Avvocato

Avvocato e dottore in Scienze storiche. Ha al suo attivo pubblicazioni sul federalismo ("Le origini del federalismo: il Covenant”, 1996; "Il sacro contratto. Studio sulle origini del federalismo nordamericano", 1999). Ha inoltre pubblicato "Sovranità. Teologia e sacro alle origini di una categoria politica" (2015); "Il regime alimentare dei monaci nell'alto medio evo” (2017), “Paura e Rivoluzione francese nell’opera di Guglielmo Ferrero” (2021). Inoltre ha curato la riedizione del volume di Guglielmo Ferrero "Palingenesi di Roma antica” (2019). E' autore di articoli e relatore in convegni di studio.

Recensione a: G. Husserl, Diritto e tempo. Saggi di filosofia del diritto, a cura di R. Cristin, Giuffré, Milano 1998, pp. XXIX – 218, € 17,18.

Tunc, nunc e cras: passato, presente, futuro. La gabbia nella quale è imprigionato l’uomo è un presente dove il tunc e il cras si congiungono dissolvendosi, smarriscono la propria entità. Tuttavia quest’uomo prigioniero del nunc possiede la capacità grazie al pensiero razionale e all’immaginazione di oltrepassare con la mente i confini dell’oggi e volgersi al futuro o al passato.

A partire da queste constatazioni il filosofo del diritto Gerhart Husserl (1893-1973), figlio del grande Edmund Husserl, ma figlio d’arte perché anch’egli capace di pensiero acuto, sviluppa in cinque celebri saggi di filosofia giuridica del 1955 (Recht und Zeit. Fünf rechtsphilosophische Essays, consultati nella traduzione italiana, da cui si cita) alcune originali idee e interpretazioni circa il rapporto tra ordinamento giuridico e le dimensioni temporali nelle quali e con le quali il diritto è inserito e interagisce. E compie questa raffinata operazione intellettuale conferendo alla sua impostazione un ampio orizzonte antropologico quale premessa alle conclusioni cui perviene in attinenza alla specificità del diritto e degli ordinamenti positivi che gli pertengono.

Se infatti con la mente l’uomo, inchiodato al suo nunc, può avventurarsi nel cras o esplorare il tunc, deve necessariamente accettare quale dato di fatto il dominio dell’ora presente. Tuttavia il relazionarsi con l’ineludibile presente può variare con notevoli oscillazioni tra un individuo e un altro, e tra un gruppo sociale e un altro, a seconda di mille condizionamenti, predisposizioni psicologiche, esistenziali e quant’altro. Un uomo calato nell’hodie e che a quest’hodie, così tangibile e immediato, attribuisce il massimo risalto, appiattirà sul presente tutto il passato e tutto il futuro e li adatterà alle esigenze della contingenza più prossima. Il suo orizzonte temporale sconterà una ristrettezza di vicinanza; d’altronde per quest’uomo, “l’uomo del presente”, le altre due dimensioni del tempo vengono relegate nella sfera dell’estraneità, tra fantasmi sostanzialmente inconoscibili. Egli, afferma Husserl, «è un positivista» (p. 41), si nutre di una ingenua fiducia nell’oggi e ripone le sue certezze nel dato empirico immediato.

