Ivo Stefano Germano è docente di Media digitali e Strategie della comunicazione politica e istituzionale presso l'Università del Molise. È autore di numerosi saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: #Quartierinogauchecaviar. Sneackers rosse eppur bisogna andar, Pendragon, Bologna 2018; Aside Story. La fatica delle vacanze (con S. Borgatti), goWare, Firenze 2017; New Gold Dream. E altre storie degli anni Ottanta (con D. Masotti), Pendragon, Bologna 2013.

È ufficiale: “Ridley Scott è in caduta libera da decenni”. All’ennesimo non film come House of Gucci se ne ha la prova provata. Manco fosse “camp”, questa zuppona tosco-americana con accento italo-americano. A non dire che i Gucci, sino a prova contraria, sono italiani.

Appena uscito dal cinema, dopo aver visto House of Gucci sono stato assalito da un senso di grottesco frammisto a catatonia. Si fosse trattato di una bella o brutta copia dei Il Padrino o de I Sopranos, se proprio volete, una “Piovra 4.0” dai vestiti bellissimi, ancora, ancora un surplus di credito poteva anche essere sgraffignato. Lasciando in sospeso la recitazione implausibile, su tutti Al Pacino e il profondo pasticcio neo/post/pre-identitario di confondere i piani fra italiani e italoamericani. Lady Gaga, invece, metà Patrizia Reggiani, metà Marisa Laurito a Sanremo, se la cavicchia. La migliore interpretazione è fornita dall’epifania di Simon, uno dei primi giochi elettronici autenticamente pop.

La verità vera è che, sin dalle prime inquadrature, non riesci a capire se si tratti di tristi caricature o di un ben più ardimentoso tentativo di riproporre l’âge d’or delle telenovelas sudamericane che fecero la loro comparsa in una televisione che si andava trasformando repentinamente, per formati e contenuti, tra fine Settanta e inizio Ottanta del secolo scorso. Niente da fare o da dire, se non che, magari, fossimo dalle latitudini imagologiche di Veronica Casto di Anche i ricchi piangono, oppure, di Grecia Colmenares in Topazio. Massime: Dancin’ Days con Sonia Braga. Anche nella portentosa parodia televisiva del Trio Marchesini, Solenghi, Lopez, all’interno di “Domenica in”. Da “bevi qualcosa Pedro” a “perito per aria”.

Forse, Salma Hayek, Adam Driver, Jared Leto si sarebbero districati meglio rispetto ad un canovaccio implausibile, nemmeno fosse una delle ultime messinscena da pro loco. Con rispetto parlando. Moriremo di mainstream. Non c’è niente da fare.

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