche se qualche bagliore sullo sfondo, e qualche prudente e indiretto riferimento, lo lascerebbero pensare). Oggetti d’amore più frequentemente, in questi racconti, sono una nave, il mare, il proprio destino o il mondo delle tenebre, che l’uomo stesso produce, per curiosità o per necessità, per poi restarne vittima» (p. 3).

Ciò che conta qui è la fedeltà dell’eroe a una missione di cui è difficile, se non impossibile, comprendere la ragione e lo scopo. Bisogna andare avanti, nonostante le tenebre, nonostante le tempeste, nonostante l’assenza di vento. Le prove a cui si è sottoposti sono ciò che massimamente merita di essere testimoniato, proprio perché ne rimanga traccia e si sostanzi l’avvenuto passaggio all’età virile, al tempo della responsabilità e della resistenza contro le minacce dell’esistenza. Per essere uomini, non c’è che da innamorarsi di un destino e lottare contro gli scherzi del caso, non c’è che da guardare in faccia le sventure che la natura sconosciuta offre invariabilmente.

Questo volume di Asor Rosa si concentra in particolare su tre capolavori conradiani (La linea d’ombra, Cuore di tenebra, Il tifone), per mostrare in che senso la virilità messa alla prova non sia, in fin dei conti, che il riconoscimento dei limiti della virilità stessa: le tenebre (naturali e mentali) non possono essere semplicemente attraversate, ma permangono e accompagnano l’eroe. L’esperienza estrema del mare in tempesta o quella della violenza esotica e spietata dei colonizzatori, si aprono come voragini grandiose e orrorifiche, che l’eroe, se davvero tale, deve saper guardare in faccia, andando oltre il buonsenso, l’interesse, ma anche il bene e il male. In particolare, ne Il tifone troviamo rappresentata magnificamente la dialettica fra normalità ed eroismo. In questo caso il capitano, chiamato a governare una nave in balìa di una tempesta mortale, è in egual misura un uomo banale e un uomo che non schiva il pericolo, ma che decide di attraversarlo. Uomo mediocre senza dubbio, ma nel quale pure si concretizza un valore che soltanto il destino/caso fatale sa far emergere. Ecco che la nave che gli è affidata, una specie di organo composito dove pure ritroviamo tutte le forze della vita, dalle più civili alle più selvagge, diventa in un certo senso, l’ultima barriera fra ciò che di umano e ciò che di inumano convivono nel mondo sconosciuto e infinito che ci avvolge. Le avventure di cui Conrad racconta, conservano un senso soltanto nel loro stesso svolgersi: «Non c’è eroismo, non c’è grandezza, non c’è consapevolezza del compito svolto, ma soltanto la disperata e incomunicabile lotta di ognuno con le situazioni tragiche che di volta in volta gli tocca vivere» (p. 109).

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