Redattore

Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

Tra i primi cimenti letterari di Ungaretti, il più curioso è senza ombra di dubbio la traduzione di un racconto breve di Edgar Allan Poe, Silence. Il testo risale al 1910 e fu pubblicato sul “Messaggero egiziano”. In una nota lasciata nel Fondo Giuseppe Ungaretti, il poeta ormai anziano ricorda così quel suo primo cimento:

Scrivevo, ero ancora quasi un ragazzo, su un quotidiano d’Alessandria d’Egitto, Il Messaggero Egiziano, noterelle di critica, e una volta vi pubblicai anche un racconto dal libro dei Racconti straordinari di Poe. Fu il primo peccato di scrittore, Rileggerei volentieri quella prosa se potessi ritrovarla. Non ne ricordo più nemmeno il titolo. Credo che fosse di scrittura molto forbita, come si usava allora, mentre dal Porto Sepolto in poi non ricerco se non l’espressione giusta. (Ossola, Introduzione, in G. Ungaretti, Vita d’ un uomo. Traduzioni poetiche, Mondadori, p. XVII).

La memoria fallace di Ungaretti non deve però far sottovalutare l’importanza che questa traduzione assume, soprattutto a quest’altezza cronologica, nella formazione del poeta. Può sembrare stravagante che uno scrittore famoso per la sua formazione profondamente francese dia inizio alla sua carriera di letterato confrontandosi con un autore statunitense, ma addentrandosi un po’ più profondamente nel retroterra culturale del tempo, e di Ungaretti stesso, questo “esordio” non può che considerarsi addirittura inevitabile.

Anzitutto è necessario chiarire in che modo l’opera e il pensiero artistico di Poe sono penetrati in Europa. Al tempo, infatti, molti erano i pregiudizi che i circoli letterari europei coltivavano nei confronti delle produzioni letterarie d’Oltreoceano. D’altronde, gli Stati Uniti erano un centro culturale periferico, che per ovvie ragioni non aveva alle spalle nessuna grande tradizione letteraria. È proprio con Poe, Hawthorne e Melville che la produzione nordamericana esce definitivamente dal suo anonimato, e comincia a parlare con una voce chiara e riconoscibile – non a caso si parla di “rinascimento americano”. A godere di maggiore fortuna è proprio il primo, grazie a un ammiratore molto particolare: Charles Baudelaire. Lo scrittore statunitense molto deve al lavoro certosino che Baudelaire gli dedicò, sia a livello di traduzioni, sia a livello di diffusione della sua biografia e della sua poetica.

La scoperta di Poe da parte del poeta parigino risale, cronologicamente, al 1847. Baudelaire legge le traduzioni compiute da Isabelle Meunier dei racconti The Black Cat e The Murders in the Rue Morgue. Ne rimane completamente folgorato. Solo un anno dopo, nonostante una conoscenza rudimentale dell’inglese, Baudelaire pubblica la sua traduzione di Mesmeric Revelations. Nel periodo successivo migliora la sua conoscenza dell’inglese e delle opere di Poe. Y. G. Le Dantec afferma, addirittura, che Baudelaire impari la lingua proprio sui testi dello scrittore statunitense. Traduce Histoires extraordinaires nel 1856, Nouvelles histoires extraordinaires nel 1857, Adventures d’Arthur Gordon Pym nel 1858, Euréka nel 1864, Histoires grotesques et sérieuses nel 1865. È inoltre autore di importanti saggi, tra i quali è bene ricordare Edgar Allan Poe, sa vie et ses oeuvres del 1856, in cui Baudelaire ripercorre la biografia e la poetica dell’autore. A questo scritto si deve sostanzialmente la creazione del mito di Poe: la sua condotta di vita da maudit, il suo ideale artistico completamente votato alla purezza stilistica e alla ricerca del bello assoluto, lo spirito aristocratico che porta al disprezzo della massa, una sensibilità fuori dal comune.

Baudelaire vede in Poe quasi un gemello, e in effetti le convergenze tra i due animi non mancano; a dimostrazione di ciò, si guardi il racconto The man in the crowd. Questo un vero e proprio manifesto del flâneur, e molti sono i punti di contatto tra questo scritto di Poe e alcuni versi dei Fleurs du mal, scritti quando Baudelaire ancora non aveva scoperto il suo “alter ego” statunitense.

Ovviamente, le affinità erano tante ma certo non totali; Baudelaire non mancò di interpretare il personaggio sin troppo liberamente, finendo per distorcerlo. Considerandolo sin troppo simile a sé, cercò forzatamente nell’opera di Poe tratti di religiosità e di misticismo, se non assenti, sicuramente poco sviluppati. Questa precisazione è importante, perché l’autore d’oltreoceano sarà conosciuto a Parigi e successivamente in Europa filtrato proprio dall’interpretazione di Baudelaire. Sulle orme del poeta parigino, Mallarmé studiò Poe a sua volta e si cimentò nella traduzione delle sue poesie. Su questi testi, si formano i poeti decadenti, simbolisti e parnassiani. Nel giro di qualche decennio, Edgarpò, come veniva chiamato dai francofoni, era diventato un vero e proprio modello a cui ispirarsi. Giustamente, quindi, Carlo Ossola rintraccia in lui il padre della poesia simbolista.

