Stefano Berni (1960) è docente di Filosofia e scienze umane nei licei. È stato professore a contratto presso la cattedra di Filosofia del diritto dell’Università di Siena, assegnista e dottore di ricerca. È tra i fondatori e nel comitato scientifico della rivista “Officine filosofiche” dell’Università di Bologna e Presidente della Società Filosofica Italiana di Prato. Le sue ultime pubblicazioni sono: Potere e capitalismo. Filosofie critiche del politico (Pisa 2018); Etiche del sé. Foucault e i Greci(Firenze 2021); L'alchimia del potere. La filosofia politica di Hannah Arendt (con Antonio Camerano; Milano 2022).

Recensione a: M. Salucci, Dalla mela di Newton all’Arancia di Kubrick, thedotcompany edizioni, Reggio Emilia 2022, pp. 284, € 23,90.

Usare la letteratura per spiegare la scienza permette una esposizione molto più intrigante e affascinante che “prende” il lettore e lo introduce nel mondo apparentemente più difficile della storia della scienza e della logica. Nel libro di Marco Salucci, filosofo di impostazione analitica, il difficile confronto tra “le due culture”, apparentemente così distanti, sembra risolto, e tutte quelle barriere che sembrano dividere il sapere razionale da quello letterario sembrano superate. A prima vista può sembrare una forzatura. I due mondi spesso parlano un linguaggio incommensurabile. Eppure, nel lavoro di Salucci, utilizzando una scrittura elegante ma comprensibile, questo muro, che divide i due campi del sapere, sembrerebbe, a prima vista, cedere. Semmai ci sarebbe da domandarsi perché un filosofo della scienza, così convinto della intrinseca razionalità della sua disciplina, possa abbandonarsi alle lusinghe della letteratura. Il fatto non dimostrerebbe che esiste una razionalità anche al di fuori della logica scientifica? La scienza, dunque, non solo non è avulsa da altre discipline, ma dipende anche dalla cultura e dalla società nella quale è inserita.

Nel suo percorso storico Salucci narra di varie scoperte e invenzioni della scienza che non erano state comprese dagli scienziati dell’epoca, come per il caso di Galileo o del medico Semmelweis. Noi potremmo aggiungere: Aristarco, Democrito, Leonardo, Mendel, Wallace e tanti altri: quanti sono gli scienziati non ascoltati e non compresi dalla comunità scientifica del loro tempo ma alla quale appartenevano? Questo dovrebbe convincere anche l’Autore che, sebbene la scienza abbia una razionalità intrinseca autocorrettiva, spesso “dipende” dalla cultura e dalla società nella quale è inserita. Gli scienziati non sono esseri soprannaturali che agiscono in condizioni neutre e oggettive, ma risentono pesantemente dalla cultura nella quale sono immersi e possono essere condizionati sia dalle scelte professionali sia da preferenze personali. Non solo dunque la scienza modifica e condiziona il nostro modo di vedere il mondo e anche di viverlo, ma anche è condizionata dalle scelte politiche, culturali, sociali, economiche. La scienza è fatta da uomini in carne ed ossa che non sono sempre razionali ma sono corruttibili e influenzabili, soggetti a passioni e a interessi personali. Dunque, uno dei maggiori problemi della scienza è la sua democraticità. Se possiamo credere che il metodo scientifico galileiano sia un baluardo della scienza e della democrazia (laddove c’è quella, vi dovrebbe essere anche l’altra) e che al suo interno la scienza possa (più o meno) mantenere un metodo democratico di controllo e di verifica delle conoscenze, non sempre, purtroppo, essa è veicolata o è veicolo della democrazia. Dunque, la scienza è solo e sempre un miglioramento razionale della conoscenza o è anche una forma del pensare che influenza ed è influenzata dalle nostre attività extra scientifiche? La scienza ci fornisce nuove conoscenze che hanno una ricaduta sia nel modo di pensare, sia anche sul piano delle attività pratiche, come le nuove forme di sapere culturale e tecnologico.