Se l’uomo del presente è miope, nel senso che i suoi occhi colgono con nitidezza solo le realtà materiali e intellettuali vicine nel tempo e che lui stesso può sperimentare, l’uomo del futuro è presbite: la sua visuale è molto più ampia, si avventura e si allunga nella prospettiva dell’avvenire ma trascura o non coglie con precisione e efficacia il mondo del presente che da ogni lato lo avviluppa. Tuttavia egli sa riunire in un unico ideale abbraccio il presente e il futuro; naturalmente resta anch’egli, in quanto essere umano, prigioniero nella gabbia del presente, l’unico mondo di cui può fare esperienza diretta, ma non appiattisce il futuro immaginario sul suo presente, su un presente che anzi spesso critica e contesta, cogliendone tutti gli angusti limiti se paragonato a un domani idealizzato. D’altronde quel tempo presente così prosaico e mediocre si colloca pur sempre sulla soglia del domani: il nunc trova il suo perfezionamento e completamento nel cras. È pur vero che del futuro gli resta preclusa ogni esperienza diretta, e tuttavia questo futuro non giace per lui nelle lande desolate dell’estraneo inaccessibile e inconoscibile (come invece avviene per l’uomo del presente). Se è tipico dell’uomo sazio di presente disinteressarsi del futuro in quanto sfera non soltanto ignota ma sulla quale non si può incidere in alcun modo, è altrettanto tipico dell’uomo del futuro volgersi più ottimisticamente al tempo in divenire. In una certa misura il cras è conoscibile, prevedibile, persino pianificabile razionalmente. Insomma, l’hodie dell’uomo del futuro ha confini sfumati, si colloca in un orizzonte aperto sul domani. Quest’uomo vive in un presente temporalmente allungato sul futuro, e lo vive come se il nunc possedesse già in sé il domani: nel presente egli vive le anticipazioni del futuro, o si illude di viverle mentre invece si attanaglia in un qui e ora di cupa oppressione.

Infine, l’uomo del passato. Se l’uomo del futuro vede il nunc come l’inizio di un promettente futuro, l’uomo del passato lo concepisce come la fine di quel che una volta fu. Scettico sul presente, egli si disinteressa del futuro, estraneità radicale. Ma nel passato si sente di casa, gli risulta familiare e si sforza di riviverlo ogni giorno, di perpetuarlo nel suo presente luccicante di nostalgie. Tutto il suo atteggiamento interiore è determinato dal ricordo dei tempi passati e questa sua predisposizione rende il presente o una realtà ostile in quanto irrimediabilmente fratturata rispetto al tunc oppure una realtà almeno neutra, nella misura in cui nel presente si conservino o magari si consolidino le vestigia del passato. Ove ciò non accada, all’uomo del passato non resterebbe che la lamentazione classica dell’o tempora, o mores! In ogni caso la sua stella polare lo fa volgere verso un orizzonte di tempi più o meno remoti, certo non più sperimentabili nell’immediatezza dell’ora presente, ma fino a un certo punto perché il passato – anche quando sopravvengano brusche cesure – detta le linee guida del presente e del futuro e può farlo perché l’Essere non muta e le leggi si ripetono eternamente e pertanto si rinnova in perpetuo una loro diretta esperibilità.

Ora, è sin troppo evidente che un tale suggestivo schematismo antropologico vada inteso come lineamento di tre idealtipi la cui storicità è fittizia. L’essere umano storicamente dato ospita in se stesso il passato, il presente e il futuro. Ognuno di noi è questi tre uomini insieme. Tuttavia, ci ricorda Husserl, «la propensione interiore di un uomo verso una determinata propensione temporale può assumere il predominio» (p. 46). Viviamo tutti nel presente, questo è ovvio, ma il baricentro degli interessi individuali e delle sensibilità culturali e financo emotive potrebbe non coincidere (e spesso non coincide affatto) col nunc.

Non è banale cogliere nella classica tripartizione dei poteri una manifestazione giuridica e politica dei tre idealtipi e associare quindi l’esecutivo al presente, il legislativo al futuro e il giudiziario al passato. Al governo spetta l’amministrazione degli affari del momento, l’ordinaria amministrazione e anche quella straordinaria, tutta però calibrata sull’ora presente. Anzi, proprio le contingenze impreviste spesso conducono a un accrescimento straordinario dei poteri esecutivi (si pensi alla pandemia o ai tempi di guerra).

