Miriam Breschi (2006) frequenta la quarta classe del Liceo Classico "Marsilio Ficino" di Figline Valdarno (FI).
Introduzione
Studiando la letteratura greca dall’antichità fino ad oggi possiamo notare un enorme cambiamento nella percezione dell’essere umano e nella consapevolezza dell’io come soggetto di analisi e riflessione autonoma. L’obiettivo di questo elaborato consiste nell’analizzare gli autori che si sono succeduti nel corso di circa otto secoli (dal IX al I sec.) alla luce del contributo che essi hanno dato alla scoperta dell’uomo e del suo valore come essere a sé stante rispetto alla divinità.
La tesi qui esposta si sviluppa secondo alcuni passaggi storici e culturali fondamentali. Anzitutto, la civiltà omerica conosce forze divine che l’uomo non può controllare e che si incrinano in parte già con Esiodo. In secondo luogo, la lirica mette al centro l’Io introducendo la forza dell’emotività e del sentimento ma non mette ancora a fuoco l’idea di anima distinta dal corpo e quella di comportamento morale. Successivamente, con Saffo la riflessione sull’Io si estende al Tiaso ma rimane ancorata al concetto di eros, l’amore, descritto come forza cosmica. Manca la riflessione sull’anima, sul perché dei fenomeni. Quindi con Socrate e Platone avviene la grande trasformazione perché si passa dalla riflessione individuale a quella collettiva e di comunità: se in Saffo c’è il dialogo con sé stessa, con i due filosofi si introduce il concetto di responsabilità morale; se in Saffo c’è la sola voce della poetessa che parla per l’intero Tiaso, in Platone ci si cala nella novità della comunità allargata, cioè la polis, quindi il simposio. Infine, con gli ultimi poeti lirici il processo si completa e l’Io si sviluppa nel legame con un Tu, cioè nella forza delle relazioni umane e nel dialogo con i propri simili. Ormai le divinità si sono offuscate e l’uomo si appresta a diventare il protagonista della storia nei secoli successivi.
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Il processo di interiorizzazione della poesia greca, ossia quel percorso attraverso il quale il poeta inizia a prendere consapevolezza di sé, a comprendere le proprie capacità e a rendersi conto del suo valore, inizia intorno al XIII secolo con Esiodo. Nessuno prima di lui era mai uscito dall’anonimato e nessuno si era mai dedicato ad un genere così simile a quello lirico ed autobiografico, staccandosi dall’oggettività epica. Egli fa anche uso della σφραγίς, il sigillo, timbro o firma per far riconoscere i propri componimenti.
Cominciano dunque a delinearsi i contorni di quella che sarà la letteratura greca arcaica, il cui primo esponente è Omero, con i suoi due celebri e importantissimi poemi, l’Iliade e l’Odissea. Anche se già tra queste due opere si notano differenze significative in termini di stile di scrittura, è con Esiodo che si verificano i primi passi di quella grande trasformazione che mantiene, comunque, sia le divinità come figure principali sia l’invocazione alle Muse, figlie di Zeus e Mnemosine.
Anche nella letteratura latina possiamo vedere questa evoluzione nel rapporto con le dee ispiratrici. Con l’arrivo della poesia di Virgilio, intorno al I secolo a.C., cambierà anche il modo dell’invocazione. Non sarà più “cantami/narrami oh musa”, ma memora, cioè “ricordami” ovvero assistimi in questa operazione: non c’è più la dipendenza che si aveva con Omero, dunque adesso il poeta diventa più autonomo. Il primo ad utilizzare questo verbo sarà proprio Virgilio nel proemio dell’Eneide.
In precedenza, invece, Omero le invocava per far sì che gli suggerissero il canto e le vicende, dunque l’aedo non era una persona dotta ma semplicemente colui che esprimeva al pubblico ciò che le Muse gli dettavano. Una sorta di tramite, di veicolo. Nei poemi omerici c’era un’ispirazione completamente passiva, il poeta rimaneva esterno alla storia e si limitava a cucire assieme informazioni già esistenti (rapsodi).
