Dottore di ricerca in Diritto presso l’Università di Londra (Birkbeck College), in Teologia presso l’Università di Ginevra e in Studi umanistici presso l’Università di Trento, Massimiliano Traversino Di Cristo  è stato recentemente enseignant-chercheur contractuelpresso l’Università di Parigi-Saclay ed è attualmente chercheur invitépresso il Centre d’études supérieures de civilisation médiévale dell’Università di Poitiers. I suoi principali interessi di ricerca si concentrano nei campi della storia del diritto, della filosofia morale e della storia della Chiesa, con speciale attenzione alla storia delle idee del tardo Medioevo e della prima età moderna. È fondatore e co-direttore, con il Dr. Anton Schütz, del Centre for Research in Political Theology (già presso il Birkbeck College dell’Università di Londra e ora integrato nell’Università del Kent).

Recensione a: Spinoza, philosophe grammairien: Le Compendium grammatices linguae hebraeae, sous la direction de J. Baumgarten, I. Rosier-Catach, P. Totaro, CNRS Éditions, Paris 2019, pp. 294, € 25,00.

Anche un autore la cui opera sia stata tanto letta e studiata quanto lo è stata e lo è tuttora quella di Baruch Spinoza può riservare delle sorprese allorché ci si avventuri nell’analizzare aspetti poco esplorati del suo pensiero. Un esempio significativo è rappresentato dal Compendium grammatices linguae hebraeae, un testo rimasto incompiuto e pubblicato nel 1677, lo stesso anno della morte di Spinoza, nei suoi Opera posthuma.

Il bel volume che qui si presenta prende le mosse da un convegno scientifico tenutosi a Parigi nei giorni 21 e 22 ottobre 2016 e dedicato a questo scritto poco conosciuto del filosofo olandese. Alle due iniziative va quindi innanzitutto riconosciuto il merito di averne rilanciato l’interesse, inserendosi in un filone di studi, non numerosi, che ha fin qui conosciuto alcune importanti traduzioni (v. Abrégé de grammaire hébraïque, introduction, traduction francaise et notes par Joël Askénazi et Jocelyne Askénazi-Gerson, Paris, Vrin, 1987, 1a ed. 1968; Compendio di grammatica della lingua ebraica, a cura e con introduzione di Pina Totaro, traduzione italiana e note di Massimo Gargiulo,  Firenze, Olschki, 2013) e poche monografie di rilievo (v. Philippe Cassuto, Spinoza hébraïsant: L’hébreu dans le Tractatus theologico-politicus et le Compendium grammatices linguae hebraeae, Paris-Louvain: Peeters, 1999).

Una prima osservazione sul volume qui in discussione attiene al titolo, che non riporta alcuna esplicita menzione al convegno, limitandosi a richiamarlo nella presentazione dei curatori (pp. 14-15). La scelta è condivisibile: pur scaturito dal convegno, il volume, pubblicato tre anni dopo, non ne raccoglie infatti gli atti che in misura limitata, vuoi per decisione, da parte di alcuni relatori, di non pubblicare i propri interventi, vuoi per scelta dei curatori. Oltre alla breve presentazione di questi ultimi e ad alcuni apparati  (un elenco delle fonti e delle sigle, l’indice dei nomi di persona e le note bio-bibliografiche degli autori), il volume consta di dodici contributi, compresa una postfazione a cura di Jean-Christophe Attias. Confrontando l’indice del volume con il programma del convegno e con i titoli delle relazioni in esso riportati, soltanto cinque dei relatori del convegno hanno presentato nel volume la versione rivista del proprio intervento (Giovanni Licata, Pina Totaro, Judith Kogel, Saverio Campanini e Massimo Gargiulo), mentre altri quattro autori hanno dato alle stampe un tema diverso da quello inizialmente discusso (Jean Baumgarten, Irene Zwiep, Keren Mock e Martine Pécharman). Se, inoltre, nel volume non compaiono i contributi di alcuni relatori, tale mancanza è controbilanciata dalla presenza di due saggi su temi ulteriori rispetto a quelli toccati nel convegno (l’uno di Maxime Rovere, l’altro di David Lemler).

Sempre nella Presentazione, dopo aver contestualizzato il Compendium e aver ricordato il poco successo da esso incontrato nella letteratura scientifica successiva, i tre curatori richiamano l’attenzione sul particolare approccio propostovi dal loro autore:

Una tale concezione dell’ebraico come “lingua viva”, difesa da Spinoza, lo conduce inoltre ad assumere la lingua nella sua dimensione politica e a considerarla come un elemento essenziale di coesione sociale. Nel suo Trattato teologico-politico, Spinoza insiste sulla storicità della lingua come risultato di determinate pratiche politiche, abitudini culturali, scientifiche, antropologiche e sociali sedimentate nel corso dei secoli (Cette conception de l’hébreu comme “langue vivante”, défendue par Spinoza, le conduit à prendre également la langue dans sa dimension politique et à la considérer comme un élément essentiel de cohésion sociale. Dans son Traité théologico-politique, Spinoza insiste sur l’historicité de la langue comme résultat de certaines pratiques politiques, habitudes culturelles, scientifiques, anthropologiques et sociales sédimentées au cours des siècles; p. 13, trad. mia).

