Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra.  Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.

Ogni lingua è in se stessa una parabola. Ogni parlata di Dio in suoni umani altro non può essere che parabola o simbolo, in concetti afferrabili egli comunica realtà inafferrabili, divine (H.U. von Balthasar, “Senza parabole non parlava loro”, capitolo 45 del volume Tu hai parole di vita eterna, Jaca Book, 1989, pp. 104-105)

L’intento della presente trattazione è quello di cogliere la dimensione attualizzante dell’insegnamento di Gesù espresso nelle parabole riportate dai Vangeli nel Nuovo Testamento. Di quale tipo di comunicazione si avvaleva Gesù per trasmettere il suo insegnamento? Egli utilizzava con maestria e autorevolezza il māshāl ebraico. Tale termine di origine semita significa: racconto, proverbio, (parabole). A partire dal secondo secolo a.C. il māshāl diventa in Israele e nel Vicino Oriente antico, oltre che negli ambienti rabbinici, un vero e proprio genere letterario e i libri di Daniele, Siracide e Sapienza costituiscono una testimonianza solida in tal senso. Gesù sovente predilige e utilizza questo metodo comunicativo per annunciare il “Regno di Dio” ed esortare i suoi interlocutori alla “Conversione” del cuore. Pertanto, le parabole riportate nei Vangeli sono intimamente connesse all’annuncio del Regno di Dio e all’appello alla conversione che è la risposta dell’uomo alla chiamata del Signore (cfr. Mc 1,15).

Gesù costruisce le parabole attingendo elementi e immagini dal mondo della natura e dalla quotidianità della vita sociale. In genere questi racconti coinvolgono due o tre personaggi e contengono quasi sempre un finale a sorpresa. Gesù utilizza il metodo parabolico e fa ricorso ad una pedagogia che – costantemente – fa appello al buon senso degli interlocutori. Con tale approccio Egli intende correggere le idee distorte su Dio e sull’essere umano che serpeggiano nel cuore dei suoi uditori e degli uomini di ogni tempo. L’azione di Dio nella storia interpella e sollecita l’essere umano a dare una risposta, a prendere una posizione/decisione che inciderà sul corso della sua esistenza. Le parabole evangeliche riflettono tali acquisizioni e si pongono all’attenzione dei credenti e dei non credenti quale patrimonio culturale di inestimabile valore pedagogico-educativo: ogni narrazione lascia uno spazio che, nondimeno, provoca e coinvolge il lettore e le lettrici a dare una risposta, a prendere una posizione in merito alla questione di Dio e al senso pieno e ultimo della vita.

Detto questo, occorre tener conto che i Vangeli sono frutto di un’elaborazione distesa nel tempo in quanto gli agiografi evangelisti hanno redatto i loro racconti solo dopo la passione e la resurrezione di Gesù. Pertanto può essere necessario ai fini di rintracciare il nucleo originario delle parabole esposte da Gesù operare una vera e propria chirurgia testuale. Molte parabole, infatti, contengono delle apposite aggiunte redazionali post-pasquali che gli agiografi hanno apportato per attualizzare l’insegnamento di Gesù ai fini di istruire nella fede le comunità cristiane a cui erano destinati i racconti dei vangeli (cfr. Gérard Rossé, Il volto nuovo di Dio: Quando Gesù parlava in Parabole, EDB, 2017, pp. 9-27). In tale contesto non si tratta di aver alterato o sovvertito l’insegnamento del Maestro ma di aver colto la portata rivoluzionaria ed epocale dell’evento dell’incarnazione del Verbo di Dio nella storia umana. Tale evento implica di per sé la forza propulsiva che la Parola di Dio ha acquisito per la vita dell’uomo. Si legga quanto segue:

La parabola coinvolge l’ascoltatore per offrirgli l’esperienza del Dio vicino. In questi racconti, che mettono in scena personaggi ed eventi della vita quotidiana, Dio stesso si rende prossimo alla vita di ogni giorno, si fa evento nell’ascoltatore (cfr. Gérard Rossé, op. cit., p. 19).

Tuttavia per intercettare adeguatamente l’intento e il pensiero di Gesù contenuto nelle parabole è opportuno rilevare altre caratteristiche del genere letterario delle parabole. Risulta interessante a tal riguardo lo studio del noto teologo e biblista belga Jacques Dupont, il quale sostiene che il metodo parabolico di Gesù sia incentrato sull’azione, abbia di mira il dialogo con gli interlocutori alla quale egli si rivolge e preserva la sua perenne validità ed attualità per tutti i fedeli inclusi i posteri. (cfr. J. Dupont, Il metodo parabolico di Gesù, Paideia, 2007, pp. 15-30).

