Antonio Messina (1989) è Ph.D. Student in Scienze Politiche all’Università di Catania e Visiting Ph.D. Fellow presso l'Università di Leiden (Paesi Bassi). È redattore del semestrale «Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee», da lui fondato; è socio della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO) e dell’Istituto euro-arabo di Mazara del Vallo. È membro del comitato scientifico della rivista «La Razón histórica: revista hispanoamericana de historia de las ideas políticas y sociales». I suoi principali interessi concernono la filosofia politica, la geopolitica, e la storia delle dottrine politiche, con particolare riferimento alla storia intellettuale dei regimi autocratici. Tra le sue pubblicazioni: L'economia nello stato totalitario fascista (Ariccia 2017); Giovanni Gentile. Il pensiero politico. Scritti e discorsi 1899-1944 (Roma 2019); Comprendere il Novecento tra storia e scienze sociali. La ricerca di A. James Gregor (Soveria Mannelli 2021).

A cura di Antonio Messina

Raffaello Pannacci è dottore di ricerca in Scienze storiche, assistant researcher e cultore di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Perugia. Ha dedicato diversi saggi su rivista alla presenza italiana in URSS durante la Seconda guerra mondiale. È membro della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Sissco) e socio della Deputazione di storia patria per l’Umbria. Nel 2023 ha pubblicato per l’editore Carocci di Roma la sua prima monografia: L’occupazione italiana in URSS. La presenza fascista fra Russia e Ucraina (1941-1943).

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  1. Quali furono gli intenti, gli obiettivi e i propositi che condussero l’Italia – durante la seconda guerra mondiale – ad inviare una intera armata nelle steppe russe?

Quando iniziò il conflitto fra Germania e Urss, l’Italia conduceva ormai una “guerra parallela”, affiancando le proprie truppe a quelle tedesche su ogni teatro bellico senza più perseguire obiettivi autonomi. Il governo italiano decise di inviare un piccolo contingente di truppe in Urss per motivi politico-militari, ideologici ed economici. Innanzitutto, i vertici romani erano convinti che dare un contributo sul fronte orientale avrebbe convinto i tedeschi a mantenere o ad aumentare il loro impegno in Africa settentrionale, dove da alcuni mesi la Wehrmacht stava avendo un peso determinante nello scontro coi britannici. In secondo luogo, la lotta contro il bolscevismo sovietico – in ultima analisi contro il socialcomunismo internazionale – era da sempre uno dei puntelli dell’ideologia del fascismo, che su di essa aveva costruito una parte del consenso al regime, per cui era naturale che l’Italia partecipasse ad una guerra in cui si presumeva che il bolscevismo avrebbe ricevuto il colpo mortale. Da ultimo, c’era la consapevolezza che l’Unione Sovietica fosse un paese ricchissimo di risorse agricole, zootecniche, minerarie ed energetiche, che sarebbe stato possibile ottenere gratis con la forza (tanto più che, dopo le “purghe” e dopo la guerra contro la Finlandia, l’idea di un’Urss “colosso coi piedi d’argilla” si era diffusa fra i vertici politico-militari europei). Sin dall’avvio delle operazioni tedesche contro l’Urss, vertici e popolo italiani ebbero chiaramente la sensazione che quella guerra si stesse combattendo per ricavarne un bottino, il che suscitò un certo entusiasmo in specie nei primi mesi vittoriosi dello scontro. L’invio di un’intera armata avvenne nel secondo anno di guerra, alla metà del 1942. Esso rappresentò un ulteriore investimento da parte italiana, un aumento dell’impegno militare e del “potere contrattuale” che ne sarebbe verosimilmente scaturito, in una guerra che si riteneva ancora di poter vincere.

  1. In che modo l’opinione pubblica italiana guardò all’avventura orientale, ai suoi iniziali successi e al suo disastroso fallimento?

Ad un anno dalla dichiarazione di guerra alle democrazie occidentali, la partecipazione al conflitto sul fronte orientale fu percepita da una parte della popolazione italiana come un ulteriore prolungarsi di una situazione socio-economica gravosa (restrizioni di guerra, tessera annonaria ecc.). Un ampio settore della “pubblica opinione”, invece, vide nella guerra contro l’Urss la prima vera occasione di fare un bottino che potesse in qualche modo aiutare a vincere la lotta contro la Gran Bretagna e a vivere meglio la successiva pace. I grandi successi iniziali dell’Asse contro l’Urss accrebbero questo diffuso sentimento popolare, che si legava anche alla questione ideologica. Il bolscevismo ateo, “negatore di Dio e della proprietà privata”, era il nemico di sempre, l’unico che la propaganda fascista non avesse dovuto creare dal nulla (a differenza di Francia, Gran Bretagna o Grecia). Il consenso alla guerra sul fronte orientale poggiò anche sull’idea che l’Urss sarebbe crollata presto e che altrettanto presto sarebbe stato possibile godere dei risultati materiali di quella vittoria. Il prolungarsi della guerra portò gradualmente alla stanchezza e alla disillusione in patria, ma non necessariamente fra i miltari al fronte, che per lo più non dubitavano della vittoria finale e che non affrontavano le medesime difficoltà dei loro connazionali sul “fronte interno”. La sconfitta finale fu uno shock per tutti, anche perché inattesa e soprattutto inimmaginabile nelle dimensioni. Per molti soldati superstiti essa rappresentò il crollo di un sistema di valori, quali quelli incarnati dal fascismo e dal “sistema esercito”. Per i civili in patria, fra i quali i familiari dei soldati, essa segnò l’inizio del crollo dello Stato vigente e pure la fase iniziale di una lunga tragedia umana, con militari morti e dispersi e altri tornati anni dopo dalla prigionia in mano sovietica.