Quello che è più visibile, è sicuramente la manus longa della scienza, ossia la tecnologia. Il progresso scientifico è reso visibile proprio dai mezzi tecnologici e dalle invenzioni che vengono prodotti e che permettono una vita apparentemente più facile per l’umanità. Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti che ci siano anche tante problematiche relative alla produzione tecnologica. L’impatto di certi mezzi sulla vita degli uomini, se da un lato ha facilitato la loro esistenza, dall’altro ha prodotto disastri, inquinamento, macchine da guerra distruttrici e pericolose. Non regge la difesa della scienza nel defilarsi e nel difendersi, sostenendo la sua presunta neutralità, come se, lo dicevamo, fosse avulsa, pura e ingenua, fuori dalle questioni socio-politiche. Gli scienziati sono corruttibili, come tutti gli altri uomini. Se sono pagati per inventare una nuova arma di distruzione di massa, sono sicuro che la costruirebbero. Oggi, lo scienziato non è più uno che vive nel suo piccolo laboratorio artigianale, ma lavora al servizio delle grandi corporation: a decidere le sorti della scienza sono i finanziamenti e l’economia. Diesel, per fare un solo esempio, sembra avesse progettato un motore non inquinante ma i petrolieri insistettero diversamente e lo convinsero ad usare il petrolio. La scienza, dunque, come ogni campo del sapere, rientra pienamente all’interno di un canone, di una norma, è influenzata da una serie di abitudini e credenze (Hume) relative al tempo in cui lo scienziato abita; ad un “modello”, ad una “episteme” (per dirla con Foucault); ad un “paradigma” (per usare il termine più noto di Kuhn). Proprio perché il modello affermatosi nella modernità è quello razionale, positivista, scientifico assistiamo oggi ad un tentativo della società di scientifizzare ogni ambito disciplinare. Nella storia, nella pedagogia, nella psicologia si applica il metodo scientifico e lo si vorrebbe estendere a tutto lo scibile umano. La logica è: se questo metodo è risultato vincente e funziona, applichiamolo a tutti gli altri saperi umani. Tuttavia questo modo di pensare ha ormai mostrato i limiti: la scienza è capace di misurare, quantificare, matematizzare, calcolare, soppesare, osservare; ma non è capace di cogliere le qualità, le peculiarità, le nuances, le individualità, le peculiarità. Insomma, per dirla tecnicamente, è una scienza nomologica ma non idiografica.

Uno dei motti più interessanti della scienza è: non credete ma verificate! Una filosofia del sospetto e del dubbio ha permesso alla scienza di evolversi e di uscire dalle credenze e dai pregiudizi a cui accennavamo prima. Ma allora perché credere tout court alla scienza? “Credere alla scienza” non è già di per sé una frase antiscientifica? In più il verbo credere, almeno in italiano, è ambiguo: significa supporre ma anche essere convinti. Tutta la filosofia analitica poggia i suoi ragionamenti sul verbo credere. Ma le credenze non sono né vere né false. Credere è un verbo di opinione: quando lo si usa, si sa che la nostra credenza potrebbe essere falsa o vera, ma, dal momento che una credenza è falsa (o vera), non è più una credenza. La filosofia analitica poggia i suoi ragionamenti solo per trovare una coerenza e una logica interna del discorso, dando per assodato che quella frase indichi una sola realtà. Ma come si dimostra che tra linguaggio e realtà vi sia un isomorfismo tale per cui, se si ragiona bene, allora la realtà non ci contraddice? Le correlazioni vanno dimostrate e non bastano le statistiche. Ricorrere alle statistiche, come avviene per esempio in campo medico, non è garanzia di certezza. Inoltre, le statistiche vanno interpretate. Ma allora la medicina è un sapere scientifico oppure è una disciplina empirica? Nel libro, Salucci non scioglie il nodo. Se la medicina si basa su statistiche, e le statistiche annuali mi dicono che ci sono state molte più morti durante la pandemia rispetto agli anni precedenti, è sufficiente scorporare dalla somma i morti per Covid? Oppure c’è stato un aumento da imputare a qualcosa d’altro: alla paura? Alla suggestione? Al vaccino stesso? All’effetto nocebo? Insomma anche la scienza si basa spesso su convinzioni e non mette in discussione sé stessa, anzi opera, come si è visto recentemente, una censura sia dibattito interno sia al dibattito pubblico.

Salucci, nel suo bel libro, insiste nel sottolineare come le persone ancora oggi adottino un modo di pensare non razionale, accostandosi a pseudo discipline come la cartomanzia, l’astrologia, la magia, la religione. Ma, oltre a sottolineare che la scienza è ancora poco insegnata a scuola, forse dovremmo domandarci se la scienza assolva e risponda a tutti i quesiti, alle istanze e alle esigenze che si pongono gli uomini. Provocatoriamente, se si crede alla teoria della gravità dei corpi celesti, una forza occulta che opera nell’universo, che sposta stelle e pianeti, perché non credere che la luna, oltre ad alzare le maree, possa far crescere i capelli, far venire mal di testa ma anche condizionare i nostri umori cerebrali? Se non si può credere alla astrologia perché non è una scienza quantitativa, come spiegare che molti scienziati convivono credendo in dio? Almeno l’astrologia è qualcosa di più empirico rispetto alla religione. Per secoli chi studiava le stelle era astronomo ma anche astrologo. Galileo realizzava ancora gli oroscopi. Era un neoplatonico. Il mondo sarebbe scritto in caratteri matematici e questo dimostrerebbe l’esistenza di dio: “Dio non gioca ai dadi”, diceva Einstein contro i teorici dei quanti che introdussero nella scienza l’idea di probabilità. Oppure prendiamo l’omeopatia, che Salucci pone tra le pseudoscienze. Come spiegare allora che sia accreditata presso il ministero della salute italiano e praticata regolarmente da diversi dottori negli ospedali italiani? Se non è una scienza, allora perché è accettata secondo i canoni del riconoscimento scientifico? Ha passato i controlli o non li ha passati? Dovremmo supporre che allora qualcuno bara, trucca i risultati? Da ciò si conferma quello che si stava dicendo: la scienza è tale perché vi è una comunità di scienziati composta da uomini (come tutti, corruttibili) che decidono anche sulla base dei propri interessi e possono modificare i risultati o fingere di non prenderli in considerazione. È stato effettuato il controllo del doppio cieco? È stato eseguito dalle stesse agenzie che producono il farmaco o da agenzie indipendenti? D’altronde è la stessa cosa che è successa per il vaccino anti-Covid. Il doppio cieco è stato eseguito ma dalla stessa azienda che ha prodotto il farmaco. Probabilmente, deve essere una consuetudine. Dobbiamo avere fiducia della scienza! Ma chi crede alla scienza, è un credente, non un pensante: mero scientismo. È più razionale colui che solleva alcuni dubbi o colui che crede incondizionatamente alla verità della scienza? Tutta la storia della scienza dimostra che progredisce per tentativi ed errori, offre verità rivedibili, verità parziali, quindi il razionalismo, per essere tale, deve essere sempre critico e autocritico altrimenti non è razionalismo.

