Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.

Recensione a
A. Barbero, Le ateniesi
Mondadori, Milano 2020, pp. 224, €12.00.

Alessandro Barbero legge Aristofane e convince, valicando la filologia per divenire rievocazione storica minuziosissima. In poco più di due anni, sul finire della stagione estiva del 413 a.C., la vicissitudine siciliana di Atene termina con la flotta distrutta, il “fior fiore” della giovinezza ammazzata o ridotta in lacci nelle latomie siracusane, il complesso sistema delle alleanze cigolante ed in prospettiva, medium Alcibiade, un’intesa Sparta-Impero persiano.

Le ingenti riserve finanziarie della Lega attica regalano, però, ancora l’opportunità di resistere, cassando, almeno temporaneamente, la possibilità d’una trattativa con Sparta. Nel 411 Aristofane, massimo rappresentante della commedia attica “antica”, in un clima di rinvigorita ostilità, mette in scena Lisistrata, Colei che scioglie gli eserciti: Lisistrata è una donna ateniese, arcistufa, come tutte le altre concittadine, dell’inesauribile guerra che oppone la sua patria a Sparta.

Risolutissima a far sì che si concludano le avversioni, aduna le donne delle città alleate di Atene e quelle avversarie, proponendo loro di coalizzarsi e di rifiutarsi di avere rapporti sessuali con i propri coniugi, finché essi non si decideranno a stipulare la pace. Proposta smaccatamente provocatoria, divertente ed al contempo acre “funambolismo concettuale”: ateniesi e spartani, vittime della loro stessa cocciutaggine nell’insistere in un conflitto irragionevole e perturbatore della pace familiare nonché assassino dell’economia, si ritrovano a dover fronteggiare la faccenda a letto. Idea unica in tutto il teatro comico, si eleva al ruolo di star nientedimeno quella fetta della società attica libera ma debole ed inascoltata, tuttavia partecipe tanto quanto gli uomini dei lutti e dei dolori della guerra.

Un sagace traslato quello “aristofanesco”: esso incastra altresì il tema dei “poteri” che, in una città svuotata della “forza dei giovani”, potrebbe cadere, rapidamente, in balìa di loschi interessi, oscuri personaggi e mire ben più pericolose di quel manipolo di donne scalpitanti. Ovviamente, la commedia genera subito un acceso dibattito tra  aristocratici e popolari: l’Arte precorre la Storia. Pare proprio di stare lì: si descrivono con esattezza pregevole gli interpreti, le battute ed il brusìo del pubblico; le musiche, gli abiti di scena, le reciprocità tra palco e platea; le attese del drammaturgo sulle reazioni dalle gradinate, i gesti e le forme comunicative degli attori nell’articolare le arguzie, tra l’altro, ottimamente tradotte.

Barbero a questo punto, decide di percorrere un “doppio binario narrativo”. Polemone e Trasilo, due vecchi reduci di guerra, ora contadini, assistono alla rappresentazione della Lisistrata. Il tempo, era appena ieri, ha alle spalle Mantinea: la comunità ateniese è in trambusto, le risorse, prima o poi, si esauriranno ed in tanti cominciano a nutrire fortissime riserve circa la resistenza della democrazia. Il sentire comune è: Atene ha inventato la democrazia ma deve custodirla; i ricchi tramano per istituire la tirannide. Non è certo dettata dal caso la presenza alla rappresentazione anche di Crizia, leader d’un governo oligarchico, qui esegeta della “politica di retroscena”

Intanto, le loro figlie, Glicera e Charis, invitate nella lussuosa abitazione di Cimone, facoltoso, sfacciato e borioso giovanotto, protagonista dei loro sogni più intimi, si ritrovano catapultate in un festino erotico alla mercé di sevizie, torture e, infine, stupri, descritti davvero senza trascurare i particolari più crudi. È declinata proprio ogni espressione della brutalità fisica e psichica. Talvolta, in maniera ridondante.

Adesso siamo in una villa del Circeo nella notte tra il 29 ed il 30 settembre 1975: Donatella Colasanti e Rosaria Lopez sono sequestrate, stuprate e torturate da tre “pariolini”. Già, le giovani donne non sono persone, sono oggetti di cui basta stabilire il prezzo: esse, però, non sono schiave, sono libere, figlie di uomini liberi. Ebbene, la violenza sessuale è esemplificativa dello stato in cui versa Atene e qualsivoglia democrazia. Al di là di una texture narrativa decisamente pulp ed inusuale per lo stile a cui il medievista ci ha abituati negli anni, la riflessione, scorrendo le pagine, si innesta su istituzioni, patriarcato, violenza, sesso.

Barbero si interroga, rendendoci emotivamente partecipi, sul costo della democrazia e sulla tenuta della democrazia stessa, allorché si verificano immani sciagure collettive ed il “governo dei migliori” potrebbe essere più efficace ed efficiente del “governo di tutti”. No, l’autore, a differenza di Aristofane, non assume una posizione.

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