Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.

L’uomo greco è curioso, pettegolo, invadente, indiscreto: guarda l’Altro, lo osserva attentamente e lo narra abilmente. Omero è ammaliato e sedotto dalle innumerevoli, illimitate, infinite immagini che galleggiano sulla superficie mondana. Desiderano vedere e conoscere. Egli ambisce a puntellare con parole lo straordinario assortimento dei comportamenti umani: sesso, matrimonio, famiglia, guerra, religione, architettura. L’Odissea apre il sipario con l’eroe che «di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri».

Il superpotere della visione e dell’osservazione. L’intrico d’amore, frode, menzogna, vergogna, voyeurismo. La narrazione omerica rende potentemente deflagrante l’impatto visivo della beltà femminile e l’urto tragico nell’esito. Gli anziani, allorché scorgono «Elena venire verso la torre», la comparano ad una dea immortale: probabilmente battersi per lei può valere lutti.

Omero eccita, stimola e, soprattutto accresce la nostra immaginazione visiva. Com’è il guerriero omerico? Thàuma idèsthai! Splendido a vedersi! La verbalizzazione è un monumento da ammirare e contemplare. La custodia vigile avviene mediante l’occhio e l’orecchio, secondo Omero. Allora, ecco un tumulo nel settimo libro dell’Iliade: «qualcuno tra gli uomini futuri/navigando con nave ricca di remi il livido mare: / ‘ecco tomba d’eroe che morì anticamente: / l’uccise – ed era un forte – Ettore luminoso’. / Così dirà qualcuno, e non perirà la mia fama».

Lo intravedete?  È «visibile da lontano», afono. Parla per esso Ettore. Anche le pietre sono mute, tuttavia si esprimono mediante iscrizioni: «Io sono la tomba, il monumento o la coppa di Tizio». Se un monumento non parla, non può essere ricordato, come asserito nell’Iliade è «tomba d’un uomo morto in antico». Ciò che è memorabile, ovvero degno di memoria, si trasforma in klèos, fama, da klùein, udire: resiste all’usura corrosiva del tempo. In fondo, morire akleès è una sciagura senza rimedio. Telemaco afferma che sarebbe stato meglio per il padre decedere ad Ilio: «tutti gli Achei gli avrebbero fatto una tomba / e anche a suo figlio avrebbe acquistato gran gloria (klèos) per dopo. / Ma ora se lo portarono ingloriosamente (akleiòs) le Arpie».

L’ascolto come mezzo di spietato e accanito controllo sociale. La memoria, orbene, parrebbe dipendere dall’udito ma è la vista che veicola, spinge sull’acceleratore delle vibranti emozioni. Penelope ed Odisseo, durante l’agnizione, giocano con lo sguardo; Priamo ed Achille si scambiano occhiate di sbigottimento ed apprezzamento. Achille, conscio del gigantesco turbamento che potrebbe provocare la vista del cadavere di Ettore, comanda che sia deterso altrove, «perché Priamo non lo vedesse, / e nel cuore angosciato non trattenesse più l’ira / alla vista del figlio, e l’animo si gonfiasse ad Achille, / e lo uccidesse, violasse il comando di Zeus». Il Greco spicca per la sua capacità attentiva, misura i dettagli, usa la visione per parlare e l’ascolto per emettere giudizi.

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