  1. Dove si è localizzata, geograficamente, l’occupazione italiana in Urss e come si è coordinata con gli altri eserciti occupanti?

Si può parlare di occupazione italiana dall’autunno 1941 in poi, quando le Regie Forze armate si stabilirono in un’area dell’Ucraina orientale attorno ai centri di Stalino (oggi Donetsk), Rykovo (Enakjeve) e Gorlovka (Horlivka). Quest’area rimase sotto il controllo italiano a lungo, fino alla primavera 1943. Nel secondo anno di guerra, dalla metà del 1942 in poi, le truppe italiane controllarono anche territori della Russia sud-occidentale, ossia fra il fiume Don e il confine di allora con l’Ucraina, coi piccoli centri di Rossoš, Millerovo e Kantemirovka. L’occupazione italiana implicava il controllo diretto delle aree soggette, ma al contempo non escludeva la presenza dei tedeschi, che con gli italiani collaboravano in specie in alcuni campi, come il controspionaggio e la repressione antipartigiana. Analogamente, esistevano aree sotto diretto controllo tedesco in cui la presenza italiana era comunque diffusa, con comandi, magazzini e basi ferroviarie. Nella grande città di Vorošilovgrad (oggi Luhansk) c’era un’occupazione fondamentalmente congiunta italo-tedesca. Nel territorio di propria pertinenza gli italiani avevano un’autonomia che, per quanto non illimitata, permetteva loro di gestire l’approvvigionamento delle truppe, lo sfruttamento del territorio, i rapporti con le autorità locali, coi collaborazionisti e con la popolazione sottoposta, la giustizia, le tasse, la pubblica sicurezza, i pubblici servizi, i prigionieri di guerra, il lavoro civile (coatto o volontario), le scuole, la propaganda, la repressione politica. L’autonomia degli italiani era più o meno ampia a seconda del luogo e dell’attività in oggetto, anche se essi tendevano a ricavarsi degli spazi di manovra al fine di risolvere problemi pratici, ponendosi talora in concorrenza o in contrasto coi tedeschi.

  1. Come definirebbe l’atteggiamento e la condotta degli occupanti italiani in Urss rispetto alla popolazione locale?

L’atteggiamento degli italiani come occupanti fu diverso in base al luogo e al momento. La propaganda di guerra e i comandi sul campo cercarono di instillare nella massa dei soldati diffidenza verso l’ambiente e la popolazione, al fine di mantenere alto il livello di attenzione e di prevenire lo spionaggio da parte nemica. I soldati reagirono in modo vario a questi tentativi di indottrinamento, ora mostrando di aver fatto proprio il discorso pubblico sul bolscevismo e sull’Urss, ora aprendosi verso una popolazione che appariva innocua, anche perché composta, in specie nelle aree rurali, per lo più da donne, vecchi e bambini. La condotta degli italiani, a livello sia di reparti che di singoli, fu anch’essa varia in base al luogo, al momento e alla situazione operativa. Il Regio Esercito fu relativamente mite come occupante, non vessò sistematicamente la popolazione sottoposta e non effettuò deportazioni di civili verso altre zone (d’altra parte non aveva né interessi né mezzi in tal senso), ma sfruttò intensamente il territorio, impose coprifuochi, ronde e divieti di circolazione, fu severo con partigiani veri e presunti e in alcuni momenti prestò la propria collaborazione ai tedeschi nella persecuzione degli ebrei sovietici. Non fu raro il caso di cordiali rapporti fra le truppe italiane e la popolazione civile, in specie a ridosso della linea sul Don. Questo atteggiamento mutò nella parte terminale della presenza italiana in Urss, dopo lo sfondamento delle linee dell’Asse nel settore tenuto anche dal Regio Esercito. Il ritorno dell’Armata rossa e l’uscire allo scoperto dei reali sentimenti di una parte della popolazione portarono i comandi e i soldati italiani a diffidare di tutti, a causa di un diffuso senso di insicurezza in un momento di grande vulnerabilità.

