Lavinia Peluso (1996) ha conseguito la laurea magistrale con lode in Filosofia all'Università di Pisa nel 2020 discutendo una tesi dedicata al significato della temperanza nelle Leggi di Platone. Attualmente svolge il Dottorato di ricerca in "Scienze della cultura", curriculum Filosofia, presso la Fondazione Collegio San Carlo di Modena, e si occupa di una ricerca destinata a chiarire l'influenza della democrazia ateniese sui dialoghi politici platonici, con particolare riferimento alle Leggi.

Recensione a
B. Centrone, La seconda polis. Introduzione alle Leggi di Platone
Carocci, Roma 2021, pp. 348, €34.00.

Quando pensiamo ai dialoghi di Platone, non pensiamo certo in prima battuta alle Leggi. Basta infatti tener presenti alcuni aspetti dell’opera per comprendere le ragioni che ne hanno determinato la svalutazione sin dall’antichità. Le prime perplessità sono suscitate indubbiamente dalle incongruenze concettuali, le trattazioni abbozzate e le frequenti imprecisioni linguistiche e retoriche, le quali hanno condotto gli interpreti a ipotizzare l’assenza della revisione finale da parte di Platone. Inoltre, stupiscono l’assenza della tradizionale figura di Socrate e l’ambientazione in uno scenario decisamente differente rispetto agli altri dialoghi platonici, usualmente ambientati ad Atene. Sulla scia dell’autorevole giudizio del filologo Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, le Leggi sono state considerate recentemente come una soluzione di ripiego rispetto al progetto della Repubblica, imperniato attorno alla costruzione della città ideale.

Al contrario, la prospettiva maggiormente realistica delle Leggi sarebbe da ricondurre alle fallimentari esperienze di Platone in Sicilia, dove egli tentò di realizzare il suo progetto politico senza successo. Ma già la grandiosità del dialogo a cui Platone dedica le energie degli ultimi anni della sua vita è indizio dell’importanza che il nuovo progetto riveste nella sua ottica. Le ragioni di un simile “arretramento” della prospettiva filosofica non sono da ricercarsi nell’indebolimento delle convinzioni di Platone, quanto semmai nella sua volontà di rivolgersi a un pubblico più ampio proponendo un progetto politico con una maggiore possibilità di realizzazione rispetto alla Kallipolis della Repubblica.

Nell’ultimo dialogo, Platone conduce i lettori sull’isola di Creta in una giornata particolarmente afosa, insieme a tre interlocutori anziani: il cretese Clinia, lo spartano Megillo, entrambi con opinabili capacità dialettiche e filosofiche, e l’anonimo Ateniese, il probabile portavoce e rappresentante platonico nella discussione. I protagonisti stanno lasciando Cnosso per raggiungere la grotta di Zeus alle pendici del monte Ida, meta a cui probabilmente non arriveranno mai. La strada da fare è lunga, e per questo motivo decidono di intrattenersi discutendo della costituzione (politeia) e delle leggi (nomoi).

Nella nuova monografia edita per Carocci, La seconda polis. Introduzione alle Leggi di Platone, Bruno Centrone ripercorre magistralmente lo svolgimento della discussione dei tre interlocutori, analizzando la struttura e il contenuto del dialogo nella sua interezza. Conciliando completezza e limpidità nella spiegazione e nell’analisi dei passi, il libro costituisce per il lettore, anche quello non specialista, un ausilio prezioso per cogliere la complessità dell’ultimo dialogo platonico e per comprendere la necessità di una nuova attenzione per le Leggi, ingiustamente scivolate in secondo piano rispetto ad altri dialoghi.

Come si evince già dall’indice del volume, questo segue puntualmente l’andamento della conversazione, prendendo le mosse dalla riflessione che occupa i tre anziani nelle prime pagine, la quale è dedicata a chiarire lo scopo a cui la legislazione deve mirare, ovvero la virtù completa (aretè sympase), e a definire l’educazione (paideia), che ha appunto il compito di condurre tutti i cittadini alla realizzazione della virtù. Questo deve dunque essere il fine, non la guerra come a Creta e Sparta, né il potere o la ricchezza come nelle città contemporanee degenerate. Tra le questioni a cui Centrone dedica particolare attenzione si trovano poi anche l’analisi storica delle costituzioni che occupa il libro III del dialogo, e l’organizzazione e regolamentazione della città, cioè una colonia cretese di nuova fondazione di cui il cretese Clinia è incaricato, insieme ad altri nove, di redigere il codice legislativo, come si legge nelle ultime righe del libro III.