Il legislatore guarda invece al futuro. Le leggi formali anticipano il cras nel senso che regolano in anticipo i futuri comportamenti dei consociati. Chi delibera una legge parte dal suo presente (nel quale è confinato, come tutti) ma manifesta l’ambizione – a volte l’hybris – di regolare un futuro imprevedibile con il metro dell’oggi: vincola il domani, e vincola in prospettiva persino la posterità più remota; tuttavia nessun legislatore potrà mai prevedere con certezza e esaustività «le essenziali trasformazioni strutturali della realtà sociale» (p. 21). Una norma giuridica, però, vive di vita propria e procede insieme col tempo, subisce metamorfosi nelle interpretazioni e applicazioni cosicché la “volontà del legislatore” espressa in una legge formale che guardava al futuro verrà riletta e riconsiderata quando quel futuro sarà diventato un presente largamente condizionato dalle esigenze del momento. Ogni nuova generazione di interpreti “pensa” la norma in modo differente, con una suggestiva analogia su come può cambiare nei secoli la lettura e la valutazione dei grandi classici del pensiero. Ma torniamo alla “tensione per il futuro” del legislatore. La legge, molto più delle idee filosofiche, possiede la pretesa di regolare la questione futura una volta per tutte. Il futuro, nelle ideali intenzioni del legislatore, non è soltanto previsto ma viene vincolato e compresso, catturato in una rete di regole. Husserl fa ricorso alla bella metafora della freccia lanciata dal legislatore verso il futuro. E quando questo futuro si sarà trasformato in presente, l’oggi originario del legislatore avrà ancora la pretesa di assoggettare l’hodie, non con la violenza del potere ma con la razionalità del diritto (sul presupposto della “bontà” e razionalità originarie della norma).

Il terzo soggetto è il giudice, incarnazione del potere giudiziario. Il suo agire «è motivato a partire dal passato». E infatti il giudice si distacca dalla contingenza dell’ora presente e va alla ricerca del senso autentico delle scelte del legislatore assunte anni o secoli prima. Quello del giudice «è un futuro bloccato da una rete di norme» (p. 55) a suo tempo stabilite dal legislatore. Spetta al giudice collegare il passato del legislatore col presente dell’applicazione concreta della norma ma così operando egli reinterpreta ogni volta la norma, conformandosi però ai precedenti giurisprudenziali (e cioè, ancora una volta, guadando al passato).

L’itinerario argomentativo di Husserl sconta una certa astrattezza che però il filosofo stesso si premura di ricondurre alla concretezza storica quando tenta di calare nella realtà la tripartizione dei poteri, ciascuno dei quali possiede un particolare baricentro in una delle tre dimensioni temporali. E poiché la prevalenza del baricentro temporale di un potere sull’altro ci dà testimonianza sulla prevalenza del baricentro temporale dell’intera comunità sociale organizzata, ecco che noi troviamo nella storia la tendenziale prevalenza della dimensione temporale del passato. La Roma dell’età repubblicana e il sistema inglese di common law si offrono quale classico esempio di ordinamento giuridico il cui baricentro di interesse è dato dal passato: pochi atti legislativi, poca fiducia nel futuro, scetticismo sul presente dell’amministrazione esecutiva, culto del precedente giurisprudenziale e della consuetudine. L’età del legislatore, età della fiducia nel futuro e nell’ottimistica capacità di vincolarlo in anticipo, trovò il suo acme dell’illuminismo giuridico, nelle assemblee legislative della rivoluzione francese, nelle codificazioni ottocentesche che ancora largamente segnano e condizionano l’Europa della civil law. Ma quando si nutre sfiducia nel futuro e si disprezza il passato, emerge l’amministrazione dell’esecutivo, calata nel presente. Dal futuro non ci si attende nulla: e quindi ordinaria amministrazione e pigra gestione del potere. Dal futuro ci si attendono minacce: e quindi poteri di straordinaria amministrazione e decretazione d’urgenza, con conseguenti involuzioni autoritarie, il giudice ridotto a comprimario dell’azione governativa e l’assemblea legislativa degradata a organo meramente consultivo.

È singolare che Husserl, ancora nel 1973, ritenesse che proprio la nostra epoca rivelasse «i tratti essenziali di questa situazione storica» (p. 60): la prevalenza del presente. Un ordinamento giuridico senza legami col passato e senza aperture sull’avvenire è molto prossimo a un ordinamento di servitù. Una conclusione sulla quale vale la pena riflettere.

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