Raimondo Fabbri (1978) è Dottorando di Ricerca in Scienze Giuridiche e Politiche presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Coordinatore Desk Infrastrutture del Centro Studi Geopolitica.info. Autore per il mensile OpinioJuris e per la rivista Il Pensiero Storico.Ultime pubblicazioni: Pnrr e dibattito pubblico. Prospettive di applicazione per uno strumento di democrazia deliberativa,in Rivista Giuridica del Mezzogiorno n.1/2022 a. XXXVI pp. 99-113, (ISSN 1120-9542); Il mare come la terra: le Zone Economiche Esclusive come nuove frontiere nel Mediterraneo, M. Durante (a cura di) in Al di là dei confini. Ripensare il paradigma della frontiera in una prospettiva interculturale, pp.224-247, in Quaderni di OCSM 1/2022, (ISBN 978-88-3121-629-6); L’esperimento di Dalmine. Lo sciopero produttivo alla Franchi Gregorini del 1919in Progressus n.2/2020 pp.27-43, (ISSN 2532-7186)

Recensione a: M. Graziano, Disordine mondiale. Perché viviamo in un’epoca di crescente caos, Mondadori, Milano 2024, pp. 228, € 18,50.

La tesi che non sia mai esistito un ordine globale è sostenuta da diversi autori e Manlio Graziano non nasconde di aderire a questa impostazione già nell’incipit del suo nuovo libro, dove conferma l’ambizione di illustrare le ragioni per cui un nuovo ordine mondiale non sia realizzabile, stante l’attuale situazione, caratterizzata dal declino relativo degli Stati Uniti e conseguentemente della diminuzione della loro capacità di mantenere l’ordine imposto alla fine della Seconda guerra mondiale (p.17).

Allo stesso tempo Graziano fornisce al lettore alcuni elementi per sostenere le sue tesi a proposito, definendo l’ordine globale un’illusione che la storia si è presa carico a più riprese di smentire. Infatti, il concetto di pace collegato direttamente a quello di ordine, è stato utilizzato nei secoli per dare una giustificazione alla politica egemonica degli attori internazionali (p. 21). Nella consapevolezza della impopolarità che tale tesi potrebbe suscitare, l’Autore comunque intende propone un contributo geopolitico allo studio freddo e disincantato della realtà per come è maturata, non già con l’intento di fornire un’interpretazione univoca ed esaustiva, ma per provare ad analizzare diffusamente gli interessi che regolano la politica internazionale, per sua intrinseca natura mutevole e sfuggente a rigide definizioni.

Del resto, come già ampiamente notato da Kissinger, cui peraltro Graziano rinvia frequentemente,

quello che ai nostri giorni passa per ordine è stato escogitato nell’Europa occidentale poco meno di quattro secoli fa, in una conferenza di pace svoltasi nelle regione tedesca della Vestfalia, senza che vi partecipassero, e anzi senza che ne fossero neppure al corrente, la maggior parte degli altri continenti e delle altre civiltà (H. Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano 2015, p. 15).

In un susseguirsi di shift of power, lo spostamento degli equilibri economici, politici e militari vissuto da potenze che perdono porzioni di potere a favore di nuove potenze, Graziano ripercorre le vicende storiche che segnarono i cambiamenti più significativi nelle relazioni internazionali, mettendo in risalto come a far da corollario al mutamento vi sono stati dei conflitti armati a ristabilire un parziale e temporaneo equilibrio. In questo senso la contesa tra potenze “sazie” e “non sazie”, usando la celebre espressione di Otto von Bismarck, potrebbe essere considerata come una delle principali cause, secondo il filone del realismo classico delle relazioni internazionali, dell’instabilità internazionale. Tuttavia, Graziano preferisce concentrarsi sullo sviluppo ineguale, considerando la crescita differenziale come uno dei fattori di instabilità oltreché di disarmonia, degli equilibri politici.

Già in altri lavori l’Autore si era soffermato, condividendo la sensibilità di Nicholas Spykman, sui tanti e diversi vincoli, cui è sottoposto l’agire politico. Dagli economici agli psicologici, passando per i religiosi, uniti a quelli geografici e spaziali, molti possono essere i possibili fattori condizionanti della politica internazionale. In questa direzione un altro riferimento per Graziano è senz’altro Robert Gilpin, sottolinea come il principale fattore d destabilizzazione del sistema internazionale sia proprio la differenza dei ritmi di sviluppo dei diversi paesi che sposta continuamente gli equilibri politici, contribuendo in questo modo all’instabilità. Alla luce di tali considerazioni è possibile comprendere l’atteggiamento che gli Stati Uniti hanno nei confronti della Cina. Per quest’ultima risuonano forti le parole di Tucidide, che il Presidente della Repubblica popolare Xi Jinping riprese in un famoso discorso del 2015, quando rammentava che fu l’ascesa formidabile di Atene a generare apprensione in Sparta che alla fine, cadendo nella “trappola di Tucidide”, fu costretta alla guerra.

La teoria dell’ordine globale risentirebbe delle conseguenze della fine della Guerra fredda e del crollo dell’Unione Sovietica, che lungi dal segnare il raggiungimento del punto di arrivo, ovvero il trionfo della democrazia liberale occidentale, come profetizzato da Francis Fukuyama, ha rimesso in moto la storia dopo i 45 anni di ordine mondiale bipolare (M. Graziano, Geopolitica. Orientarsi nel grande disordine internazionale, Il Mulino, Bologna 2019, p. 301).