Gesù propone il suo insegnamento adoperando una pedagogia rivelativa velata attraverso l’utilizzo del racconto della parabole. Esse, pertanto, hanno la loro “punta” nel mostrare che l’azione salvifica di Dio coincide con la missione di Gesù Cristo e allo stesso tempo disvelano all’essere umano quali sono i comportamenti da imitare e quali, invece, quelli da evitare per non subire conseguenze nefaste (ibid.). In tale prospettiva appare particolarmente rilevante – ad esempio – il racconto del buon samaritano (Cfr. Lc 10,25-37) della redazione evangelica lucana che suggerisce, appunto, agli uditori di Gesù e, con essi, ai fedeli di tutti i tempi che la carità è un tratto distintivo dei discepoli e si invita ad imitarla e a praticarla per non vivere la religione in maniera sterile e arida. Parimenti la parabola dei vignaioli omicidi (Cfr. Lc 20,9-18) si focalizza sulle azioni generose del padrone e sul comportamento disonesto dei coltivatori assassini, avidi e ingrati. Tale pericope pone in evidenza che occorre spendere bene il proprio tempo e accogliere con diligenza e riverenza l’insegnamento di Gesù che ci spiega chi è e come agisce Dio e chi è e come deve agire l’uomo. Le parabole sono composte con un linguaggio oscuro e poco chiaro ma perseguono l’intento di indurre i lettori alla riflessione, perché acquisiscono degli elementi utili per poter applicare e dipanare nella loro vita un’ etica dalla prassi adeguata. Oltre ciò, appare suggestivo rilevare che uno degli habitat originari per cogliere la ricchezza didattica delle parabole fu colto negli anni trenta del Novecento da Cadoux il quale definì la parabola un’arma di controversia (ibid, p. 33). Sulla stessa scia si pone anche l’opera monumentale di Jeremias che definisce le parabole, appunto, armi da combattimento (cfr. J. Jeremias, Le Parabole di Gesù, Paideia, 20002). Stando a queste teorie Gesù fa ricorso alle parabole per controbattere le accuse che gli venivano mosse dalle autorità religiose e politiche del suo tempo. Nel fare ciò, egli dispiegava ai suoi interlocutori il mistero di Dio e il mistero dell’uomo. Si legga quanto segue:

Esse dimostrano che Gesù non soltanto ha proclamato il messaggio delle parabole, ma le ha vissute e incarnate nella sua persona. Gesù non annuncia soltanto il messaggio del Regno di Dio, egli nello stesso tempo lo è (J. Jeremias, Le parabole di Gesù, Paideia, 1967, pp. 276-279).

Le parabole, così come sostiene lo stesso Jeremias, sono radicate nella storia concreta di Gesù Cristo ma al tempo stesso la trascendono. Attraverso il racconto enunciato all’interno della trama narrativa della parabola si è rimandati alla dimensione escatologica  e metastorica dell’esistenza. Pertanto, esse  nascono e si sviluppano come una vera e propria apologia dell’insegnamento del Nazareno. Tuttavia, benché in tale contesto risiede la loro genesi è possibile cogliere ulteriori sviluppi del metodo parabolico adoperato da Gesù. Il racconto delle parabole di Gesù si “incrocia” con l’esistenza dei suoi interlocutori in quanto, tiene conto del loro punto di vista su un determinato argomento inerente l’essere e l’agire di Dio e conseguentemente l’essere e l’agire dell’uomo. Gesù non disdegna il suo uditorio e i suoi avversari, ma al contrario attraverso le parabole egli fa comprendere loro che li ha ascoltati ma gli propone un “punto di vista” diverso e che va oltre o totalmente in direzione opposta della loro visione della realtà (J. Dupont, op. cit., pp. 31-55). La dimensione relazionale, quindi, resta un aspetto centrale e fondamentale per una conoscenza e una comprensione più profonda delle parabole. Si legga quanto afferma Joseph Ratzinger in merito:

Che cos’è propriamente una parabola? E che cosa vuole colui che la racconta? […] Si tratta di un duplice movimento: da un lato, la parabola trasporta la realtà lontana vicino a coloro che l’ascoltano e la meditano. Dall’altro viene messo in cammino l’ascoltatore stesso […]. Ciò significa, però, che la parabola richiede la collaborazione di chi l’apprende, che non solo riceve un insegnamento, ma deve assumere egli stesso il movimento della parabola, mettersi in cammino con essa […]. (Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, pp. 228-230).

Le parabole nei Vangeli costituiscono una vera e propria forza persuasiva che in virtù dell’esperienza si propongono come un itinerario di conversione  e di paideia per la vita dell’essere umano. Tale itinerario, ha di mira la formazione e l’educazione della coscienza ai fini di far acquisire agli uomini e le donne di tutti i tempi i criteri adeguati per evitare il male e compiere il bene.

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