Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.

Recensione a
E.R. Dodds, I greci e l’irrazionale 
BUR, Milano 2009, pp. XIX–407, €13,00.

I quesiti a cui Eric R. Dodds prova rispondere ne I greci e l’irrazionale, testo attuale ancorché pubblicato nel 1949, crinale per gli studi relativi alla classicità, focalizzano l’attenzione su quanto i greci fossero profondamente ed interiormente consci del vigore, dello stupore e delle insidie insite nell’irrazionale. «Perché ritenere i Greci antichi immuni da forme di pensiero primitive, se non è immune alcuna società che cade sotto la nostra diretta osservazione»?

L’autore intende, precisamente, scardinare una grecità costruita artificiosamente dagli storiografi, demolire l’immagine annacquata e neoclassica, palesarne antinomie e diversità. Scorrazzando da Omero fino al II secolo a.C., Dodds illumina le teorie sul soprannaturale, il credito attribuito al sogno nonché all’influenza delle stelle, i fenomeni psichici prossimi allo stato di trance e di allucinazione, come l’ossessione dionisiaca ed il furore profetico, la divinazione, l’orfismo e le pratiche magiche, delineando così aspetti ed espressioni dell’irrazionalismo greco. Scrive Dodds: «I Greci avevano sempre sentito l’esperienza delle passioni come un fatto misterioso e pauroso in cui sperimentiamo una forza che è in noi, e che ci possiede, anziché venir posseduta da noi».

Il primo riferimento è all’Iliade: Agamennone offre in sacrificio Ifigenia, sangue del suo sangue, al fine di propiziare la buona disposizione d’Artemide ed inaugurare l’impresa bellica contro Troia. Inconfutabilmente, adattamenti posteriori di siffatto evento rimpiazzano il sacrificio della giovane con una bestia, mostrando un divenire della sensibilità. Agamennone medesimo, d’altronde, è angosciato ed agghiacciato per quanto esige da lui la dea. L’ate (in greco antico: Ἄτη, «rovina, inganno, dissennatezza») s’impadronisce della mente, obnubila la coscienza, rende provvisoriamente folli.  In molteplici altri brani Omero marca come un comportamento precipitoso, nefasto ed irresponsabile sia analogamente attribuito a forze soprannaturali. Dodds pare persuaso che tali esegesi non siano traslati, allegorie o fantasie, bensì fenomeni psichici. Quest’analisi ha influenzato certamente Julian Jaynes così come Antonio Damasio nel tentativo di connettere ragione e sentimento, calcolo e creatività o intuizione, teoria o speculazione e prassi.

La grecità è davvero, pertanto, esclusivamente speculativa e razionale? Dodds ritiene che sia avvenuto un transito dalla shame culture alla guilt culture, «un’atmosfera oppressiva, popolata di spettri». Come non menzionare Nietzsche e chiedersi: Apollo e Dioniso rivaleggiavano sul serio? «Il senso schiacciante dell’ignoranza umana, dell’assenza di sicurezza in cui vivono gli uomini, la paura del phthonos divino, la paura del miasma» sarebbero stati intollerabili «se un divino consigliere onnisciente non avesse garantito ai Greci, dietro il caos apparente, l’esistenza di una sapienza e di una finalità» Apollo, il dio solare, nasce da tale precipizio d’inquietudine, dalla corposità di questo panico.

Il razionalismo – denuncia chi si definisce «un semplice professore di greco» – si mostra ipometrope nel non badare al fatto che, anche laddove la divinità si dilegui, i suoi riti perdurano parecchio più lungamente nello spirito sia dei popoli che dei singoli. Ecco il presupposto culturale e psicologico della definizione nietzscheana delle chiese come Die Grüfte und Grabmäler Gottes («le fosse e i sepolcri di Dio»). Audacemente interessante è l’ipotesi concernente l’ascendente dello sciamanesimo sui greci: l’apertura del Mar Nero al commercio greco nel VII secolo avrebbe influito sul concepimento di idee circa la relazione tra corpo e anima. Pitagora è addotto come esempio del più importante sciamano greco. Orfeo, alla stessa maniera, è stimato quale figura sciamanica. Scrive Dodds: «Il mito dei Titani spiegava in modo soddisfacente ai puritani greci perché si sentissero contemporaneamente dèi e criminali; il senso “apollineo” del distacco dal divino, e quello “dionisiaco” di identificazione con la divinità, erano ambedue spiegati e ambedue giustificati».

Platone stesso, il più genuino emblema di questo processo d’avvio del razionalismo, si fa un simbolo controverso, operando «un fecondo innesto delle idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale», anzi i Custodi della Repubblica sarebbero «una specie nuova di sciamani razionalizzati». La sua sistematicità ed il suo metodo s’imbevono, orbene, d’ingredienti magico-religiosi d’origine orientale. Nel periodo ellenistico, poi, si ravviva l’esaltazione per la divinazione, la medicina magica e l’alchimia. La grecità è eccitata dalle consuetudini orientali più illogiche ed acritiche. Epicuro volle, viceversa, cassare il nocciolo granitico della prassi, facendo strada al pensiero della salvezza, a culti e riti distanti dalla mediazione razionale.

La disamina di Dodds si chiude proprio con la sollecitazione a tener conto del cavallo per conoscere meglio le possibilità ed i limiti del cavaliere. In tal modo si potrà «affrontare il salto decisivo» oltre ogni cateratta, spavento, idolatria «e saltare felicemente». Dodds introduce una questione sempre viva sui probabili motivi del «volo dalla ragione». Il motivo che adduce è la «paura della libertà». La luce produce ancora ora orrore e sgomento; quindi occorre assumere contezza dello strato ctonio ed indicibile della razionalità.

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