Giorgio Galli (1928-2020) ha insegnato per oltre trent’anni Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi di Milano ed è stato uno dei maggiori politologi italiani. Il suo lavoro si è incentrato sulla storia e la cultura politica italiana ed europea contemporanea. È inoltre autore di studi sul complesso intreccio fra vicende e dottrine storico-politiche, da una parte, tradizioni culturali antiche e profonde, dall'altra, esoterismo compreso. Tra i suoi innumerevoli lavori, più volte ripubblicati, ricordiamo:Occidente misterioso(1987);Hitler e il nazismo magico (1989); La politica e i maghi. Da Richelieu a Clinton (1995); Alba magica. Le elezioni italiane e il New Age della scienza politica (G. Boaretto, 1996); Il partito armato (1997); Storia delle dottrine politiche (2002); I partiti politici italiani, 1943-2004 (2004); Storia della DC (2007); Esoterismo e politica (2010); Storia del partito comunista italiano (2011); L'impero antimoderno (2013); Storia d'Italia tra imprevisto e previsioni(2014); Illuminismo magico (2018); L'anticapitalismo di destra (con L. Gallesi, 2019).
Quando un genere narrativo popolare acquista dignità e prestigio, si sviluppa nei critici la tendenza a trovargli antenati. Così per la fantascienza si è risaliti a Ariosto e Cirano, quando non all’antichità. E anzi le narrazioni bibliche e i dialoghi platonici divengono fonti nelle ipotesi sulla pre-astronautica (viaggiatori spaziali in contatto con la terra, sino agli UFO).
Per il romanzo di spionaggio risalire indietro nel tempo è più difficile. Per quanto singole spie abbiano operato sin dall’antichità più remota e le loro vicende possano essere narrativamente suggestive, la spy-story è un genere che si afferma e che diviene popolare con la creazione delle moderne organizzazioni dei servizi segreti create dagli Stati della società industriale. Si tratta, a mio avviso, di un punto di riferimento importante per valutare sia la fortuna del genere, sia le cause della sua recente mutazione.
La mia ipotesi è la seguente: il romanzo di spionaggio si sviluppa fondendo una tematica da “giallo politico” (la competizione dei servizi segreti dei vari Paesi per strapparsi piani militari e invenzioni industriali) con l’immissione di personaggi avventurosi, chiaramente derivati dagli eroi dei racconti di cappa e spada. La fusione raggiunge la massima efficacia popolare nel periodo della guerra fredda tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta: OS 117, Sam Durrell, il principe Marko Linge, Nick Carter e – apice della tendenza – James Bond.
È proprio mentre la tendenza ha toccato questo suo apogeo, che si verifica al tempo stesso un salto di qualità letteraria e un’attenuazione del carattere popolare. La radicale contrapposizione fra Bene e Male, fra l’eroe “buono” e il nemico “cattivo”, viene sostituita da un più sofisticato e problematico rapporto fra l’agente dei “nostri” che compie il suo dovere pur tra dubbi e incertezze sulla moralità del suo agire, e l’agente degli “altri” più accuratamente ricostruito per quanto concerne le sue idee i suoi moventi. È emblematico a questo proposito John Le Carré con La Spia che venne dal freddo.
Lo studioso può trovare una correlazione fra questa modifica di tendenza e l’acme e poi la riduzione della tensione fra Stati Uniti ed URSS, scanditi da episodi col protagonismo dei vari servizi segreti: l’abbattimento dell’aereo spia U2 sull’URSS (1960), lo sbarco alla Baia dei Porci di esuli cubani addestrati dalla CIA (1961), l’individuazione e la rinuncia al progetto di installazione dei missili russi a Cuba (1962).
Il nuovo “eroe” che si delinea è certamente più gradito al pubblico della cultura d’élite, ma è probabilmente meno gradito al pubblico della cultura di massa. Tuttavia la trama sempre incentrata sul personaggio e sulle sue vicende garantisce la continuità del gradimento diffuso. Ma all’incirca nello stesso periodo (inizio anni Sessanta) si delinea una doppia evoluzione con la quale, a mio giudizio, si pongono le premesse che rendono oggi più difficile al grande pubblico la comprensione della spy-story. Da un lato si accentua il carattere di “giallo politico”, dall’altro l’infiltrazione del “nemico” tra i “nostri” (e in parte anche quella dei “nostri” nei servizi segreti “nemici”) rende sempre meno agevole percepire quella netta demarcazione fra l’eroe tutto sommato “positivo” (anche quando diviene problematico) e il “male” e i “cattivi” che egli affronta.