Tra le fallacie retoriche e argomentative del linguaggio, in una parte del libro estremamente interessante, Salucci pone, giustamente, il principio di Autorità. Tale principio si basa sull’assunto che ci fidiamo della validità di una affermazione unicamente perché pronunciata da una autorità competente. Ma questo è quello che accade quotidianamente! Ci fidiamo dell’elettricista, del meccanico, come ci fidiamo dell’insegnante, del medico o del politico perché non è che ogni individuo possa sapere tutto, e il fatto, come sottolinea Salucci, che ci dovremmo rivolgere a persone competenti, questo presuppone però che noi saremmo capaci di distinguere un competente da non incompetente. Ma questa capacità include il fatto che noi già dovremmo sapere discernere una competenza prima di scegliere! Ciò è impossibile. Pertanto in una società come la nostra, la maggior parte delle persone si fida, o è costretta a fidarsi, dell’Autorità, come si fida di ciò che pensano gli altri: argumentum ad populum. È esattamente quello che sempre succede in una società di massa come la nostra in cui le competenze sono specifiche e professionalizzate, ed è quello che è successo anche nel periodo del covid: ci siamo fidati delle Autorità politiche e mediche. Interessante è anche un’altra fallacia, quello che Salucci definisce come “l’avvelenamento del pozzo”: “il medico che fuma non confuta la argomentazione che il fumo fa male”. Anche qui la logica ferrea dell’argomentazione non coincide con “il principio di realtà”. Infatti gli uomini imparano per imitazione, attraverso gli esempi pratici: siccome un paziente non è uno scienziato, e appunto si deve fidare del medico, l’azione del competente contraddice quello che dice (in psicologia si chiama dissonanza cognitiva o doppio legame) e dunque mette in dubbio proprio il principio di autorità su cui si basava la fiducia. Se il medico dice che il fumo fa tanto male, lui che dovrebbe conoscere gli effetti nocivi del fumo, perché fuma? È stupido o è bugiardo? Pensiamo ad un esempio ancora più eclatante: ad un padre che cerca di insegnare al figlio che non deve fumare, mentre lui continua a farlo. Credete che il figlio lo ascolterà? Oppure pensiamo ad un insegnante, o ad un politico la cui coerenza e onestà è richiesta come esempio da seguire per i concittadini e invece approfitta della sua posizione per rubare. Ecco che gli esempi che diamo ai nostri figli sono fondamentali: non basta la scuola e l’insegnamento ma occorrono comportamenti adeguati e coerenti da parte dell’intera comunità.

L’Autore affronta e discute giustamente sia dei rischi seri per la democrazia odierna, soggetta al condizionamento mediatico, il quale può orientare il modo di pensare dell’opinione pubblica, sia delle grandi questioni relative alle scoperte e alle invenzioni nel campo delle neuroscienze, dell’informatica, della robotica, dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, perché escludere che la scienza e i suoi scienziati non possano indirizzare in un certo modo l’opinione pubblica stessa? Perché escludere che questo immenso sapere tecnologico non possa essere usato anche per controllare e manipolare la popolazione? Di nuovo, la scienza non è super partes. Si è visto quale schieramento di forze mediatiche è stato messo in campo per far fronte alla campagna di informazione in merito al Covid, e si è anche osservato la pochezza, anzi la mancanza, di un dibattito serio in merito alla vaccinazione, giustificato solo in parte dalla tempistica e dallo stato emergenziale. Allora, non ci resta che sperare, parafrasando Hölderlin, che, laddove c’ è il pericolo, accresca anche la possibilità di salvezza.

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