Dottore di ricerca in Diritto presso l’Università di Londra (Birkbeck College), in Teologia presso l’Università di Ginevra e in Studi umanistici presso l’Università di Trento, Massimiliano Traversino Di Cristo  è stato recentemente enseignant-chercheur contractuel presso l’Università di Parigi-Saclay ed è attualmente chercheur invité presso il Centre d’études supérieures de civilisation médiévale dell’Università di Poitiers. I suoi principali interessi di ricerca si concentrano nei campi della storia del diritto, della filosofia morale e della storia della Chiesa, con speciale attenzione alla storia delle idee del tardo Medioevo e della prima età moderna. È fondatore e co-direttore, con il Dr. Anton Schütz, del Centre for Research in Political Theology (già presso il Birkbeck College dell’Università di Londra e ora integrato nell’Università del Kent).

Recensione a
V. Lavenia (a cura di), Alberico e Scipione Gentili nell’Europa di ieri e di oggi. Reti di relazioni e cultura politica
Atti della Giornata Gentiliana in occasione del IV centenario della morte di Scipione Gentili (1563-1616), San Ginesio, 16-17 settembre 2016
EUM, Macerata 2018, pp. 215, €23.00.

Questo volume è parte di una serie che raccoglie gli atti dei convegni organizzati dal Centro internazionale di studi gentiliani, nato agli inizi degli anni Ottanta del Novecento per promuovere lo studio dell’opera di Alberico Gentili, tra i padri del diritto internazionale moderno. Come per gli altri volumi della serie, anche questo è diviso in una sezione di argomento storico-giuridico e in una, a vocazione contemporanea, volta a discutere questioni attuali del diritto internazionale secondo un approccio attento ai possibili legami con l’opera gentiliana. Sennonché, nel caso di questo volume, il vero apporto che esso offre allo studio di Gentili è limitato quasi esclusivamente alla parte storica, relativa al quadro intellettuale, politico e religioso del quale Gentili e il fratello Scipione furono protagonisti dopo la loro fuga dall’Italia per motivi religiosi. Va poi aggiunto che la parte storica, in virtù del fine commemorativo del volume, dedica attenzione più a Scipione che ad Alberico Gentili (diversamente, come vedremo, non vi è invece alcun riferimento a Scipione nella parte contemporanea). È indubbio tuttavia che un chiarimento delle vicende biografiche e culturali del primo possa rivelarsi utile a chiarire, quantomeno per via indiretta, anche quelle del secondo, soprattutto se si considera il «fittissimo network di relazioni intellettuali, politiche e religiose» che videro insieme protagonisti i due fratelli «tra l’Inghilterra elisabettiana, le Province Unite, la Francia degli ugonotti e alcune aree della Germania protestante» (p. 7).

Focalizzandoci prevalentemente sui riferimenti utili ad una riflessione congiunta su Scipione e Alberico Gentili, il primo dei saggi della parte storico-giuridica tocca un elemento di natura letteraria, ricostruendo il ruolo di Scipione quale «primo autentico interprete della [Gerusalemme] Liberata, nonché il primo a diffondere il mito di Tasso in Europa» (p. 17). L’autore del testo, Francesco Ferretti, getta un po’ di luce sulle vicende biografiche dei Gentili nella prima metà degli anni Ottanta del Cinquecento, affermando come «inequivocabile che Scipione prima nel 1581 e poi nel 1584 si sia trasferito a Londra accanto al padre e al fratello» (p. 19). Ferretti suggerisce «che Scipione contasse di trasferirsi stabilmente alla corte elisabettiana, sfruttando le relazioni di Alberico» (ibidem) e le possibilità offerte quale traduttore e divulgatore dell’opera del Tasso in Inghilterra, complice l’interesse dei membri di quella corte verso la lingua italiana. La scelta di Scipione di farsi «apostolo della Liberata» (p. 32) e rivolgere la propria attenzione alla poesia anziché al diritto corrisponderebbe non solo alla volontà di perseguire «un campo d’influenza diverso da quello del fratello maggiore» (p. 21), ma anche alla convinzione di una profonda «osmosi tra poesia, filosofia, diritto e cultura religiosa» (pp. 37-38). In tale direzione deporrebbe anche la scelta di indirizzare la propria opera di traduttore alla Gerusalemme liberata, data la sua «centralità […] all’interno delle discussioni relative al diritto e alle scienze diplomatiche nella prima età moderna» (p. 26).

