Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.
A cura di Giusy Capone
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L’Ucraina è una terra di confine nel centro dell’Europa. “La porta verso l’Europa per terra e per mare”. Lo stesso termine Ucraina significa “sul confine”. È il suo essere luogo di attraversamento a renderla luogo di contesa?
Sì, ma purtroppo soltanto per un manipolo di specialisti. Nel discorso pubblico non ha fatto breccia. Dopo un anno sembra che siamo ancora al punto di partenza nella comprensione del fenomeno. Ucraina nasce come termine geografico, non nazionale, determina una posizione, non un popolo: confine tra le terre russe e quelle mongole da una parte, polacche dall’altra. È una terra di passaggio per secoli, un passaggio unilaterale, non bilaterale: i popoli del nord eurasiatico, costretti al movimento dal gelo e dalle steppe o dal deserto, erano obbligati a spostarsi e a Sud trovavano le ricche civiltà, in Europa quella romana. Crolla la Roma occidentale, ecco la novità, la Russia, che tuttavia dopo un secolo si divide in una miriade di principati. Meglio ribadirlo, qualcuno oggi spaccia la Rus’ di Kiev (espressione ottocentesca) per un corpo unito e legittima la riunificazione di Russia e Kiev. Arrivano gli ennesimi popoli nomadi, i mongoli, terrore dell’Europa e della Cina, ma si smembrano anche loro. Nessuno può fondare qualcosa di stabile in terre impervie: gli unici sono i Russi di Mosca, che preso possesso del Nord gelido tra Baltico e Artico, commerciano con Inghilterra e Svezia. L’antica propaggine dei principati a Sud verso il Mar Nero rimane staccata e continua a chiamarsi Ucraina, ma cade nelle mani polacche e lituane. Perché? La Russia di Mosca è debole, dall’altra parte preme la Germania che da secoli si espande verso Est: Polacchi e Lituani decidono una fusione tra loro che durerà fino al 1795, permettendogli di difendersi da Russia e Germania.
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Precedentemente al 1991 l’Ucraina non è stata uno Stato. Oggi ha confini ed un governo autonomo ma in qual misura dipende economicamente dalla Russia?
Questa è una verità storica, ma purtroppo parziale. Lenin riuscì a creare una Repubblica di Ucraina ma confluita nella nuova federazione, l’Urss: per la prima volta l’Ucraina era uno Stato ma dentro la Russia. Stalin la riunificò con la parte polacca, dopo l’accordo con Hitler, il patto Molotov-Ribbentrop. Ma Stalin aveva già fatto la prima mossa per distruggere l’identità ucraina: le collettivizzazioni forzate non soltanto facilitarono o causarono la morte di milioni di persone, ma distrussero il tessuto principale dell’Ucraina, per secoli terra di piccoli proprietari terrieri. Poi fece la seconda, la distruzione del passato multinazionale: deportò tutti i non ucraini, ovviamente russi esclusi, di cui continuò a favorire l’arrivo. Non appena l’Urss, erede dell’impero russo, cedette, l’Ucraina proclamò l’indipendenza politica. Economicamente dovette però dipendere da prestiti europei e dalla Banca Mondiale. Eppure l’Ucraina aveva le ricchezze, ma finivano nella mani della neonata oligarchia, che ancora oggi fa il bello e il cattivo tempo. La Russia era a terra, non ci si poteva contare, se non per le forniture di gas. Quando la Russia rialzò la testa a metà anni Duemila, cominciò a mandare denaro in Ucraina, ricattandola con le restrizioni di gas dall’altra. Erano modi neanche tanto velati per controllarla. L’amara verità è che soltanto un’Ucraina libera dagli oligarchi potrebbe essere indipendente economicamente perché equidistante tra Occidente (Usa e Ue) e Russia.
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Orbene, la tesi è che l’Ucraina sia una terra russo-europea. Si può pensare che le vicende che la affliggono dimostrino che l’Eurasia sia l’unica soluzione possibile per far convivere Russia ed Europa?
Credo di sì. L’Europa è atlantica quanto è anche asiatica, anzi la maggior parte della storia europea nasce in relazione all’Asia. Dal 1945 a oggi abbiamo potuto credere che questa storia non contasse più, oggi la crisi con la Russia ce la ricorda. Soprattutto lo ricorda alla Germania. L’intera area dell’Europa centro-orientale non ha mai conosciuto soggetti politici forti, ad eccezione della Polonia-Lituania. A tutti faceva comodo, per potersela spartire: russi, tedeschi, austriaci, ottomani. L’Ucraina è il maggior rappresentante di questa storia, anzi direi testimone di questa memoria. Una terra da spartire in cui è meglio non avere nemmeno confini precisi. Quando la Germania crollò durante la II Guerra Mondiale, la Russia si impadronì dell’intera area: poté farlo perché la Germania era divisa in due. Purtroppo, l’Europa non ha un confine che la divida dall’Asia, ma uno Stato come la Russia che è eurasiatico. Oggi Germania e Russia devono fare pace con la propria storia, che le ha portate per secoli a contendersi le terre che le dividevano. Inoltre, la Germania dipende dall’energia russa, la Russia dipende dal denaro tedesco. Come Kissinger proclama dal 2014, l’Ucraina è il luogo in cui Russia e Ue devono trovare un ponte tra loro, poiché essa è sia russa sia europea. È l’occasione, aggiungo io, di ripensare l’Europa.
