Stefano Berni (1960) è docente di Filosofia e scienze umane nei licei. È stato professore a contratto presso la cattedra di Filosofia del diritto dell’Università di Siena, assegnista e dottore di ricerca. È tra i fondatori e nel comitato scientifico della rivista “Officine filosofiche” dell’Università di Bologna e Presidente della Società Filosofica Italiana di Prato. Le sue ultime pubblicazioni sono: Potere e capitalismo. Filosofie critiche del politico (Pisa 2018); Etiche del sé. Foucault e i Greci(Firenze 2021); L'alchimia del potere. La filosofia politica di Hannah Arendt (con Antonio Camerano; Milano 2022).
Semmelweis (1818-1865), il famoso medico ungherese, si rese conto che, lavando le mani ai medici nel suo ospedale di Vienna, calavano le morti tra le puerpere. Tuttavia la sua congettura andava dimostrata agli altri medici e scienziati attraverso delle prove certe, in questo caso basate sulla statistica. La sua ipotesi infatti si fondava su evidenze empiriche ma la scienza chiedeva prove ulteriori corroborate da una vera e propria Teoria. In particolare Semmelweis fu osteggiato dai suoi stessi colleghi in primo luogo perché avevano bisogno di prove più sostanziali, in secondo luogo perché le credenze scientifiche si basavano su abitudini consolidate. In terzo luogo, chi aveva l’autorità non era disponibile a piegarsi all’opinione di un giovane studioso, né riconoscere una verità scomoda e soprattutto di ammettere di avere torto. Lui dovette combattere a lungo contro quella cultura scientifica conservatrice non disposta a modificare il proprio “paradigma” (Kuhn 1969) di riferimento, fosse anche in buona fede, perché basata su modelli consuetudinari acquisiti nel corso del tempo e su un prestigio a cui non si voleva rinunciare.
Già nel 1846 nell’ospedale di Vienna, Semmelweis impose l’uso di lavarsi le mani ai suoi studenti di medicina, che lo denigravano e lo deridevano in un periodo nel quale il sangue sul camice bianco del medico simboleggiava il prestigio del chirurgo. Ancora nel 1858 l’Accademia di Medicina di Parigi respinse le tesi del medico ungherese. Bisognerà aspettare gli studi di Pasteur nel 1879 per capire che Semmelweis aveva ragione. Eppure, tale vicenda non fu una semplice diatriba tra colui che porta la verità e coloro che sono dei trogloditi, ma in quel particolare momento storico rappresentò uno scontro di idee tra quello che si credeva fosse la verità e una proposta nuova che stentava ancora ad imporsi. Sostenere che Semmelweis fosse l’unico a utilizzare la logica in modo corretto e gli altri invece cadessero in fallace argomentative o logiche come «la fallacia del conseguente» (Salucci 2022, 45) mi sembra una posizione troppo audace. Ammesso che sia vera questa ipotesi, dovremmo allora supporre che la maggior parte degli scienziati abbia un quoziente intellettivo piuttosto basso?
È vero semmai che il progresso della scienza non si risolve in un semplice confronto e discussione tra uomini liberi, disposti ad accettare le idee dell’altro, nel pieno delle loro facoltà intellettuali, ma si svolge in un quadro storico ben definito dove la novità, per quanto veritiera, trova fatica a farsi strada, soprattutto perché ogni uomo tende a produrre e difendere la propria verità e soprattutto i propri interessi extra-scientifici.
Non cogliere gli aspetti psico-storico-culturali, economici, politici che stanno alla base dell’agire umano significa supporre che la scienza si collochi (o abbia la presunzione di collocarsi) in un mondo platonico, nell’iperuranio, al di sopra degli interessi umani. Significa supporre (e desiderare) che i “figli” (le idee, le scoperte, le invenzioni) nascano per una sorta di partenogenesi e non siano invece il frutto di incroci continui. Fuori di metafora, la filosofia analitica confonde ciò che vorrebbe con quello che effettivamente è, l’ideale con il reale. Al contrario la scienza, come tutto l’agire umano, è uno confronto/scontro tra uomini che difendono, per svariare ragioni, teorie diverse. Quello che vediamo a posteriori è un’unica linea ma che in realtà è frutto di numerosi tentativi e strade percorse e non concluse. Semmelweis arrivò troppo presto in un periodo in cui non erano ancora pronte le basi per un cambiamento e di quella che potremmo chiamare anche verità se non fosse che anche gli altri erano scienziati che pensavano di essere dalla parte della verità. Quanti Semmelweis ci siano stati prima non è dato saperlo, ma sicuramente non sarebbero stati ascoltati neanche di fronte a prove inconfutabili. La storia è piena di studiosi e scienziati che hanno scoperto cose le quali solo più tardi sono state credute per vere. Semmelweis fu fortemente osteggiato, e solo dopo la sua morte la sua ipotesi ebbe il riconoscimento della comunità scientifica. Dallo studio della storia della scienza apprendiamo anche il fatto che non solo alcuni scienziati sono stati compresi molto tempo dopo, ma anche che spesso certe scoperte o invenzioni avvengono incredibilmente nel giro di poco tempo. Chissà quante invenzioni e scoperte ancora oggi non sono credute per vere!
