Annalisa Giachi è responsabile Area Ricerche di Promo PA Fondazione. Coordina OReP, Osservatorio sul Recovery Plan. Esperta di metodologie di ricerca e analisi quali-quantitativa. Esperienza ventennale in indagini comparative internazionali sui temi dello sviluppo economico e delle politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni. Project manager in progetti di affiancamento e supporto alle pubbliche amministrazioni in materia di comunicazione istituzionale, strategie di marketing territoriale e turistico, politiche culturali, politiche di sviluppo economico locale. Coordina e gestisce numerosi progetti di ricerca per committenti pubblici e privati.
Recensione a
M. Proust, Les soixante-quinze feuillets et autres manuscrits inédits
édition établie par N. Mauriac Dyer, préface de J.-Y. Tadié, Gallimard, Paris 2021, pp. 380, €21.00.
Noi proustiani lo aspettavamo da decenni. Il “graal proustiano”, il pezzo mancante nella costruzione del monumentale À la recherche du temps perdu è finalmente venuto alla luce. I Settantacinque fogli, risalenti al 1908, erano infatti diventati leggendari: ne aveva parlato soltanto l’editore Bernard de Fallois nel 1954, nella prefazione al Contre Sainte-Beuve. Poi, nel 1962, non erano entrati nella Bibliothèque Nationale con il resto dei manoscritti dell’autore e da lì nessuno aveva saputo più niente.
La loro riapparizione nel 2018 alla morte di Fallois, dopo oltre mezzo secolo di ricerche infruttuose, è dunque una scoperta letteraria straordinaria e rappresenta un pezzo essenziale del puzzle proustiano, nonché la porta di accesso alla versione più antica della Recherche. I “Settantacinque Fogli”, insieme ad altri preziosissimi autografi inediti, sono stati recentemente pubblicati da Gallimard (in Italia i diritti sono stati acquisiti dalla Nave di Teseo e saranno pubblicati forse il prossimo anno in occasione dell’anniversario della morte di Proust) con il semplice titolo Les soixante-quinze feuillets, in un’edizione critica presentata e annotata da Nathalie Mauriac-Dyer, pronipote di Robert Proust, fratello del romanziere, con la prefazione di Jean-Yves Tadié, uno dei più autorevoli biografi proustiani.
Siamo davanti a fogli davvero grandi: 36 cm. di lunghezza e 23 di larghezza, che Proust non rileggeva neppure, ma che riutilizzava, “re-iniettava” – come ha dichiarato Nathalie Mauriac Dyer, nelle versioni successive, arricchendole, perfezionandole, a volte riscrivendole completamente. Proust abbandonerà i grandi fogli solo dopo pochi mesi, quando passerà ai Cahiers e successivamente alle famose “paperolles”, cioè a grandi strisce di carta, che sono in realtà fogli incollati insieme, su cui farà le aggiunte continue e progressive. Ma allora siamo già negli anni della guerra, nella fase di rilettura e riscrittura, quando l’impianto del romanzo è già tutto definito.
La lettura dei manoscritti ci pone in una situazione davvero proustiana. All’inizio abbiamo la sensazione di trovarci davanti ad una scrittura “iniziatica”, un po’ incerta, con frasi ancora più lunghe e complesse del solito, dove domina senz’altro l’elemento autobiografico. Infatti, in questa prima versione, i membri della famiglia Proust sono presi a modello di quelli che saranno i futuri personaggi della Recherche: quella che sarà la nonna di Combrais chiama Adèle, come la nonna di Proust, e la madre si chiama Jeanne, come la madre di Proust.
Continuando nella lettura, ci si rende però conto di essere davvero davanti alle fondamenta della cattedrale, nel «moment sacré» della creazione, come lo definisce giustamente Jean-Yves Tadié:
All’improvviso, si trova una cripta sotto terra, una piccola cappella, un primo edificio che è stato costruito prima di tutti gli altri. È questo che è così commovente. Queste sono davvero, in ordine di tempo e di composizione, le prime pagine! Sono anche le prime pagine in termini di contenuto, dato che si tratta di infanzia.
Eccoli allora già tutti presenti i grandi episodi della Récherche proustiana: la nonna in giardino, il bacio della sera, il dramma della notte, le passeggiate a Méséglise e Guermantes, l’addio ai biancospini, il ritratto di Swann, la stanza di Balbec, i clienti abituali del Grand Hotel, la piccola “banda” di ragazze, la poesia dei nomi, la morte della nonna, i sogni postumi, Venezia, ecc.