Il vero cambiamento si è verificato con l’introduzione dell’uomo quale figura centrale, attraverso cui l’anima dell’artista si manifesta e compone seguendo ciò che gli detta il cuore. Più precisamente il poeta comincia a partecipare al racconto, così da acquisire una nuova sensibilità.
Esiodo rompe con l’impersonalità omerica e decide addirittura di nominare il proprio nome nel ventiduesimo verso del proemio della Teogonia. Il poeta si vanterà anche di aver ricevuto l’investitura dalle Muse sul monte Elicona, in Beozia, e di poter scegliere liberamente l’argomento del canto insegnatogli dalle figlie di Mnemosine.
Con Esiodo sono sempre presenti le divinità, considerate nettamente superiori all’uomo; si ha, in particolare, l’esaltazione di Zeus, padre degli dei, che assicura il κόσμος, “ordine”. Il poeta parlerà anche di lavoro, sforzo e fatica (ἔργα), questioni riprese da Tirteo, esponente dell’elegia, branca della lirica recitata nel VII secolo a.C., autore che ritiene fondamentale la condotta e l’approccio dell’uomo nella battaglia, cioè quale sia il giusto comportamento da tenere. Infatti al centro dell’attenzione ci sarà l’ἀρετή (il valore, quel che per i Romani sarà la virtus, la virtù). Il più valido modo per conseguirla è quello di associare la poesia alla σοϕία “sapienza”. Tirteo ci invita a non temere i mali della guerra, ma a ricercare una morte valorosa, a combattere in prima fila e ad odiare una vita che rifugga dall’impegno militare. Nel testo “È bello morire valorosamente” l’autore offre dei suggerimenti per giovare alla comunità e di conseguenza alla patria, riassumendo perfettamente i propri ideali.
Anche Pindaro, nato a Cinocefale nel 520 a.C., riprenderà la concezione dell’uomo che non potrà rimanere immortale se non è virtuoso e non fa poesia. Rimane comunque molto forte la connessione con l’epica e la sua funzione eternatrice. Pindaro è uno dei massimi esponenti della lirica corale, corrente che si distingue dalla lirica monodica per il professionismo poetico. Saffo e Alceo scrivevano per piacere e per propria volontà e dunque erano liberi da vincoli, invece per i poeti corali vi è una dipendenza dai regnanti durante feste religiose, pubbliche o privato, Infatti il poeta veniva convocato da un sovrano committente per comporre qualcosa in suo onore. La poesia diventa dunque una celebrazione del destinatario.
Ritornando al nostro tema, con Omero l’ἀρετή è connessa alla guerra e soprattutto alla civiltà di vergogna, cioè più τιμή (onore) un eroe possiede, più riceverà γέρας (bottino di guerra) e quindi maggiore sarà il suo κλέος (fama, gloria). Con Esiodo invece la virtù è legata al lavoro; quando aumenta la fatica aumenta anche il guadagno e perciò si potrà diventare uomini giusti e virtuosi.
Già qui si segnala un significativo, fondamentale passaggio di epoca: dall’eroe guerriero all’uomo comune lavoratore. Il poeta diventa portavoce del proprio gruppo sociale per esprimere le esigenze di ciascun suo componente e richiede un diretto legame tra lo stesso poeta e il proprio uditorio. Con Esiodo si inizia perciò a parlare di “poeta-vate”. Questo fondamentale autore avrà un rapporto diverso con le divinità: esse hanno scelto il poeta e gli hanno parlato, non si sono imposte dall’alto con aria di superiorità, così che il poeta ha potuto comportarsi in modo più amichevole, umano e confidenziale con loro, attuando un processo di desacralizzazione della divinità (ciò significa che vede negli dei persone comuni che sbagliano proprio come gli uomini; la distanza tra uomini e dei pertanto si riduce).
Stessa cosa farà Teocrito in età ellenistica, tra il VI e il III secolo a.C. Con il proseguire del tempo, sarà lo stesso autore a rivolgersi alle Muse, non come servo, ma come uomo che invita a dialogare e ad ottenere approvazione. Le teofanie diventeranno un topos letterario nella letteratura greca: infatti, sempre in età ellenistica, anche Callimaco ci descrive l’apparizione delle Muse in sogno. Pertanto, le divinità sono un elemento essenziale per capire il passaggio che avvenne nell’arco dei circa otto secoli in cui si espresse la civiltà greca.