L’affermazione ha il merito di porre in evidenza come il fine di Spinoza in questo Compendium, diversamente da quanto potrebbe evincersi dal titolo, consista nel tentativo di proporre un’analisi della lingua ebraica in chiave storico-evolutiva, intesa cioè più a mostrare la varietà e ricchezza dei rapporti della lingua ebraica con il suo orizzonte culturale, sociale e politico di riferimento che a fornire un prontuario di grammatica fine a se stessa. Da ciò si evince come la questione della grammatica non dové rappresentare per Spinoza un elemento affatto estraneo alle proprie riflessioni di natura etica e politica altrove presentate e, quale conseguenza, come lo studio della lingua ebraica, vista come fenomeno storico in divenire, fosse per lui un ulteriore banco di prova per il metodo logico-matematico alla base del suo sistema filosofico. Alla luce di tale considerazione, non si avrà difficoltà a riconoscere l’opportunità, per una più attenta comprensione del Compendium, di un suo esame nel quadro dell’opera complessiva di Spinoza, dai Principia philosophiae cartesianae del 1663 al citato Tractatus theologico-politicus del 1670 e all’Ethica more geometrico demonstrata, anch’essa pubblicata, come il Compendium, soltanto nel 1677, successivamente alla morte del filosofo.

Tali questioni occupano lo spazio maggiore del volume e ne costituiscono anzi l’ossatura. Tra i molti spunti di riflessione su di esse, di particolare significato sono alcune affermazioni di Irene Zwiep nel suo saggio Ceci n’est pas une grammaire. In tali affermazioni, che è qui utile richiamare estesamente, Zwiep enumera una serie di grammatiche della lingua ebraica edite in Olanda nello stesso torno d’anni di quella di Spinoza, per poi mostrare le finalità e il carattere di originalità di quest’ultima:

Ciascuno di tali manuali prometteva ai suoi lettori d’iniziarlo alla lingua delle Scritture e di fornirgli un accesso diretto alla parola di Dio. […] Se lo si giudica a partire dai suoi capitoli e dalla sua terminologia, esso [il Compendium] continuava i modelli descrittivi sviluppati […] e adottati dalla maggioranza degli ebraicisti riformati olandesi. Fin dalla primissima pagina, tuttavia, il lettore sarebbe rimasto colpito dal modo atipico in cui Spinoza maneggiava queste categorie familiari e dalle sue conclusioni sovente assurde sulle funzionalità dell’ebraico. Ben presto, egli [il lettore] avrebbe realizzato che scegliendo il Compendium non aveva acquistato una grammatica, bensì un trattato che si serviva dell’intero strumentario grammaticale [ebraico] per perseguire uno scopo affatto differente e più radicale: esplorare il linguaggio biblico  come fosse un fatto naturale, mapparne il paesaggio formale, disegnarne le relazioni funzionali ed esporne i meccanismi soggiacenti, facendo a meno delle definizioni esistenti. […] Nessuna norma esterna, nessun modello in ciò, nient’altro che i dati grezzi dell’uso originario, esposto servendosi della ragione e di inferenze deduttive. Con il Compendium sulla sua scrivania, lo studente che apprendeva l’ebraico doveva prepararsi a trascorrere una notte agitata (Chacun de ces manuels  promettait à ses lecteurs de l’introduire à la langue des Écritures, et de leur donner un accès direct à la parole de Dieu. […] Si l’on juge par ses chapitres et sa terminologie, il [le Compendium] continuait les modèles descriptifs développés […] et adoptés par la majorité des hébraïsants réformes hollandais. Dès la toute première page, cependant, le lecteur aurait été frappé par la manière atypique avec laquelle Spinoza maniait ces catégories familières et par ses conclusions souvent absurdes concernant les fonctionnalités de l’hébreu. Très vite, il aurait réalisé qu’en choisissant le Compendium il n’avait pas acheté une grammaire, mais un traité qui utilisait tout l’appareil grammatical [hébraïque] pour un projet totalement différent, et plus radical: explorer le langage biblique comme s’il était un fait de nature, cartographier son paysage formel, dessiner ses relations fonctionnelles et exposer ses mécanismes sous-jacents, sans utiliser les définitions existantes. […] Aucune norme externe, aucun standard ici, rien que les donnés brutes de l’usage originel, exposé à l’aide de la raison et d’inférences déductives. Avec le Compendium sur son bureau, l’étudiant qui apprenait l’hébreu devait s’apprêter à passer une nuit agitée; pp. 160-161, trad. mia).

Alla luce del carattere non meramente grammaticale del Compendium, il volume prende infine in esame diversi altri aspetti dell’opera, tra cui le fonti ebraiche, oggetto sia di analisi di ampio respiro (Jean Baumgarten, De quelques possibles sources juives; Massimo Gargiulo, L’analogie dans le Talmud et chez Spinoza) sia di analisi rivolte a singoli testi o autori (Judith Kogel, Spinoza, lecteur de David Qimḥi; Saverio Campanini, Le Peculium Abrae d’Abraham de Balmes). Insieme a quanto già rilevato in precedenza, tali spunti contribuiscono a porre in risalto l’utilità di questo scritto minore di Spinoza per una più completa conoscenza dei rapporti tra gli elementi di natura etica, politica e teologica della sua opera, portando inoltre in emersione fonti meno conosciute del pensiero spinoziano, con particolare riferimento a quelle religiose, al di là di ogni fin troppo facile e semplicistica immagine di rottura con la quale la letteratura scientifica ha spesso voluto intendere il ruolo di Spinoza nell’orizzonte culturale del suo tempo.

Il volume curato da Baumgarten, Rosier-Catach e Totaro offre un notevole contributo a rivedere questo luogo comune, sebbene sui temi trattati da alcuni degli autori un’analisi più approfondita avrebbe giovato alla comprensione dei temi stessi e del volume in generale. In tale aspetto risiede, a parere di chi scrive, la nota meno positiva di questa bella raccolta di saggi, insieme all’assenza di una bibliografia conclusiva utile a dare al lettore un quadro complessivo degli studi sugli argomenti toccati dai singoli autori.

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