Non c’è da stupirsi, quindi, del fatto che Ungaretti inizi la sua carriera poetica da una traduzione di Silence e che, in svariate lettere scritte qualche anno dopo, indirizzate ad Ardengo Soffici, indichi i suoi antenati poetici nella triade «Poe – Baudelaire – Mallarmé». Per molto tempo, infatti, questa triade poetica ha eccitato le fantasie di giovani scrittori, grazie soprattutto alle visioni oniriche o allucinate dei loro capolavori.

In particolare, il giovane Ungaretti deve essere rimasto rapito dalle atmosfere africane e desertiche presenti in Silence. La vicenda è infatti ambientata in Libia, lungo le rive del fiume Zaire. Grande fascino, poi, deve aver suscitato anche l’atmosfera visionaria che si respira in tutto il racconto. Forse è proprio per queste suggestioni che Ungaretti si adopra in una traduzione non letterale, più tendente alla prosa poetica che a quella narrativa o descrittiva. In particolare, è da notare una tendenza a spezzare la fluidità del discorso, completamente contraria allo stile di scrittura di Poe. Per questo, è emblematico il seguente passo:

It was night, and the rain fell; and, falling, it was rain, but, having fallen, it was blood. And I stood in the morass among the tall lilies, and the rain fell upon my head – and the lilies sighed one unto the other in the solemnity of their desolation.

che Ungaretti traduce così:

… Di notte … Pioveva: appena intriso la terra, l’acqua … sangue … Mi trattenevo nella maremma, fra le ninfee grandiose e l’acqua imperversava sul mio capo:
le ninfe gemeano l’un l’altra, in loro solenne desolazione…

Oltre all’uso libero della punteggiatura, si noti che il giovane Ungaretti prova, tramite l’isolamento delle parole, ad esprimere più un’impressione, che riprodurre il testo originale. Anche la traduzione di «morass» con «maremma», nel tentativo di dare l’idea della desolazione, lo dimostra.  L’ardito “a capo” dopo i due punti, poi, replicato altre volte nel testo, smaschera completamente le velleità poetiche di questa traduzione.

Ma, a proposito della traduzione, su quale testo avrà operato Ungaretti? Non è certo fuori luogo pensare che abbia avuto sotto mano il testo originale, ma da quanto abbiamo precedentemente detto sulla diffusione di Poe in Europa e dall’amore che Ungaretti ha sempre dichiarato, sin da giovanissimo, per Baudelaire e Mallarmé, non è da escludere che la traduzione possa essere avvenuta dai saggi del poeta maudit. Lo studio e la comparazione di alcuni punti delle versioni sembrano portare proprio in quella direzione.

Anzitutto, la traduzione del termine «ghastly». Poe lo usa in due punti assai vicini tra loro (in inglese le ripetizioni non hanno la stessa negatività che hanno nelle lingue romanze): «the moon arose through the thin ghastly mist», «And the rock was grey, and ghastly, and tall». Ungaretti traduce nei seguenti modi: «la luna si librò nell’ordito lieve della nebbia funerea», «uno scoglio grigiastro funesto sublime». Quindi, prima traduce con «funereo», poi con «funesto». Entrambi i significati sono compatibili con «ghastly», ma le due interpretazioni sono molto simili a quelle date da Baudelaire, che traduce così: «la lune se leva à travers la trame légère du brouillard funèbre», «le rocher était grisâtre, sinistre et tres haut». Abbiamo quindi «funèbre» e «sinistre», perfettamente traducibili con «funereo» e «funesto». Altro indizio sta nell’uso continuo dell’aggettivo «assiso», che ad un primo momento può sembrare uno sfoggio ingenuo di aulicità da parte del poeta, ma che potrebbe nascondere un calco del francese, dato che Baudelaire usa proprio «assis», come si può vedere nel seguente esempio: «il restait assis sur le rocher» (tradotto da Ungaretti «egli rimaneva assiso sullo scoglio»).

Il punto più importante, però, è rintracciabile in questo passo: «and looked out upon the desolation». Ungaretti traduce: «e condusse la sua vista per la desolazione». Ora, tradurre «look out» con «condurre la vista» non è certo cosa intuitiva. Un altro traduttore di Poe, più recente ma certamente illustre come Giorgio Manganelli, nel suo studiatissimo lavoro traduce letteralmente: «e contemplò la desolazione». Dando un’occhiata alla traduzione di Baudelaire, si trova: «et promena son regard sur la désolation». Quella che sembra una interpretazione libera, tendente al lirismo, potrebbe quindi essere, al contrario, la traduzione del testo francese.

La possibilità che Ungaretti abbia tradotto Poe dal testo di Baudelaire è tutt’altro che irrilevante. Non solo, infatti, si andrebbe a confermare quanto detto sulla diffusione in Europa delle opere dello statunitense, ma andrebbe anche a creare un buffo gioco di specchi: Ungaretti, poeta di formazione francese, esordisce traducendo la versione francesizzata di un autore statunitense. Non Edgar Allan Poe, ma Edgarpò.

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