Sotto questo aspetto il libro rammenta ai nostalgici della Guerra fredda come la pace che da questa venne garantita, sia stata in realtà una condizione valida solamente per larga parte dell’Europa, gli Stati Uniti e pochi altri paesi al mondo, laddove i conflitti “caldi” e gli interventi militari sono stati 160.  Sull’equilibrio post-bellico, sono di sicuro interesse le analisi relative ai rapporti fra Usa e Urss fin dal secondo conflitto mondiale. Infatti, per l’autore, l’aiuto statunitense nella vittoria sovietica fu determinante, tanto sul piano economico, quanto sul versante militare-strategico, con la penetrazione nell’Europa centrale da parte sovietica, accettata dagli Stati Uniti. In questo modo Washington riuscì a stremare i suoi due rivali sistemici, Germania (e con essa tutta l’Europa occidentale) e il Regno Unito, oramai surclassato in ogni campo. Un simile atteggiamento proseguì anche durante la Guerra fredda, allorché si sviluppò nitidamente la tendenza di lungo respiro della politica americana dell’epoca a

spezzare le dinamiche che avevano fatto dell’Europa e del Giappone i rivali più minacciosi degli Stati Uniti e costringere le potenze del Vecchio Continente ad abbandonare i loro territori d’oltremare, in modo da inserire finalmente le ex-colonie nel libero mercato della competizione, di cui gli americano sarebbero stati gli inevitabili vincitori. Di quella tendenza di lungo respiro i russi erano i comprimari ideali, perché – se adeguatamente compensati – non avrebbero mai rischiato di compromettere un ordine nuovo che li favoriva così sfacciatamente (p. 104).

D’altronde l‘Urss non avrebbe avuto modo di competere realisticamente vista la debolezza strutturale dovuta ad una serie di fattori geografici ed industriali. E difatti la maggior preoccupazione statunitense, sulla scorta delle indicazioni in tal senso di Halford Mackinder e Nicholas Spykman, una volta ereditato dal Regno Unito il ruolo di potenza egemone, fu quella di contenere la Russia (il cosiddetto containment formulato da George Kennan), impedendone ogni possibile tentativo di avvicinamento con Germania, Giappone e Cina.

Il periodo successivo al termine della Seconda guerra mondiale rappresenta per Graziano anche l’inizio del declino relativo Usa. La svolta, infatti, avviene negli anni Settanta del XX secolo: nel 1971 il Presidente Richard Nixon, oltre ad essere costretto a rinunciare alla convertibilità del dollaro in oro, dovette ammettere che gli Stati Uniti non si trovavano più in una posizione di completa preminenza o predominio, sviluppando successivamente il concetto di mondo pluralistico in cui le grandi potenze (comprendendo tra queste Europa, Cina e Giappone) fossero forti e in equilibrio ognuno con gli altri  non gli uni contro gli altri (p. 141).

In quegli anni presero forma il G7 per come lo conosciamo oggi e il lancio dello Sme da parte della Comunità economica europea. Alla fine del decennio 1970 nuovi ed insospettabili competitori erano emersi da quello che sino ad allora era considerato “Terzo mondo”. I paesi di nuova industrializzazione godevano infatti di indubbi vantaggi che contribuirono in maniera determinante, ad una radicale ristrutturazione delle politiche economiche e sociali nelle le vecchie potenze, dando origine a quel fenomeno definito “globalizzazione” accelerando di fatto lo shift of power (p. 145).

Una serie di scosse di assestamento e di conflitti a bassa intensità hanno così condotto ai nostri giorni, in cui erroneamente, sottolinea Graziano, si tende a riutilizzare la formula della Guerra fredda non tenendo conto di tutte le differenze di carattere economico e militare fra i due periodi storici. Nella rivalità fra Usa e Cina, destinata ad intensificarsi, l’ipotesi caldeggiata da alcuni su un possibile ordine globale egemonizzato dal Dragone, appare debole secondo l’autore, dato che alla Cina farebbero difetto alcune condizioni indispensabili oltre alla capacità di convincere con le buone maniere i suoi rivali e competitori. Se ciò dovesse condurre ad una guerra di portata mondiale, secondo Graziano, le conseguenze per la Cina sarebbero disastrose sia economicamente che politicamente ricordando molto da vicino la mutua rovina dei contendenti europei della Prima guerra mondiale (p. 182).

Se la geopolitica oggigiorno va molto di moda, con esperti e presunti tali che spesso promettono di prevedere il futuro, o di leggere nella mente dei capi di Stato o addirittura di interi popoli, il merito di questo volume appare quello di non offrire alternative o soluzioni ai problemi presi in considerazione nelle sue pagine, bensì molto più correttamente di fare analisi, descrivendo la realtà, senza spingersi oltre, abbandonandosi alle ipotesi oppure fornendo vaticini su come andranno a finire gli eventi. In questo le parole usate da Graziano sono preziose quando afferma che

le relazioni internazionali assomigliano ad una colossale partita a scacchi, con regole molto più numerose e complicate, che possono cambiare durante il gioco e con molti giocatori sulla stessa scacchiera, i cui pezzi hanno però per ciascuno un valore diverso. E tutti li muovono simultaneamente senza aspettare il loro turno (M. Graziano, Geopolitica, cit., p. 33).

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