Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra. Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.
Recensione: S. Averincev, Atene e Gerusalemme. Contrapposizione e incontro di due principi creativi, Donzelli, Roma 1994, pp. 64, €. 6,20.
Sergej S. Averincev (1937-2004) è stato un noto studioso di letteratura comparata antica. Negli anni Novanta scrisse un libro breve, denso, suggestivo, il quale conserva tutt’oggi la sua attualità, dedicato ad Atene e Gerusalemme, intesi come «due principi creativi». Tale testo risulta interessante per una riflessione analitica e critica circa le origini della cultura occidentale. Si dimostra l’inconsistenza ‘scientifica’ e morale della tesi classicista etnocentrista che poneva la Grecia al principio della genesi della letteratura.
L’Autore pone a confronto la letteratura greca con la letteratura del vicino Oriente antico e ci informa che una delle differenze sostanziali tra questi due ‘universi letterari’ la troviamo nella prospettiva da cui entrambi muovono le loro riflessioni. I Greci – prevalentemente – hanno dato origine alla letteratura, più o meno, così come noi oggi la conosciamo quale riflessione consapevole, metodologica e sistematica sulla realtà in sé. In tal senso, si pensi al tema della physis ampiamente sviluppato dai presocratici, così come alla poetica. Tale approccio, tuttavia, trascurava notevolmente il riferimento alla realtà concreta dell’esistenza umana.
La letteratura del Vicino Oriente antico, invece, fin dalle sue origini ha compiuto lo sforzo di chiarire gli enigmi dall’esistenza, della vita quotidiana. L’uomo dell’antico Oriente è inseparabile dal suo rapporto vitale, viscerale con il divino e con la comunità in cui è inserito e vive, per cui è tutto ciò a costituire la base delle sue espressioni letterarie. È a partire da tali presupposti che Averincev prende le distanze dalla teoria secondo cui i popoli si dividono in creativi e non creativi e sostiene che il Vicino Oriente antico ha una sua cultura letteraria ben delineata. Da questo orizzonte ci è possibile inquadrare – giusto per citarne uno – il famoso poema di Gilgamesh, testo di origine sumera tra i più antichi dell’umanità. In questa epopea si narrano le vicende di un giovane guerriero e sovrano, il quale incontra l’amore in Isthar ma se ne allontana poiché ha paura della morte e cerca disperatamente di conseguire l’immortalità.
Detto questo, occorre rilevare che la teoria eurocentrica insisteva sul fatto che entrambe le letterature avessero percorso il medesimo itinerario di sviluppo storico. Tuttavia, grazie alle scoperte scientifiche oggi sappiamo con esattezza che le cose stanno in maniera diversa. La letteratura della Grecia antica ha compiuto un cammino diverso da quello della cultura letteraria del Vicino Oriente antico: pur partendo da un punto in comune iniziale questi mondi culturali hanno poi intrapreso strade diverse. Tale contrapposizione, successivamente, ha visto poi l’alba di un incontro fruttuoso tra questi due astri dell’universo letterario culturale. Questa è la tesi centrale dell’opera che in maniera magistrale ci viene presentata in due brevi ma densi capitoletti. L’Autore ci mette in guardia sul fatto che, ad esempio, porre la letteratura di Ezechiele sullo stesso livello di quella di Sofocle renderebbe un’ingiustizia ad entrambe le parti in causa. Detto questo, successivamente, si pone in evidenza come questi due ‘mondi’ letterari si siano incontrati ed incrociati dando vita alla civiltà occidentale stessa. Tale incontro ha conosciuto la sua fase iniziale con l’avvento di Alessandro Magno (356-323 a.C.) e ha raggiunto poi il suo apice con la redazione della Bibbia dei Settanta (Septuaginta), commissionata dal sovrano egiziano Tolomeo II (285-246 a.C.) per la nascente biblioteca di Alessandria. A partire da tali acquisizioni la cultura greca ha conosciuto ed incontrato la cultura ebraica in particolar modo, ma l’intero ‘mondo’ culturale del Vicino Oriente antico.
Il cristianesimo ha ereditato e ha appreso da questo incontro proficuo tra culture la parte migliore nell’elaborazione del suo sistema di pensiero ed è alla base della genesi della cultura occidentale europea. L’avvento del cristianesimo, inoltre, ha dato origine ad un importante principio di teologia biblica che può risultare quanto mai utile ed attuale per il nostro contesto socio-culturale: riconoscere nella diversità delle culture una ricchezza e non un motivo di divisione. Ricercare l’unità nella diversità piuttosto che alimentare le divisioni è stata una delle preoccupazioni più significative del cristianesimo antico e ciò è stato fatto senza mai sacrificare la propria identità. Ebbene, tale principio lo si può desumere in tutta la Sacra Scrittura, ma, in particolar modo, lo si può intercettare negli scritti del Nuovo testamento dove, ad esempio, incontriamo pensieri teologici diversi negli scritti del corpus paolino rispetto al corpus petrino o giovanneo. Eppure nella Chiesa antica ha prevalso l’unità a discapito della divisione e dello scisma.