Precisamente il tema della paideia si rivela di assoluta centralità nel testo: tale tema, infatti, «non si esaurisce nei primi due libri, ma percorre l’intero dialogo» (p. 157). La disamina dell’educazione è condotta su due piani, secondo i due diversi orientamenti che strutturano la conversazione delle Leggi: un livello generale e astratto, che fornisce i principi teorici, e uno in cui si cerca «di tradurre le indicazioni teoriche in leggi concrete» (ibid.). Nei primi due libri la questione è analizzata quindi da una prospettiva teoretica mediante l’individuazione della definizione formale e degli scopi della paideia, mentre è a partire dal libro VII che si pone la necessità di legiferare concretamente, entrando nei dettagli pratici del processo formativo stesso. La riflessione sulla paideia è dunque esemplificativa della struttura più generale della conversazione stessa, struttura che Centrone ha cura di evidenziare a più riprese nel corso della sua analisi: da una parte, Platone pone i principi teorici attorno a cui deve essere costruito il codice legislativo che i tre interlocutori stanno progettando; dall’altra, provvede in prima persona a fornire una bozza della legislazione, lasciandone però il perfezionamento ai futuri legislatori.

Proprio la scelta di dedicarsi alla progettazione di un codice legislativo è indizio della diversa prospettiva entro cui si muove Platone, ora più realistica, mutata rispetto a quella che orienta la discussione della Repubblica: egli stesso definisce infatti la legge come ciò che sta al secondo posto rispetto al comando della scienza, ma è la soluzione a cui è necessario rivolgersi data l’improbabilità di vedere realizzato il governo dei filosofi, che, in continuità col dialogo precedente, resta l’ideale e il paradigma che Platone ha in mente (Leg. 875c-d). L’Ateniese caratterizza la costituzione di cui i tre si accingono a disquisire come “seconda” rispetto a quella che è prima per virtù (Leg. 739a-b), nella quale è possibile riconoscere «l’ingombrante presenza della Repubblica» (p. 16), alludendo peraltro anche a una “terza” polis. È al tema della realizzabilità della seconda polis e del suo rapporto col progetto della Repubblica che Centrone dedica l’ultimo capitolo della monografia, spiegando che, malgrado le differenze evidenti, il paradigma a cui è necessario attenersi è solo uno, cercando «la costituzione che più vi si avvicini; a variare sono le modalità per approssimarsi il più possibile all’unico modello» (p. 305). Fortunatamente, negli studi recenti ha finito per prevalere «la tesi della complementarità nel senso dell’implementazione di un paradigma in quanto tale irrealizzabile, ma possibile in quanto si tratta di un’approssimazione al massimo grado consentito» (p. 17).

Ad ogni modo, dato che le Leggi si qualificano come un progetto di secondo livello, è questo lo sfondo da tenere necessariamente presente quando ci si avvicina al dialogo: «il gran numero di leggi dettagliate, che proprio per la loro concretezza sembrano pensate per essere operative, ha rinforzato in molti casi la convinzione che il progetto sia stato elaborato per essere effettivamente tradotto in atto» (p. 302). Molto probabilmente questo è ciò a cui mira Platone, cioè alla costruzione di una città il più simile possibile a quella da lui delineata. Tuttavia, «si deve considerare che Platone è prima di tutto un filosofo, non un politico o un legislatore, e che anche la sua opera legislativa va inquadrata in questo sfondo» (p. 311), e infatti alcuni aspetti del progetto delle Leggi restano «più vicini all’ideale che non alla realtà» (ibid.). Nonostante sia evidente che spesso l’Ateniese argomenti pensando a situazioni concrete ben precise, resta senza una risposta definitiva la domanda sulla realizzabilità della seconda polis delle Leggi: come conclude saggiamente Centrone nelle ultime pagine del volume, «l’irriducibile alterità del reale rispetto all’ideale, anche nella sua massima realizzazione possibile, rimane quindi un tratto costitutivo della riflessione platonica» (p. 311).

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