Raimondo Fabbri (1978) è Dottorando di Ricerca in Scienze Giuridiche e Politiche presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Coordinatore Desk Infrastrutture del Centro Studi Geopolitica.info. Autore per il mensile OpinioJuris e per la rivista Il Pensiero Storico. Ultime pubblicazioni: Pnrr e dibattito pubblico. Prospettive di applicazione per uno strumento di democrazia deliberativa, in Rivista Giuridica del Mezzogiorno n.1/2022 a. XXXVI pp. 99-113, (ISSN 1120-9542); Il mare come la terra: le Zone Economiche Esclusive come nuove frontiere nel Mediterraneo, M. Durante (a cura di) in Al di là dei confini. Ripensare il paradigma della frontiera in una prospettiva interculturale, pp.224-247, in Quaderni di OCSM 1/2022, (ISBN 978-88-3121-629-6); L’esperimento di Dalmine. Lo sciopero produttivo alla Franchi Gregorini del 1919 in Progressus n.2/2020 pp.27-43, (ISSN 2532-7186)

Recensione a: A. Musarra, L’isola che non c’è. Geografie immaginarie fra mediterraneo e Atlantico, il Mulino, Bologna 2023, pp. 312, € 29,00.

Che t’importa che l’isola non sia quella che cercavi? Qui mai nulla succede. C’è un po’ di terra e un orizzonte. Qui puoi vivere sempre (Cesare Pavese, L’isola, in Dialoghi con Leucò)

L’immaginario rappresenta un elemento imprescindibile, secondo Antonio Musarra, docente di Storia medievale alla Sapienza Università di Roma e autore di questo pregevole volume dedicato alle isole mitiche e fantastiche, nell’intersezione fra due piani, quello che si crede di trovare e ciò che effettivamente viene trovato (p. 22); esso ha informato in maniera decisiva i viaggi d’esplorazione del millennio medievale. È proprio l’immaginario, secondo l’autore, a favorire l’approccio a mondi e universi culturali altri, agendo su coloro che affrontando indicibili pericoli, hanno preso il mare alla ricerca di luoghi irreali ma concreti, in un mondo altro in cui l’impossibile diventava praticabile (p.10). Questi luoghi per Musarra corrispondono alle isole per lo più fantastiche ma che notevole influenza ebbero appunto sull’immaginario geografico dell’epoca. Del resto, lo stesso Jacques Le Goff, studiando le strutture spaziali e temporali della civiltà dell’Occidente medievale, sottolineava come «gli uomini del Medioevo entrassero in contatto con la realtà fisica attraverso la mediazione di astrazioni mistiche e pseudoscientifiche che si esprimevano in una strana cosmografia e in una cartografia ispirata a un concetto teologico» (La civiltà dell’Occidente medievale, Einaudi, Torino 1981, p. 154).

In questo senso il libro intende fornire al lettore le griglie mentali e culturali entro le quali gli uomini del Medioevo vivevano e rispetto alle quali lo sviluppo delle tecniche di navigazione e l’utilizzo di portolani e carte nautiche, diede avvio ad un processo di razionalizzazione in grado di modificare la percezione del mare quale luogo misterioso, suscitatore di timori e terrore (p. 23). In una simile prospettiva Le Isole Fortunate, l’Ultima Thule, Antilia rappresentano luoghi simbolici e fantastici che hanno attratto gli uomini animati dal desiderio di dare forma alla propria immaginazione. “L’isolario”, per Musarra, appare dunque come uno spazio geografico che assume, sovente, un orizzonte onirico, caratterizzato da potenti visioni immaginifiche. È il caso dell’isola di San Brendano narrata in uno dei capolavori della letteratura ibernica, Navigatio sancti Brendani abbatis, opera in prosa latina tradita da numerosi manoscritti a partire dal X secolo, in cui l’anonimo autore descrive le peripezie dell’abate Brendano, forma latinizzata del gaelico Brénnain, il quale imbarcatosi con alcuni discepoli su una piccola imbarcazione alla ricerca della «terra repromissionis sanctorum», luogo immaginato al di là del mare, in direzione del tramonto (pp. 59-60). Anche l’ultima Thule, l’isola di fuoco e ghiaccio in cui il sole non tramontava mai, rappresentava un mito durevole, caratterizzante l’immaginario delle tradizioni nordiche. L’isola infatti era abitata da  un popolo civilizzato e non barbaro, costituendo in questo senso il contraltare della cultura mediterranea.