Questo significa che la storia non si muove in una sola direzione. Non si può confondere lo storicismo hegeliano e posthegeliano dove tutto è visto come predeterminato e finalistico da un’idea di storia in cui si riconosce che gli uomini sono immersi in un orizzonte culturale che determina o ha determinato, almeno in parte, le proprie scelte (Santambrogio 2024). Il pesce è libero di muoversi in ogni direzione, ma nessuno può negare che si muova nell’acqua e viva in un ambiente specifico e adatto per lui. Pensare, come ragionano i filosofi analitici, che tutto sia risolvibile attraverso la razionalità e la logica, e non contestualizzare storicamente e culturalmente i processi cognitivi, da un lato è sopravvalutare l’intelligenza umana e dall’altro cadere nel riduzionismo. Rispetto al primo caso purtroppo non possiamo dedurre dalla realtà che tutti gli uomini siano onniscienti e intelligenti e non sottostiano invece a dinamiche molto più prosaiche, come seguire i propri interessi e i propri personalismi. Nel secondo caso, pensare che l’uomo sia dotato soltanto di una Mente logico-linguistica capace di raggiungere la verità eterna (Santambrogio 2024, 97-100), disconoscendo la sua natura fisico-emotiva-corporea perché non può esprimersi linguisticamente e scientificamente, mi sembra un evidente paradosso che ormai fortunatamente la scienza stessa sta risolvendo con gli studi delle neuroscienze.
Dunque, per capire il caso Semmelweis, occorre contestualizzare, storicizzare, comprendere la psicologia sociale dei personaggi. Non possiamo disconoscere, almeno da un punto di vista lato senso pedagogico, che le conoscenze vadano comunque inquadrate in un processo e in un contesto che va dal semplice al complesso. Semmai è proprio la filosofia analitica stessa che ammette, almeno implicitamente, un progresso di tipo storicistico, lineare e razionale della scienza e della logica. Nel positivismo, e nel suo fondatore Auguste Comte, era già presente la fiducia dogmatica della scienza, della credenza del progresso e della Verità. Insomma, non c’è una grande differenza tra Hegel e Comte. Si legga con attenzione questo ragionamento: «Se tutto scorresse continuamente e nulla rimanesse fisso per sempre, non sarebbe più possibile arrivare a conoscere qualcosa del mondo e tutto precipiterebbe nella confusione. Se cercassimo di definire i concetti in base alla loro origine storica, tutto risulterebbe soggettivo e alla fine dovremmo fare a meno della verità» (Santambrogio 2024, 80). Il ragionamento è chiaramente tautologico: si vuole dimostrare la falsità della premessa perché falsificherebbe l’idea che la verità esista. Siccome si dà per scontato che la conclusione sia falsa, allora deve essere falsa logicamente anche la premessa. Inoltre, non si tiene conto che anche la premessa del sillogismo, secondo la quale il contesto storico è rilevante, potrebbe essere considerata legittimamente una proposizione vera. Quello che preoccupa non è la linearità del progresso e le sue leggi, ma proprio la difficoltà di poter “conoscere qualcosa del mondo” e di dover fare a meno della Verità.
Insomma, il caso Semmelweis è utilizzato dai filosofi analitici come paradigmatico per dimostrare che “la Verità”, (la bontà, la giustizia), trionfa sempre. Come invece abbiamo tentato di mostrare, e come insegna anche la psicologia della Gestalt, potremmo vedere, nel caso Semmelweis, proprio il contrario, ossia la storia di un fallimento. Dovremmo domandarci piuttosto: come è stato possibile negare per quaranta anni da parte della Scienza una semplice evidenza?
Bibliografia
Céline L.F., Il dottor Semmelweis, Adelphi, Milano 2022
De Chirico T., Lo strano caso del dottor Ignazio Filippo Semmelweis, Mnamon, s.l. 2023.
Kuhn T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969.
Salucci, M., Dalla mela di Newton all’Arancia di Kubrick, thedotcompany, Reggio Emilia 2022.
Santambrogio M., Filosofia e storia, La nave di Teseo, Milano 2024.