Sandra Santoro insegna greco e latino nei licei a Napoli.
Recensione a
I. Dionigi, Quando la vita ti viene a trovare. Lucrezio, Seneca e noi
Laterza, Roma-Bari 2020 (I ed. 2018), pp. 125, €10.00.
L’uomo, guerriero zelante contro il dolore, come deve prepararsi agli scrosci impetuosi e rimbombanti della tempesta della vita? Quale fasciame riveste e cela così profondamente il germe di una possibile felicità? È lecito ripiegarsi vittimisticamente alla contemplazione della propria sofferenza? È possibile ostacolare l’asfissia vitale con un’audace rivendicazione del diritto alla gioia? Quale atteggiamento assumere, quando la vita ci viene a trovare: saltare gli ostacoli o cedere alla rassegnazione lamentosa? Viaggiare assistiti dal solo impeto della ragione o assecondare anche le passioni? Farsi strangolare dai nodi delle credenze religiose, liberarsene del tutto od allentarli, al fine di conciliarsi con la incomprensibile dimensione soprannaturale? Contare solo su se stessi, evitando la socialità, o poggiarsi a quella “volta di pietre”, la società, che regge il crollo grazie alla forza della solidarietà e dell’altruismo?
Tutte queste dicotomie vanno, se non risolte, meglio esplorate se si è pronti a partecipare al banchetto degli antichi, in quanto «unici interlocutori credibili perché fanno da controcanto al presente, a qualunque presente, e ci proiettano nelle dimensioni profonde dell’intelligere, dell’interrogare e dell’invenire». Occorre smettere di guardare con noia, disappunto e superbo distacco a quel mondo classico in un’era nella quale l’uomo appare significativamente assorbito dalla tecnologia; occorre, ancora una volta, secondo Ivano Dionigi, scomodare i classici dinanzi all’urgenza di un nuovo Umanesimo.
La rivoluzione culturale e tecnologica, infatti, pare accentuare la frattura tra saperi scientifici e saperi umanistici: si privilegia un avventuroso percorso di ricerca e progresso della scienza, trascendendo l’idea che i suoi effetti, vantaggiosi o perniciosi che siano, possano essere valutati e gestiti solo se si prendono in carico i valori umani. E’ doveroso proporre una nuova paideia che bilanci l’innovazione con la cultura umanistica, quale fondamento per un effettivo, completo e sano progresso civile; insomma, se i tempi spiegano la mutazione in atto, questa mutazione va compresa nella sua complessità attraverso un’educazione al pensiero flessibile e divergente, nemico di una rigidità pericolosa ed infruttuosa.
Quale la strada della nuova paideia? Comporre l’accordo delle note stridenti del passato e del presente, stanziarsi nel solco della tradizione, evitando di saltarla a piè pari. L’indagine sul significato e sulle possibilità dell’esistenza supera ogni limite cronologico, ripropone incessantemente quesiti che estrinsecano la naturale ed inossidabile speranza umana del conseguimento di un aristos bios. Preziosissime, a tal fine, le suggestioni provenienti dai due più autorevoli ed opposti indirizzi filosofici d’età ellenistica: l’Epicureismo e lo Stoicismo. Lucrezio e Seneca, eredi romani di Epicuro e Zenone, volteggiano tra le pagine del saggio di Dionigi quali precettori aspiranti a fornire la chiave di volta per risolvere e superare l’aberrante discrimine tra esistenza e vita. L’orizzonte concettuale entro cui si sviluppa lo studio di Dionigi è rappresentato da una combinazione dialogica di principi filosofici che, seppure differenti ed a tratti antitetici tra loro, riconoscono, tuttavia, l’intento comune di offrire una prospettiva esistenziale fondata sulla serenità dell’animo. Come le loro filosofie, anche i profili di Lucrezio e Seneca sembrano diversificarsi per scelte di vita e contingenze storiche: da un lato, Lucrezio, le cui notizie biografiche, alquanto oscure, definiscono un intellettuale estraneo alla vita degli anni più turbolenti della res publica e totalmente immerso nell’otium letterario; Seneca, dall’altra, intellettuale, filosofo, praeceptor Neronis ed uomo politico, con la carica di senatore e questore durante l’età giulio-claudia; entrambi, però, accomunati dallo stesso destino : la dipartita volontaria dalla vita. L’agone ideologico si nutre dei più significativi dualismi dei due orientamenti filosofici: vita attiva e vita contemplativa; mondi infiniti e mondo finito, unito e compatto; ordine casuale e razionale dell’universo; attacco al politeismo tradizionale e difesa dello stesso; morte dell’anima e vita dell’anima post mortem; leggi del cosmo e leggi dell’io.
Seneca e Lucrezio sono, per Dionigi, due autori necessari «non solo perché hanno segnato la storia del pensiero europeo con la curiosità della conoscenza, la radicalità della ragione, la novità della lingua; ma soprattutto perché sono simboli e paradigmi di due concezioni rivali del mondo […]. Entrambi segni di contraddizione, o semplicemente erma bifronte, immagine dell’homo duplex. […] Inutile chiedere loro la pace, perché sono naturaliter antagonisti ed interroganti. Sono methòrioi, uomini di frontiera, che si sono spinti al di là del confine». Oltre quale confine? Quello di pensare la felicità più come una realtà possibile che un’idea, un possesso piuttosto che un’aspirazione!
L’uomo antico, la cui caducità è severamente compresa nel lemma latino che lo indica, mortalis, solo attraverso l’uso della ragione può autodisciplinarsi al conseguimento di una felicità che corrisponde ad una condizione di tranquillità dell’animo: le regole da seguire sono dettate da un’etica retta dai principi della temperanza, dell’equilibrio dello spirito, della distanza dagli eccessi; una vera e propria techne della felicità per gli Epicurei si aggrappa al piacere come fine ultimo di un’esistenza sine curis: cosa bisogna rimuovere per perseguire l’ataraxia (imperturbabilità) e l’autarcheia (autosufficienza)? Il turbamento della peggiore delle passioni, l’amore, i desideri non naturali e non necessari, le tensioni della politica, la pietosa sudditanza alle insensibili minacce della superstizione religiosa, la paura della morte!
Lo Stoicismo ottempera al principio di convergenza tra “vivere felicemente” e “vivere secondo natura”: subordinando le leggi soggettive a quelle necessarie del cosmo, l’uomo, dotato del seme della ragione, prende parte alla razionalità divina del mondo ed assente di buon grado al corso degli eventi; la sapientia, dunque, è conoscenza e pratica della virtus, dalla quale deriva il sommo bene, foriero di una felicità iscritta unicamente nell’orizzonte del presente. Dionigi attraversa le dottrine dei due autori incrociandole in un vivace dialogo, privo di cornice, impostato nella forma di una raffinata tenzone tra due vivaci ed insoliti contendenti. Chi ne esce vincitore? Entrambi e l’attrazione umana, in generale, per la pienezza vitale.