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Il taglio dei suoi studi è, al contempo, storiografico ed antropologico. Quanto incide la categoria storico-filosofica di “civiltà” nella comprensione della Storia?
La categoria di civiltà per me ha rappresentato un punto di partenza, un’ipotesi di ricerca. Per esempio, mi sorprendeva che per secoli le nazioni del Medio Oriente convivessero meglio quando erano parte di un impero. Le nazioni mi sono sempre sembrate episodiche, più giuste degli imperi ma incapaci di rappresentare valori comuni di una civiltà, come per esempio quella europea. Oggi noi lo sappiamo bene. Che dire che dalla comune civiltà greco-romana germogliano quattro civiltà, europea, bizantina, islamica, russa? Ecco, la categoria di civiltà deve essere integrata con quella di confine: più forti sono le relazioni e addirittura le pressioni, più una civiltà ha l’occasione di plasmare se stessa. Si arricchisce proprio perché confina con altre. I confini accomunano, oltreché dividere. Soltanto così potremo avvicinarci a comprendere la storia universale, accantonando l’idea di nazione e seguendo il filo delle civiltà e dei confini. Certamente, il confine implica occasione di conflitto insieme allo scambio.
Un’ultima questione. La Germania è il Paese che più d’ogni altro ha costruito sull’idea di civiltà la propria politica ma anche la propria filosofia. Perché? Essa era l’erede politica di Roma, cioè del passato: Sacro Romano Impero (Germanico). Fu sorpresa dalla modernità e si divise in due: una nuova Germania, nata dalla Prussia, una più antica, attorno alla corona austriaca, in rapporto alla tradizione. Sul piano filosofico, non c’è pensatore tedesco da Kant a Nietzsche, da Mann a Spengler, che non abbia fatto proprio questo dilemma: Kultur (Cultura cioè antichità e passato) o Zivilization (Civilizzazione cioè progresso)? Oggi la questione torna, perché il passato non è passato, la Germania deve fare i conti con i suoi rapporti con un’Europa più progressista a Occidente, più tradizionalista a Oriente. Si trova lì in mezzo.
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Lei, Professore, è un filosofo delle civiltà antiche. Qual è il lascito della storia greca, in particolare?
La storia greca rappresenta per noi un dilemma: un’anticaglia per pochi oppure una vera eredità per tutti? Sembrano secoli ma era ieri quando ci affannavamo sulle “radici greco-cristiane” dell’Europa. In ogni caso, i Greci per i rivoluzionari francesi non erano un’anticaglia bensì ispirazione: avevano fondato la democrazia. Mentre Napoleone furoreggiava, Constant li accusò di aver confuso due democrazie: quella greca, reale, nata dal bisogno di comune partecipazione al potere con quella attuale, utopica, invece radicata nel comune bisogno di difesa dal potere. Marx riteneva il comunismo il ritorno di un’idea greca, la comunità, superiore allo scontro di classe tra ricchi e poveri, ma gli rimase, forse per sempre, irrisolta una questione: l’eguaglianza, anche i Greci la imponevano con la forza del potere, ovviamente quando esso era giusto.
Ecco, la grandezza dei pensatori greci era la loro libertà di pensiero. Se scrivevano per qualche potente erano così raffinati da scrivere tra le righe. Ma per capirli bisogna davvero essere al di sopra di ogni ideologia.
Agli occhi di un nazionalista, Omero canta la superiorità dei Greci sui Troiani, se lo si legge liberamente, mostra che i Troiani hanno gli stessi Dei greci e sono pronti a difendere una donna, Elena, mentre per i Greci è soltanto un trofeo del loro onore: Achille per una donna-trofeo smette di combattere, per un uomo di cui è innamorato riprende la guerra. Testimonianza grandiosa dell’insensatezza di ogni guerra: ad Achille la conquista di Troia non interessa nemmeno.
Erodoto sembra l’ideologo di Pericle, vincolato a cantare l’eccezionalità ateniese, ma dedica alla Persia la maggior parte dei suoi libri: era l’occasione per indagare storia e costumi di tutti i popoli che i persiani andavano sottomettendo. E lascia cadere anche una critica nemmeno velata ai Greci, fondatori della democrazia: intanto la stavano trasformando in un impero, avessero voluto distinguersi dai persiani avrebbero dovuto fare altro. Tucidide, suo erede, mostra che per esser imperi Sparta e Atene stavano conducendo l’intera Grecia alla distruzione.
I Greci sono straordinari: insegnano qualcosa di universale, cioè che gli imperi sempre esistono, ma anche i loro limiti, che le democrazie sono possibili ma possono convivere con gli imperi. Se si cerca un’ideologia non la si trova, oppure la si trova ma insieme alla sua critica.
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Federico Leonardi ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita; Rubbettino, 2020); Nel cuore dell’Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022). Collabora con RAI Cultura-Filosofia e “Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee”.