Durante il Medioevo l’isola venne identificata con le terre di nuova scoperta, ora l’Islanda, ora la Groenlandia, rimanendo tuttavia avvolta nella nebbia e restando «l’emblema di una distanza inaccessibile, immagine per antonomasia della fine del mondo» (p. 89). L’autore quindi attraverso una serie di opportuni rimandi ai testi classici suggerisce, citando Massimo Quaini, quanto il mito, l’utopia e l’immaginario abbiano costituito categorie fondamentali del pensiero geografico dell’epoca medievale. Le riflessioni sulla sfericità della terra e sulla forma delle masse continentali hanno avuto un ruolo importante per i viaggiatori dell’epoca, i quali mettendo a confronto i brani di Aristotele, di Strabone, di Seneca e di Plinio con le compilazioni di Isidoro di Siviglia e del cardinale Pierre D’Ailly, assieme ai mappamondi medievali, ai portolani del XV secolo, al globo di Martin Behaim del 1492, hanno potuto dare un contributo rilevantissimo alla storia delle grandi scoperte geografiche, poiché capaci di costruire, come sosteneva Quaini, un ponte, un collegamento critico, fra la carta e il mito.

Nella sua disamina Musarra, coglie anche il notevole apporto dato nell’esplorazione dell’Oceano Atlantico, oltreché dalle marinerie nordiche, anche da quelle mediterranee e più nello specifico quella portoghese che, forte di alcuni esploratori genovesi come Benedetto Zaccaria, dei fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, di Lanzarotto Malocello, contribuì alla scoperta di nuove rotte, ispirando in tal modo generazioni di navigatori che «avrebbero unito l’urgenza di trovare nuovi canali commerciali alla volontà di fare esperienza del mare Oceano» (p.135). Altrettanto opportunamente l’autore coglie quanto il mare, soprattutto il Mediterraneo, sia stato oggetto di copiosa letteratura: per restare ad autori come Dante, in cui  l’immaginario del mondo marittimo è dappertutto nella Commedia e ha un ruolo strutturale all’interno dell’opera, a Petrarca che cita proprio la mitica isola di Thule, sino a Boccaccio, autore del De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis, che costituisce per Musarra il primo resoconto italico noto di un viaggio atlantico; tratto da una lettera proveniente dalla filiale fiorentina dei Bardi stanziata a Siviglia, vi «si mescolano elementi diversi, derivati si, da un’osservazione attenta della realtà geografica e antropica delle isole esplorate ma altrettanto da chiari richiami al patrimonio visionario e immaginifico dei secoli precedenti» (p. 140).

“L’isolario” come genere letterario è infatti il titolo di un paragrafo del dodicesimo capitolo del volume, in cui l’autore segnala come fra Quattrocento e Cinquecento i modelli geografici tramandati dal passato si sarebbero allineati alle nuove esigenze, contrapponendo all’autorità della cultura antica, la conoscenza acquisita attraverso l’esperienza diretta che aveva contribuito a far perdere alla rappresentazione del mondo, il suo aspetto simbolico a vantaggio di un’aderenza al vero maggiore, esigenza questa che per Musarra, era più rispondente anche alle nuove esigenze dei poteri politici (p. 239). Ogni isola è nella geografia medievale un alter orbis e in quanto tale, diventa uno dei luoghi privilegiati del prodigio, una mirabilia che nelle cronache e nelle carte, non solo nei mappamondi, continueranno a rappresentare isole e arcipelaghi inesistenti ben dentro l’età moderna, allorché tutti i cosmografi rinascimentali, anche quelli che possono vantare esperienze nautiche, continuano a credere e fissare sulle carte isole fluttuanti, che appaiono e scompaiono alla vista dei marinai. Dunque, appare chiaramente ne L’isola che non c’è quanto gli strumenti di navigazione siano solo un linguaggio e neppure il più importante rispetto al concetto, altresì rilevante, di mondi altri e chiusi, di regioni impenetrabili, di limiti invalicabili che si disegnano su una superficie terrestre che non è ancora assoggettata allo sguardo unificante del cartografo moderno.

Il mito che Musarra indica nell’allargamento degli orizzonti, rappresenta in conclusione l’elemento fondante dell’intera storia dell’Europa moderna, di cui il superamento delle Colonne d’Ercole costituirebbe, riprendendo Carl Schmitt, una fase fondamentale nel processo di civilizzazione che ha favorito la desacralizzazione simbolica del globo attraverso le esplorazioni, pur non eliminando del tutto la dimensione dell’immaginario e della fantasia nella costruzione del mondo moderno.

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