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Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

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Niccolò Mochi–Poltri (1991): è impegnato da molti anni in attività di promozione culturale con le associazioni “Sur Les Murs” e Fondo Marco Mungai, delle quali è membro. Laureato in Scienze storiche, studioso appassionato di Filosofia, concentra i suoi interessi di ricerca sull’analisi della cultura politica dell’età moderna e contemporanea. Ha pubblicato Società. Divenire storico e conservazione (introduzione di F. Cardini, Roma–Cesena 2018).

Sono anni che nelle stanze del ministero dell’Istruzione si ragiona sull’opportunità di adottare strumenti digitali per la didattica. Ma «ragionare» non significa “applicare”, così che tra la teoria e la prassi della didattica su questo specifico argomento si è sviluppato lo iato dell’esperienza – uno iato che è cresciuto vieppiù la teoria si faceva ambiziosa e la prassi irrilevante. A riscuotere dall’oziosità delle chiacchiere – in cui pare indulgere volentieri il ministero –, è intervenuta nell’anno bisesto/anno funesto 2020 una terribile pandemia globale.

Un virus dall’elevata capacità di trasmissione si è diffuso pressappoco per l’intera popolazione globale che, presa alla sprovvista nei suoi placidi sogni di benessere, è dovuta repentinamente correre ai ripari nell’unico modo che ai suoi governi è lì per lì venuto in mente: chiudendola in casa, cercando di ridurre al minimo i contatti sociali. Ora, siccome la scuola, di qualsiasi ordine e grado, è anche un’occasione di socialità, dato che gli studenti si ritrovano nelle sue strutture fisiche – allora era necessario chiudere pure queste. Ecco che finalmente per il ministero dell’Istruzione s’era presentata l’occasione per adottare forme didattiche alternative, che permettessero di proseguire l’insegnamento evitando la presenza di studenti e docenti nelle strutture fisiche della scuola: voilà, la didattica a distanza (D.A.D.).

 La D.A.D. è dunque nata per fronteggiare una situazione emergenziale. Poca o punta progettualità ne organizzava e disciplinava l’utilizzo, tant’è che i docenti si sono perlopiù dovuti reinventare personalmente la loro prassi didattica. Dopo un anno e mezzo di utilizzo intensivo, la consuetudine col mezzo ha perlomeno permesso ai docenti di organizzarsi adeguatamente, dando così una parvenza di “normalità” alla didattica. Riteniamo che nessuno oggi in Italia abbia l’ardire di rimproverare loro in modo intellettualmente onesto, di essere una categoria indolente e quasi parassitaria. Non foss’altro per questa ragione, che passa forse un po’ troppo sottotraccia nella discussione pubblica: i docenti esistono solo in relazione agli studenti, che non sono noiose, assurde, superflue pratiche da sbrigare, bensì anime da nutrire, delicati fiori che devono essere coltivati – perché, abbandonati a sé stessi, corrono il rischio di appassire. Non solo: se in Italia l’istruzione è un diritto delle persone, tale diritto è imprescindibilmente legato alla figura del docente, che eroga la prestazione necessaria ad ottemperarlo. Pertanto, se i docenti si sono perlopiù riadattati alle nuove circostanze, ciò è accaduto in virtù del dovere etico di ottemperare ad un diritto altrui, e questo dovere è stato supportato e giustificato dalla irriducibile passione dei docenti per i loro studenti.

D’altronde, il fatto che i docenti si siano adeguati, niente toglie al fatto che la D.A.D. non sia nata come prodotto di una meditata programmazione ministeriale. Essa è l’imprevista àncora di salvataggio dell’insegnamento in un momento di grave difficoltà. Ma è anche l’occasione per confrontarsi finalmente con l’adozione pratica di strumenti digitali per la didattica, un laboratorio privilegiato perché offre un vantaggio significativo rispetto alla mera teoria: il vantaggio di essere esperibile, perciò di poterne valutare fattualmente gli effetti. Improvvisamente “le chiacchiere stanno a zero”, e la digitalizzazione della scuola può essere valutata per ciò che essa è capace di offrire, non più per ciò che si presume possa offrire.

Per questo motivo, ci proponiamo di analizzare la D.A.D. come strumento didattico, partendo dalle criticità che ha dimostrato di avere nella sua attuazione pratica. In linea generale, è possibile operare una divisione in tre macro-aree: la prima inerente ai problemi didattici, la seconda ai problemi sociali e la terza ai problemi di strumentazione.

Come problemi didattici, andiamo a segnalare i seguenti:

  • Difficoltà di valutazione oggettiva degli alunni
  • Mancanza di stimoli all’apprendimento da parte degli studenti
  • Necessità di rielaborare il contenuto della lezione
  • Assenza di attività extracurricolari

Come problemi sociali, i seguenti:

  • Mancanza di socialità tra studenti
  • Sfaldamento del gruppo-classe
  • Mancanza di confronto sugli argomenti di lezione
  • Difficoltà a operare il distacco dal nucleo familiare, ovvero diminuzione delle occasioni in cui il ragazzo può mettere alla prova le sue abilità sociali lontano dalla supervisione dei genitori

Come problemi di strumentazione:

  • Mancanza di strumentazione tecnologica di studenti e/o professori
  • Mancanza di rete internet di studenti e/o professori
  • Problemi di salute legati a una eccessiva esposizione a tali strumenti

All’interno della rubrica daremo spazio all’analisi di questi ed altri problemi nel tentativo di comprendere non soltanto l’attuale affidabilità della D.A.D. come strumento didattico, ma anche se potrà avere un ruolo, e quale, nella scuola di domani: potrà avere un futuro, finita l’emergenza sanitaria? Se sì, quale? Per poter rispondere a queste domande, urge quindi una valutazione chiara e netta di ogni criticità dello strumento, per comprendere quali di esse possano essere corrette, e quali invece sono irrimediabili.

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