Diversi degli elementi presenti nel saggio di Ferretti lo sono pure in quello di Cornel Zwierlein, a partire dall’attenzione portata alla contaminazione tra il diritto e altri discipline umanistiche, in primis la poesia, e alla rete di contatti di Scipione con un numero nutrito di eminenti personalità della cultura del suo tempo, compresa l’Inghilterra per il tramite di Alberico. Zwierlein, pur richiamando i lavori che Scipione dedicò ai testi sacri, sottolinea come i suoi riferimenti a personalità della teologia o a questioni teologiche siano assai limitati, con l’omissione – certo deliberata – della maggior parte dei teologi sia cattolici sia protestanti. Zwierlein riconduce siffatta «confessional ambiguity» (p. 55) a una più generale prudenza, tipica anche dell’approccio politico di Scipione. Tra i diversi elementi del pensiero di Scipione discussi dall’autore, due assumono un particolare significato per rapporto a quello di Alberico, il legame già visto tra diritto e poesia e le posizioni sui temi del crimen lesae majestatis e della coniuratio, che Aberico tratterebbe tuttavia più in chiave polemica per il clima di lotta antipapale e interconfessionale che si respirava nell’Inghilterra del suo tempo.

Se Zwierlein, nei punti in cui pone in relazione l’opera di Alberico e Scipione, sottolinea l’influenza esercitata dal secondo sul primo, più articolata sul punto è la discussione offerta da Alberto Clerici. Ciò che ne emerge è l’immagine di una forte comunione d’idee tra i due fratelli e di un’influenza reciproca. Anche Clerici, come Ferretti, ricorda il ruolo giocato da Scipione nella diffusione della Gerusalemme liberata, discutendo il punto alla luce della sua presenza nei Paesi Bassi negli anni Ottanta del Cinquecento, nel pieno cioè della rivolta di quel paese contro il dominio spagnolo e dell’intervento inglese in suo sostegno. Clerici presta particolare attenzione alle relazioni intrattenute da Scipione con gli ambienti culturali olandesi e con il circolo filo-inglese. Sarebbe proprio questo secondo elemento «e la prospettiva di un’alleanza “protestante” tra ribelli olandesi, principi tedeschi e ugonotti di Francia, ad aver spinto», secondo Clerici, «i fratelli Gentili a cercare nuovi percorsi esistenziali» (p. 102), lasciando l’uno, Alberico, Oxford e l’altro, Scipione, Leida per ricongiungersi momentaneamente in Germania. Se appare problematico ricostruire con chiarezza l’opinione di Scipione sulla liceità dell’azione inglese e della resistenza opposta nei territori olandesi alla dominazione spagnola, nelle posizioni di Alberico le due questioni vedono invece un progressivo ripensamento tra la fine degli anni Ottanta del Cinquecento e i primi anni del Seicento, passando da un iniziale rifiuto di riconoscere come legittima la resistenza olandese alla sua accettazione, per la convinzione che essa fosse supportata dalla «storia e l’ordinamento giuridico specifico dei territori interessati» (p. 116). Un tale mutamento d’opinione assume la sua forma definitiva «proprio nel testo che meno sembrerebbe adattarsi al riconoscimento dell’ammissibilità della disobbedienza», la terza e ultima delle Regales disputationes del 1605, «significativamente intitolata De vi civium in Regem semper iniusta» (p. 115). È altrettanto significativo che ciò avvenga nell’ultima fase del pensiero di Alberico, caratterizzata dal passaggio da posizioni di stampo repubblicano a posizioni filo-assolutistiche in linea con lo spirito della monarchia inglese al tempo di Giacomo I Stuart.