L’inizio delle due tendenze può essere datato da Sette giorni a maggio di Knabel e Bailey (due giornalisti politici americani) e da La pratica Ipcress di Len Deighton. Nel primo libro vengono descritti la preparazione e il fallimento di un colpo di Stato militare negli Stati Uniti. Nel secondo libro il protagonista viene “venduto” al nemico da uno dei suoi capi che in realtà è al servizio dei russi: l’incertezza sta nel capire quale dei due capi sospettati sia il vero traditore.
È importante rilevare che entrambe le nuove tematiche, il giallo politico attorno alla possibilità di un colpo di Stato e l’infiltrazione comunista nei servizi segreti e diplomatici occidentali, corrispondono a situazioni effettivamente verificatesi nei sistemi politici dell’Ovest e nei loro organi di sicurezza. Il tema del colpo di Stato domina la scena politica francese tra il maggio 1958 e la primavera del 1963 (dai militari al potere ad Algeri, preludio dell’avvento di De Gaulle, sino alla sconfitta dell’OAS). Sfiora la scena politica italiana dal 1960 al 1964 (da Tambroni a De Lorenzo). Negli stessi Stati Uniti dietro l’assassinio di Kennedy a Dallas è più ipotizzabile una congiura che non un gesto isolato. Il colpo di Stato in Brasile del 1964 venne definito da qualche commentatore “Sette giorni ad aprile”.
Per quanto riguarda l’infiltrazione, l’Inghilterra scelta come teatro di La pratica Ipcress è il paese di Philby, di Burgess, di MacLean, infiltrati filo-sovietici ad alto livello. E anche recentemente la stampa britannica è arrivata a scrivere che forse tutto il vertice dei servizi segreti è stato per lunghi anni controllato e ricattato dal KGB, mentre uno degli ex capi più anticomunisti della CIA (Angleton, che ha operato anche in Italia) non è immune dagli stessi sospetti. Che pur se infondati sono indice del rapporto tra invenzione fantastica e realtà possibile.
Per quanto infondati possono dunque essere questi sospetti, è significativo il fatto che essi siano sorti e siano stati divulgati in un ambiente che non è quello della spy-story, ma del giornalismo di informazione, sia pure il più avventuroso.
Sette giorni a maggio e La pratica Ipcress vengono pubblicati in Italia in volumi rilegati e forse non raggiungono il pubblico più popolare. Ma la tendenza alla quale questi libri danno origine dilaga molto rapidamente nel quindicennio successivo. Non ho elaborato statistiche e la mia è l’impressione di un lettore: ma credo di poter dire che nei testi della collana Segretissimo dell’ultimo decennio (che riflettono l’evoluzione della letteratura internazionale sull’argomento), i racconti nei quali si parla di alta politica e quelli nei quali il tema di fondo è l’infiltrazione, sono altrettanto numerosi di quelli che trattano argomenti diversi.
È ormai comune lo svolgimento di intere sequenze delle spy-story nella famosa Sala Ovale della Casa Bianca, nella quale lavora il presidente degli Stati Uniti, come in Da lontano, sino alla follia di Arthur Mather. L’ambiente della Casa Bianca e quello del Senato americano sono il teatro dell’azione in Destino Asterisco di Campbell Black e in La bomba dei folli di Dan Oran e Lohn Hoklin, tanto per citare alcuni recenti titoli di Segretissimo.
Il primo ministro inglese nella sua celeberrima residenza al n.10 di Downing Street è un personaggio del romanzo di spionaggio altrettanto fisso del presidente degli Stati Uniti. In uno dei più grandi successi del genere, Il giorno dello sciacallo, pubblicato in Italia col sottotitolo “A un passo dal cambiare il corso della Storia” (S maiuscola), Frederick Forsyth ci presenta in persona il generale De Gaulle a colloquio col suo ministro degli Interni, Roger Frey, mentre si intravede sullo sfondo l’enigmatica figura di Jacques Foccar, l’eminenza grigia dell’Eliseo.
Su questa strada e sebbene con maggiore difficoltà la spy-story si avventura a descrivere le altre sfere sovietiche: compare un Breznev altrettanto brav’uomo del presidente americano (I falchi rossi di Al Dempsey e Robin Moore). Ted Allbeury in Una spia e due soldi ci presenta il maresciallo Rokossowski mentre presiede una riunione di altri ufficiali dell’Armata Rossa. Lo stesso Forsyth attribuisce parte del successo dei suoi libri (per esempio L’alternativa del diavolo) alla precisione con la quale vengono ricostruiti gli ambienti, compresa la sala delle riunioni del Politburo del PCUS.