  1. Se passiamo dal piano militare a quello politico, con quali strumenti si è cercato di diffondere il fascismo e la sua ideologia nelle regioni occupate e che portata ha avuto la propaganda fascista presso una popolazione che era stata precedentemente indottrinata dal bolscevismo?

Gli italiani tentarono di inquadrare politicamente le popolazioni dei territori occupati. Al pari dei tedeschi, in alcuni luoghi essi chiusero biblioteche e centri di cultura bolscevichi, epurarono la classe dei docenti locali eliminando gli elementi politicizzati, sostituirono i libri di testo, indottrinarono gli studenti con documentari e film di propaganda fascista, diffusero – ove possibile – giornali e programmi radio con cui contrastare la propaganda sovietica, tentarono tramite pubblicazioni e lezioni di accreditare un’immagine positiva dell’Italia fascista, favorirono la riapertura di una parte delle chiese dismesse in epoca stalinista o l’apertura di “case di preghiera” in favore dei civili, somministrarono qua e là cibo e cure mediche ai sottoposti. È molto difficile determinare la parte di popolazione raggiunta da tali politiche d’occupazione o il grado di consenso ad esse da parte della popolazione stessa. I tentativi di “ripristino” della religione nelle terre ateizzate dallo stalinismo – dove l’ortodossia era tutt’altro che scomparsa – ebbero un seguito fra la popolazione anziana, ma non attecchirono presso le generazioni cresciute all’interno della parabola sovietica. Molte scuole rimasero chiuse durante la guerra: gli italiani ne riaprirono solo una parte, limitando così il numero dei giovani raggiunti dalla loro propaganda. Le fonti italiane mostrano come i dettami fascisti fossero penetrati presso una parte limitata della popolazione, mentre i collaborazionisti antibolscevichi avevano idee diverse sul futuro dell’Urss e prestavano la propria collaborazione più per bisogno e in virtù di un nemico comune che per affinità ideologica. Si hanno prove della presenza di quadri del duce con caratteri cirillici a Vorošilovgrad (una sorta di Little Italy in terra sovietica) e di lezioni universitarie tenute da professori favorevoli all’Italia a Odessa (allora sotto occupazione rumena), ma la quasi totale assenza di autorità civili italiane che affiancassero l’esercito limitarono la diffusione del materiale di propaganda fascista e i casi di collaborazione degli intellettuali locali. Da non dimenticare anche un dualismo fra vertici romani e comandi sul campo, coi primi propensi a svolgere un’azione politica costruttiva in Ucraina e i secondi puntualmente preoccupati di non urtare la suscettibilità dei tedeschi in materia di iniziative autonome che coinvolgessero la popolazione.

  1. Occupanti o liberatori? Con quali occhi ci guardò la popolazione russa dopo circa un ventennio di dittatura stalinista?

L’atteggiamento della popolazione civile sovietica di fronte alle truppe dell’Asse non si può inquadrare in modo univoco: esso fu vario a seconda del luogo e del momento. Nelle zone dell’Ucraina occidentale gli invasori furono inizialmente accolti a volte come liberatori, ma si tratta di un comportamento che non può essere generalizzato e che andò comunque incontro ad una revisione. Nelle zone urbane dell’Ucraina orientale, più permeate ideologicamente, l’atteggiamento iniziale della popolazione fu diffidente quando non dichiaratamente ostile. La situazione mutò in seguito non solo perché gli italiani – in questo caso – mostrarono di non essere particolarmente oppressivi, ma pure perché tutti i centri medio-grandi dell’Ucraina andarono incontro a sgomberi di massa e a deportazioni di civili, fra i quali ovviamente c’erano gli elementi politicizzati o comunque ostili all’occupante. In altri casi, ad esempio nelle aree rurali arcaiche che ben poco erano mutate rispetto all’epoca zarista, l’atteggiamento della popolazione fu spesso indifferente e/o attendista. I cordiali rapporti fra i soldati italiani e la popolazione locale o anche le dichiarazioni di anticomunismo da parte di quest’ultima, di cui spesso hanno parlato i reduci nelle proprie memorie, hanno indubbiamente un fondo di verità, ma rappresentano una casistica che va rapportata al contesto socio-politico del momento. La popolazione locale era estremamente ridotta per l’assenza di quasi tutti gli uomini validi e delle categorie utili allo sforzo bellico (trasmigrate verso est assieme all’Armata rossa), mentre nell’Urss occupata rimanevano per lo più donne, vecchi e bambini, nonché persone contrarie al regime di Stalin. Inoltre, a prescindere dal potere sovietico, era indubbiamente diffusa un’idea atavica secondo cui ogni occupante fosse un invasore non preferibile a dei governanti locali.

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