Per cogliere il legame – non immediatamente evidente – che unisce questa prima parte del volume alla seconda, dedicata al tema delle relazioni diplomatiche, è utile richiamare la fortuna dell’opera del Tasso per la trattatistica sulla questione. Nei primi anni del suo esilio in Inghilterra, Alberico aveva infatti pubblicato un’opera, il De legationibus, sui compiti degli ambasciatori e le relazioni diplomatiche tra stati, in cui faceva ricorso anche alla Gerusalemme liberata. In quest’opera, erano confluiti spunti di un precedente parere espresso da Alberico, in favore del riconoscimento dell’immunità diplomatica all’ambasciatore spagnolo Bernardino de Mendoza, coinvolto nei falliti preparativi di un attentato ai danni della regina Elisabetta e in seguito espulso dall’Inghilterra.

Ciò detto, occorre notare come, nella seconda parte, il volume non tocchi più Scipione e tocchi solo marginalmente Alberico, a dispetto dell’utilità di una loro analisi per i temi presentati nei singoli saggi. Ciò riguarda particolarmente il De legationibus, un cui esame avrebbe giovato al volume in termini di organicità e completezza tematica, legando maggiormente la parte storica a quella contemporanea. Al di là di ogni considerazione sul valore delle analisi proposte, i pochi riferimenti al De legationibus svolti nel saggio di Claudia Storti sulla figura dell’ambasciatore tra l’età tardomedioevale e moderna e in quello di Michael Wood sullo stato del diritto diplomatico odierno su temi attinenti l’immunità personale dei rappresentanti diplomatici non colmano certo il vuoto. Nel caso di Storti, la sua argomentazione appare inoltre indulgere a qualche generalizzazione e forzatura di troppo, talvolta dando l’impressione di anticipare alla prima età moderna idee di molto successive (p. 145: «[…] si stava esasperando anche una nuova concezione della sovranità che puntava al monopolio statale dei poteri legislativo e giurisdizionale») e talaltra dando per scontate affermazioni che si sarebbero potute meglio precisare (ibid.: «Grozio ne fece [del tema degli ambasciatori] un capitolo del De iure belli ac pacis, ma, come ben noto, anche su questo punto non fu sempre seguito dalla letteratura successiva»).

Un analogo discorso sull’utilità delle idee gentiliane, perlomeno come riferimento argomentativo, può essere esteso anche al saggio di Eliana Augusti sull’istituto consolare in Oriente, nel quale salta anzi all’occhio l’assenza di qualsiasi riferimento non solo a Scipione, ma anche ad Alberico. A partire dall’analisi del concetto di consolato alla luce dei rapporti euro-asiatici e dedicando particolare attenzione all’esempio offerto in epoca moderna dalla Repubblica di Genova, Augusti sottolinea come quest’ultimo si collochi inizialmente «nella missione di conquista ed evangelizzazione europea del XV secolo, come strumento, tra gli altri, di avanzamento territoriale dell’Occidente e di rivelazione e “cognitione del vero Dio” alle genti “barbare”» (p. 159). Il punto serve da spunto ad Augusti per riflessioni in chiave storica più generale sul rapporto tra paesi occidentali e orientali, giungendo fino all’Ottocento e ai primi decenni del Novecento, in cui all’elemento evangelizzatore sul quale i primi fondavano, dichiaratamente e formalmente, la propria azione nei territori dei secondi si sostituirebbe un elemento “civilizzatore”. Proprio perché centrato sulla diversità dell’impianto assiologico “occidentale” rispetto a quelli di altri contesti storico-politici, un approccio a Gentili, in particolare alle sue posizioni sulle questioni coloniali successive all’arrivo europeo nelle Americhe, avrebbe fornito ad Augusti spunti ulteriori su questioni tanto centrali per la sua analisi quanto quelle relative al rapporto tra civiltà e al concetto di “civilizzazione”.

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