Anche per l’Italia uno dei libri più fortunati (La salamandra di Morris West) pretende di essere la descrizione di tentativi di colpi di Stato messi in atto nel nostro Paese dai servizi segreti all’inizio degli anni Sessanta (vi è anche una immagine di Giangiacomo Feltrinelli, sotto il nome di Bessarione). Mentre l’alta politica e l’infiltrazione irrompono nella spy-story, scompaiono per esaurimento gli eroi tradizionali: Nick Carter, Sam Durrell, OS117. Sua Altezza Serenissima Malko Linge continua, ma è sempre più coinvolto proprio nell’alta politica (oltre che in situazioni di una violenza sempre più esasperata: sino al recentissimo SAS: Paura a San Salvador). L’eroe più nuovo, James Fitzgerald Cash del francese Gérard Cambri, è permanentemente impegnato a impedire una congiura di capi della Mafia, di alti ufficiali e di settori dell’establishment che vogliono rovesciare il presidente degli Stati Uniti. L’eroe opera ormai al livello di chi sventa colpi di Stato, di chi cambia il corso della “Storia”.
Il nuovo trend è troppo impegnativo, mi pare, per il lettore che cerca svago e distrazione. È vero che l’intreccio con la realtà rimane stretto. Howard Hunt, autore di tanti romanzi di spionaggio, è anche il protagonista vero dell’affare Watergate che pone fine alla presidenza Nixon in un clima di intrighi e di ricatti (che forse col generale Haig, gestore della crisi del 1974, proiettano la loro ombra anche sulla realtà odierna). Ma a me pare che se l’intreccio con la realtà politica è troppo stretto e se il problema dell’infiltrazione non permette più di distinguere i protagonisti non solo tra “buoni” e “cattivi” ma neanche per il ruolo effettivo che svolgono, allora il lettore non particolarmente sofisticato rischia di rimanere disorientato, rispetto a quello che si aspetta da una spy-story. I successi dei classici del genere (Forsyth, appunto) sono controbilanciati dal declino presso il grande pubblico dei prodotti mediocri che si basano su analoga tematica.
Credo che la mia esperienza in proposito possa essere considerata significativa. Quando dagli anni Sessanta citavo i gialli alla Mickey Spillane e le storie di spionaggio come indici di una cultura e di tendenze politiche, si trattava di un genere di citazioni non comune agli studiosi politici. Oggi mi sembra difficile che un politologo possa analizzare fenomeni e sistemi politici senza tenere alcun conto delle suggestioni e degli indizi fornitigli da questa narrativa popolare. Dopotutto un romanzo di spionaggio di Howard Hunt, Ingannevolmente a Berlino, ha quasi anticipato le manovre che hanno portato alle dimissioni di Willy Brandt da cancelliere della Germania federale.
Simili anticipazioni non sono un’assoluta novità. Già all’inizio della tendenza “politica” presa in esame, nel libro di Richard Condon The Manciurian Candidate l’assassinio di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti prefigurava alcune modalità di quello di Kennedy. La novità sta nel fatto che ciò che era l’eccezione – spy-story ambientata nelle alte sfere – diviene in seguito la regola. Questa moda letteraria in un genere popolare ha per me un profondo significato. Esprime la diffusa convinzione – della quale gli scrittori dei romanzi di spionaggio possono farsi interpreti meglio di altri – che accanto al “governo visibile” delle democrazie rappresentative (ed anche di altri sistemi politici), vi sia un “governo invisibile” (la definizione è nel titolo del celebre libro di Rose e Waise) dei servizi segreti.
La convinzione è particolarmente forte in chi ne ha una esperienza diretta. È infatti sempre più frequente il caso di autori che hanno operato (e forse ancora operano) nelle “agenzie” che descrivono. Ma è una convinzione che sempre più si diffonde anche tra gli studiosi politici. Spesso può essere presentato in forma allusiva e narrativa quanto non può essere analizzato scientificamente e che pure è di rilevante importanza nell’ambito della scienza politica. Ma se le ragioni di questa tendenza in atto degli anni Sessanta sono, a mio avviso, profondamente radicate nella cultura politica dell’Occidente, non bisogna mai dimenticare che il lettore generalmente non cerca nel romanzo di spionaggio l’interpretazione o la spiegazione di fatti di alta politica. Cerca soprattutto il personaggio, le vicende nelle quali è coinvolto, le sue avventure coi relativi colpi di scena, gli incontri erotici e le insidie alle quali sfugge. Questo tipo di lettore è già stato investito, da ormai quasi un ventennio, dei problemi di agenti segreti sempre più problematici, sempre meno sicuri della causa che difendevano. Dai libri più sofisticati appartenenti a questo genere narrativo, l’introspezione di questi personaggi, accenni di divagazioni filosofiche alle quali si abbandonano, si sono estesi anche ai testi più popolari e più diffusi. Ma comunque il personaggio dell’agente segreto rimaneva centrale, la sua storia, come si dice, avvincente; anche se il lettore poteva talvolta sentirsi più affaticato che divertito.
