Federico Tinnirello (1996) si è laureato in Filosofia e, successivamente, in Scienze Filosofiche all'Università degli studi di Catania discutendo una tesi sul pensiero di Ludwig Wittgenstein. Attualmente è allievo diplomando presso la Scuola Superiore di Catania.
Recensione a
L. Wittgenstein, Diari Segreti
a cura F. Funtò e prefazione di L. Perissinotto
Meltemi Editore, Milano 2021, pp. 174, €10.00.
I Diari segreti sono stati pubblicati per la prima volta in Italia nel 1987, e poco tempo dopo, Elizabeth Anscombe, allieva ed esecutrice testamentaria di Ludwig Wittgenstein, mostrò tutto il suo dissenso, poiché riteneva che questi Diari, i quali raccontano l’esperienza di Wittgenstein durante la Prima guerra mondiale fra il 1914 e il 1916, contenessero soltanto delle annotazioni di carattere personale, senza alcuna rilevanza filosofica. In realtà, Elizabeth Anscombe voleva – come tutti gli allievi diretti del filosofo austriaco – conservare un’immagine del maestro, per così dire, intonsa, e cioè intenta a trascurare gli aspetti privati per concentrarsi solo su quelli strettamente filosofici e concettuali.
Di diverso avviso rispetto alla Anscombe è Luigi Perissinotto, il quale, nella prefazione a questa nuova edizione dei Diari segreti, annota che «non è facile […] condividere questo atteggiamento. Innanzitutto, perché esso si basa sull’assunto, tutt’altro che scontato, che nel lascito di un filosofo il materiale privato (personale) sia sempre facilmente distinguibile dal pubblico (dal filosofico)» (pp. 13-14). Questa distinzione è molto spesso artificiale o, comunque, difficile da tracciare, soprattutto nel caso di Wittgenstein, dal momento che l’esperienza da soldato nella prima guerra mondiale non rimase qualcosa di strettamente “personale”, ma influenzò la composizione e l’evoluzione della sua prima grande opera[1], e cioè il Tractatus logico-philosophicus.
Nei Diari segreti emerge, dunque, l’unione profonda tra filosofia e vita, che diventano indisgiungibili non soltanto nella riflessione concettuale, ma nell’esperienza quotidiana dello stare al mondo. Ed è per questo che le annotazioni di Wittgenstein non devono essere lette come un puro resoconto di guerra, bensì come una tensione autentica verso la comprensione del senso del vivere.
Infatti, a questo proposito, le annotazioni dei Diari segreti ci permettono di comprendere, da un lato, lo stato d’animo e la percezione emotiva con cui Wittgenstein visse e partecipò alla guerra e, dall’altro lato, come l’esperienza della guerra portò il filosofo austriaco a riflettere – filosoficamente – sugli aspetti etici ed esistenziali, e non più soltanto sulla logica.
Per quanto concerne il primo punto, Wittgenstein si arruolò volontario nel 1914, ricevendo, in un primo momento, la mansione di adoperare il riflettore per le imbarcazioni austriache sulla Vistola e, intorno al 1916, verrà impiegato sia in mansioni di ufficio sia sul fronte, ricevendo la medaglia al valore per essersi distinto durante la battaglia di Okna contro l’esercito russo. Tuttavia, la situazione si rivela ostica fin dai primi mesi, a causa dei commilitoni, poiché «l’equipaggio è una banda di farabutti! Nessun entusiasmo, incredibile rozzezza, stupidità e malvagità! […] risulterà probabilmente impossibile comunicare con gli altri […] eseguire in umiltà il lavoro e, per l’amor di Dio, non perdersi !!!» (p. 43).
La rozzezza e il tormento causato dai suoi compagni lo spingono a riflettere sull’atteggiamento etico da assumere nei loro confronti, il quale sembra orientato verso «l’indifferenza nei confronti delle difficoltà della vita esteriore» (p. 65). Le difficoltà della vita al fronte, conducono Wittgenstein verso l’idea che il mondo resiste sempre alla volontà umana, come sembra suggerire anche la proposizione 6.373 del Tractatus: «il mondo è indipendente dalla mia volontà» (Tractatus logico-philosophicus, a cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino 2009, p. 105).