Leggendo i vari episodi e confrontandoli con quelli analoghi della Recherche l’impressione è di trovarci davanti a testi “allungati”, molto descrittivi, con una potenza narrativa inferiore, seppur già intessuti di quella trama di sensazioni ed emozioni che costituiscono il narrare proustiano. Lo si vede chiaramente nell’episodio “capitale” del bacio della sera, che descrive la sofferenza del bimbo prima di addormentarsi, che occupa qui nei Settantacinque fogli circa 20 pagine, mentre in Du côté de chez Swann è sintetizzato in 4-5 pagine (negli archivi Fallois ve ne sono almeno 3 versioni differenti). È come se l’autore procedesse per gradi e in questa primissima stesura abbia voluto esplicitare – prima di tutto a sé stesso – i contenuti del proprio discorso interiore per poi incrementare la propria forza narrativa nelle stesure successive, fino ad arrivare alla massima concentrazione emotiva del romanzo. Su questo episodio Proust lavorerà incessantemente fino al 1913 aggiungendo e togliendo elementi, ma è da questa prima versione che si parte ed è qui che sono contenuti gli elementi essenziali dell’universo proustiano: la nostalgia dell’infanzia, la sensibilità “malata” del protagonista, la nostalgia di un mondo familiare scomparso, l’amore come gelosia e possesso, ecc.
Tra i testi inediti pubblicati insieme ai Settantacinque fogli vi è anche la versione più antica conosciuta fino ad oggi del famoso episodio della madeleine. In queste pagine la madeleine è un pane raffermo abbrustolito e spalmato di miele, che lo zio di Proust era solito mangiare la mattina per colazione; poi diventerà una fetta biscottata e, infine, nella Recherche sarà il soffice dolcetto a forma di barchetta capace di risvegliare i ricordi dell’infanzia. Non siamo ancora all’esplicitazione della memoria involontaria, sulla quale Proust comincia a riflettere proprio in quegli anni, ma il tema del Tempo che sfugge, che noi uomini non riusciamo a cogliere nel presente ma che talvolta riaffiora attraverso oggetti, ricordi, luoghi appartenenti al nostro passato è già pienamente presente e sviluppato:
en realité, comme il arrive pour les âmes des trépassés dans certaines légendes populaires, chaque heure de notre vie aussitôt s’incarne et se cache en quelque objet matériel. Elle y reste captive, à jamais captive, à moins que nous ne rencontrions l’objet. A travers lui nous la reconnaissons, nous l’appelons, elle est délivrée (Chaque jour j’attache moins de prix à l’intelligence).
E ancora:
…car ce sont des moments de notre vie que la perception sensible, la tyrannie du présent, l’intervention de l’intelligence, le réseau de l’activité, l’enchaînement des désirs égoïstes, nous empêchent de vivre, mais qui redeviennent glorieux au jour enfin de la résurrection (Venise).
Brano nel quale la resurrezione ci porta immediatamente alla riattivazione della memoria involontaria di cui Proust parlerà per la prima volta nella Prefazione al Contre Sainte-Beuve.
Proust nella sua vita ha sempre cercato di dimostrare di essere un grande romanziere e non semplicemente un autobiografo (come deriva da tutto il dibattito presente nel Contre Sainte- Beuve). Dopo la lettura di questi Settantacinque fogli abbiamo la conferma (ma non ce n’era bisogno) che questo passaggio si è pienamente realizzato, ed anzi come Proust, in una sorta di transfert ed attraverso una costante riscrittura della propria vita, abbia utilizzato la propria esistenza come un grande set del romanzo, della sua opera-mondo da edificare. In questo senso restano indimenticabili le parole della sua domestica, Céleste Albaret, una delle poche persone che veramente lo ha conosciuto e compreso:
Bisogna averlo visto vivere notte dopo notte per misurare realmente tutta la passione da cui era posseduto per i suoi personaggi e per la sua opera, e che fini col consumarlo […], Soltanto dopo negli anni ho capito che non si allontanava mai dal sentiero del suo libro […]. E se dico il suo libro, al singolare, è perché aveva sempre presente la totalità della sua opera, anche se in un dato momento era concentrato su questa o quella parte.
Grazie alla pubblicazione di queste finora inedite Settantacinque pagine abbiamo finalmente in mano la prima pietra, la parte primigenia da cui sgorgò quel tutto che avvince chiunque accetti l’invito di Proust ad accompagnarlo nella sua sacra cerca.