La vera svolta nel rapporto tra la spy-story e il pubblico di massa mi sembra sia avvenuta quando è divenuta centrale nella trama non la figura della spia problematica, ma quella della spia doppia o tripla, la quale ha creato un inestricabile groviglio di doppiogiochisti e di infiltrati che ha fatto di molti romanzi un vero rompicapo per il lettore medio. Contemporaneamente è apparso sulla scena un nuovo personaggio (l’uomo politico ad altissimo livello) che per il ruolo che ricopre tende dapprima a concentrare su di sé l’interesse del lettore, introdotto alla Casa Bianca o all’Eliseo. Ma in seguito, quando questa situazione diviene troppo frequente e ripetitiva, il lettore può avere la sgradevole impressione di ritrovare in ciò che legge per “evadere”, per distrarsi e per divertirsi, gli stessi personaggi (alti politici, alti ufficiali) dai quali non riesce ad evadere, che non lo distraggono e non lo divertono, allorché compaiono costantemente in primo piano sui giornali e alla TV. Si può aggiungere che questa sensazione del lettore è stata probabilmente accresciuta negli ultimi anni, come si è visto, da vicende reali culminate nel famoso Watergate. Che non è detto abbia concluso un’epoca, se non è trascorso molto tempo dall’attentato a Ronald Reagan.
Infine il diffondersi di vari movimenti terroristici legati alle situazioni specifiche le più diverse (dall’Italia all’Armenia, dall’Irlanda alla Palestina, dal Paese basco alla Germania) ha offerto al romanzo di spionaggio l’ultimo e più recente filone, largamente sfruttato. E anche in questo campo la stretta aderenza tra vicende narrate e realtà vissute e riportate nelle prime pagine dei giornali e in testa ai notiziari TV, hanno finito col trasformare la spy-story in un genere nel quale il lettore ritrova più i fatti della vita di tutti i giorni ce non l’evento straordinario che rompe la monotonia del quotidiano. Il personaggio affascinante dell’agente segreto, appena toccato il culmine con James Bond, è venuto declinando, problematizzato da casi di coscienza; è diventato poco comprensibile come infiltrato doppio o triplogiochista, surclassato da capi di Stato e qualche volta persino da pontefici (vedasi il recente Sua falsità di George Marton).
È probabile che il romanzo poliziesco “politico” abbia dinanzi a sé un avvenire, proprio perché il genere si presta raccontare eventi strettamente aderenti alla realtà, che non possono essere oggetto di inchieste giornalistiche o di trattazioni politologiche, precisamente perché concernono aspetti segreti del potere e della sua gestione che non possono essere resi pubblici con nomi e circostanze autentici. Ma questo genere narrativo sembra essere più indicato (salvo casi eccezionali) per un pubblico più ristretto di quello, di grande massa, che è il fruitore abituale e tradizionale della letteratura d’evasione. Migliorando di qualità, la spy-story politica tende a perdere in quantità (di lettori).
Probabilmente più incerto è l’avvenire del romanzo di spionaggio che fa perno sulle complicazioni psicologiche e sui casi di coscienza degli agenti. Questa impostazione narrativa pare aver raggiunto un livello di macchinosità e di inafferrabilità troppo al di sopra di quanto chiede il lettore medio. Senza un personaggio gradevole con caratteristiche ben definite e ambientate in vicende sostanzialmente lineari, la spy-story tende a perdere le peculiarità che ne hanno fatto, nel periodo della sua massima fortuna (così come il giallo d’azione e la fantascienza epica) l’equivalente del romanzo di cappa e spada dell’Ottocento. È ben vero che le vicende dei moschettieri sono ambientate nell’alta politica, che nel corso dei conflitti tra Francia e Inghilterra, delle guerre di religione, della contesa della Fronda e della Great Rebellion inglese, i protagonisti conferiscono con regine, re e alti prelati; e che si assiste alla decapitazione di Carlo I Stuart nel 1649. Ma Porthos, Athos, Aramis e D’Artagnan e i loro discendenti sono sempre al centro della vicenda, con caratteri ben definiti. I buoni e i cattivi sono facilmente distinguibili e fissi nei loro ruoli. Su questa formula si è sempre retto anche il romanzo di spionaggio e su di essa è basata tuttora la sua possibilità di mantenere un pubblico di massa.
[Tratto da Gli eroi dell’ombra (supplemento a «Segretissimo», n. 918), a cura di Laura Grimaldi e Marco Tropea, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1981, pp. 485-491].