Omero non chiede semplicemente assistenza nel canto ma invoca le Muse affinché siano loro stesse a cantare attraverso la sua voce; per questo motivo, più che un poeta sembrerebbe il depositario di una verità sacra. Un tramite. Invece quello di Esiodo è un mondo diverso da quello omerico: in quest’ultimo i protagonisti sono eroi che lottano per ottenere fama e gloria e che non danno molta importanza alla vita. Preferiscono morire giovani in battaglia ma essere ricordati nei secoli, piuttosto che vivere senza rendersi utili alla patria. Servire la patria è valore importante anche nella letteratura latina, per Cicerone soprattutto, il quale non a caso disprezza tanto l’otium, quella nulla-facenza che non porta nessun compenso.
D’altra parte, nelle opere esiodee gli uomini comuni devono lottare per ottenere giustizia contro i disonesti e per punire comportamenti scorretti. Solo Zeus può offrire una speranza di successo. La parte iniziale dei poemi, perciò, non era una semplice divagazione, bensì una via per entrare in una dimensione sacrale capace di affascinare e incantare il pubblico.
Il frutto dei componimenti poetici nell’età arcaica era il mito: tramite essi i poeti antichi raccontavano le storie del passato, così come la società vi basava i propri giudizi riguardo ad un comportamento positivo da tenere. I due poemi omerici, insieme poi a quelli di Esiodo, sono stati i primi a dare il via a questo stile di composizione che con il tempo sarebbe mutato in vera e propria poesia lirica.
Con quest’ultima possiamo assistere ad un vero cambiamento, in parte anche grazie ad Alceo, poeta politico nato nel 620 a.C. a Mitilene, autore che rientra nel flusso della lirica monodica. Costui si stacca totalmente dalle convenzioni dell’epica essendo molto edonista e realista. In un componimento descrive, ad esempio, che fuggì dalla battaglia abbandonando le armi, azione impensabile nei secoli precedenti.
La stessa cosa succede anche nel frammento “Smodata esultanza per la morte di Mirsilo”, componimento smodato, eccessivo, privo di decoro, di limiti e di regole. Ci illustra i festeggiamenti avvenuti in occasione della morte del tiranno Mirsilo, c’è un invito all’ubriachezza e ad evitare i compatimenti per la perdita di un nemico. Si allontana molto dai poemi epici, dove il rispetto per la vittima, anche nemica, è sacro (pensiamo, ad esempio, alla sepoltura del corpo di Ettore da parte di Achille).
Questo è il fulcro del passaggio dall’epica alla lirica, cioè da una poesia distaccata, come quella espressa nell’Iliade, ad una più personale. Dall’oggettività alla soggettività. Dalla comunità al singolo. È uno stacco netto per arrivare ad una poesia che ci illustra non solo l’esperienza individuale dell’autore, come fa l’elegia, ma anche i contenuti principali di questo nuovo genere, quali i sentimenti e la vita quotidiana. Adesso non si tratta più di una semplice esaltazione dell’eroe e della battaglia, bensì di una lode all’uomo, un elogio della sua anima, ossia di un’energia, un respiro interiore, nonché delle diverse attività a cui si dedica durante la giornata.
Si parla dunque di io-lirico, indicando così la personificazione della poesia sulla base delle opinioni del poeta (ma non va confuso con una narrazione autobiografica, cioè come se fosse un diario personale). L’io-lirico è, dunque, la proiezione dell’autore stesso, attraverso cui fa emergere la propria visione della realtà. Il concetto di interiorizzazione, non solo della poesia ma anche di altri valori, si può applicare a molti ambiti, ad esempio l’amore, come faranno poi, oltre millecinquecento anni dopo, gli esponenti del movimento letterario dello Stilnovo, a cui appartiene anche Dante Alighieri.
(fine prima parte)