Dunque, se l’essere umano non può mutare ciò che accade nel mondo, perché tra mondo e volontà non c’è alcuna connessione, l’unica soluzione possibile è condurre una «vita buona» (Diari segreti, cit., p. 136), la quale sembra riassumibile nel monito: «non perder sé stessi!!! Raccogliti! E lavora non per far passare il tempo, bensì con gioia […] per vivere» (p. 86). Per Wittgenstein vivere una vita buona significa non farsi travolgere dalla malsania del mondo per vivere in piena sintonia con sé stessi, e cioè vivere come se non si avesse «bisogno di un fine fuori dalla vita. Vale a dire, chi è soddisfatto» (Quaderni 1914-1916, a cura di A.G.Conte, Einaudi, Torino 2009, p. 218). Invece, il monito al lavoro – che nei Diari indica il lavoro filosofico – apre alla continua ricerca del senso delle cose, nella consapevolezza che, commenta Perissinotto, bisogna «vivere fino in fondo sentendo e sapendo che niente dipende da te» (p. 25).
La riflessione etica sulla vita buona ci porta ad interrogarci sull’importanza dei Diari segreti per la riflessione filosofica di Wittgenstein. In primo luogo, è importante sottolineare che contestualmente alla scrittura dei Diari, Wittgenstein mette per iscritto le riflessioni sulla logica negli stessi taccuini dove annota le sue esperienze al fronte, e che oggi sono pubblicati con il titolo di Quaderni 1914-1916. La prima parte dei Quaderni è interamente dedicata ai problemi sulla logica e sul linguaggio, fin quando intorno al giugno del 1916 iniziano ad emergere, accanto a quelle sulla logica, le annotazioni sull’etica, le quali sembrano essere causate dalla «consapevolezza della morte, della sofferenza, della miseria» (R. Monk, Wittgenstein. Il dovere del genio, Bompiani, Milano 2019, p. 144), sperimentate durante la prima guerra mondiale.
Il forte impulso filosofico a riflettere sulle questioni etiche e religiose conduce Wittgenstein ad una forma di smarrimento, dal momento che sembra che non ci sia più una forma di coerenza nel suo lavoro: «ho riflettuto a lungo su ogni cosa possibile, però stranamente non riesco a stabilire una connessione con i miei ragionamenti matematici» (Diari segreti, cit., p. 146). La connessione verrà stabilita quando Wittgenstein, nell’estate del 1918, stenderà la prima versione del Tractatus logico-philosophicus, il quale contiene al suo interno riflessioni sulla logica, sul linguaggio ma anche sull’etica e la religione. Infatti, non è un caso che, in una famosa lettera a Ludwig Von Ficker, Wittgenstein scriverà che il «senso del mio libro [Tractatus logico-philosophicus] è etico» (Lettere a Von Ficker, a cura di D. Antiseri, Armando, Roma 1974, p. 72). Questa espressione, è bene precisarlo, non indica il fatto che il Tractatus sia un manuale di filosofia morale, bensì ci suggerisce come, secondo Wittgenstein, è opportuno leggere il suo libro, e cioè come un tentativo di «tracciare al pensiero un limite» (Tractatus logico-philosophicus, cit., p. 23), affinché si riesca a vedere «rettamente il mondo» (ivi, p. 109).
Da queste brevi riflessioni è possibile vedere che i Diari segreti, a differenza di ciò che pensava Elizabeth Anscombe, non contengono soltanto riferimenti privati o personali, ma profonde e importanti indicazioni filosofiche, le quali ci hanno permesso di determinare l’origine e la centralità che l’etica occupa nel Tractatus. Inoltre, i Diari costituiscono un resoconto della brutalità della guerra e di come di fronte al dolore e alla tragicità degli eventi, l’unica parola liberatrice può essere solo quella che afferma: «non sono mai stato tanto attaccato alla vita» (Ungaretti, Veglia).
Note:
[1] Nella storia della critica di Wittgenstein, gli studiosi hanno solitamente distinto due Wittgenstein: il primo si identifica con il Tractatus logico-philosophicus, mentre il secondo con l’opera, pubblicata postuma, chiamata Ricerche filosofiche. Ad oggi, la divisione netta non è accettata da tutti gli interpreti, poiché, come sottolinea giustamente Marco Mazzone, «la contrapposizione […] nasconde in realtà importanti elementi di continuità» (M. Mazzone, «Pragmatica», in Filosofie del linguaggio. Storie, autori, concetti, a cura di F. Cimatti e F. Piazza, Carocci, Roma 2016, p. 296).