Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia.È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.

Recensione a
M. Centini, Storia della criminologia e dei metodi investigativi. Dall’impronta digitale alle analisi genetiche
Diarkos, Santarcangelo di Romagna 2022, pp. 325, € 18,00.

Al di là di quanto dicano le statistiche, senza dubbio siamo immersi in un mondo saturo di delitti. Ciò dipende in primo luogo dalla insistenza con cui i media (di informazione e di intrattenimento) continuamente accendono l’attenzione del pubblico su crimini sempre più efferati, davanti ai quali non fa che riproporsi, senza possibilità di soluzione, l’eterna domanda sul perché della malvagità umana.

Lo spettacolo della violenza, anche se la società in cui viviamo è forse la meno violenta di tutte, segna la nostra visione del mondo e tutti i discorsi che tentano di razionalizzarla sono sempre più diffusi e popolari. Negli ultimi decenni abbiamo quindi visto un fiorire di criminologi e psicopatologi, esperti di anatomia e di genetica, paleopatologi e profilatori che, ognuno per la propria parte, hanno contribuito ad arricchire il nostro sguardo sul male umano, a cercare di comprendere le ragioni di azioni talvolta così aberranti da risultare inspiegabili. Ecco che un volume di storia della criminologia e della criminalistica, come questo scritto da Massimo Centini e pubblicato da Diarkos, è utile non soltanto a chi si interessi a vario titolo appunto di tali discipline, ma anche a chi sia appassionato di gialli e di thriller, siano essi sotto forma di narrativa, di serie o di film.

A rileggere la storia delle scienze del crimine emerge ovviamente la loro progressiva, prepotente medicalizzazione. Oggi le analisi biologiche, chimiche e genetiche hanno sempre più peso nella risoluzione dei casi; allo stesso tempo, però, sarebbe un’illusione credere che si possa arrivare a un reale superamento dei metodi “classici” della criminalistica, ovvero delle tecniche di polizia utilizzate per determinare gli autori dei reati. Nota giustamente l’autore:

È comunque sostenuto dalla maggioranza degli esperti che l’investigazione scientifica deve essere accompagnata da un’analisi classica. È come se avessimo davanti a noi due binari: sul primo lavorano gli investigatori, che esaminano il significato delle evidenze sul caso, un’opera di induzione. Sul secondo binario, vi sono i laboratori che studiano le tracce biometriche e biologiche, un’opera di deduzione. A questo punto i due binari si devono incrociare e se l’induzione degli investigatori trova conferma nelle deduzioni della scienza, a quel punto il binario diventa uno solo (p. 184).

In altri termini, la fantasia degli investigatori non potrà mai diventare superflua. E la storia della criminologia, che è invece la scienza che si occupa di studiare i comportamenti criminali e di comprenderne le cause, degli ultimi due secoli non fa confermarcelo. Proprio l’illusione di poter raggiungere la piena scientificità, sostenuta dalla scuola di Antropologia criminale di Cesare Lombroso e dei suoi seguaci, è ciò che oggi rimane essenzialmente di quella esperienza che, seppur chiaramente superata, ha comunque saputo senza dubbio innovare: «Il contributo rilevante dell’antropologia criminale sarà soprattutto quello di aver proposto un approccio alla criminalità che non fosse limitato (come in effetti era) ai soli aspetti giuridici […]. Secondo i principi propri dell’antropologia criminale, la condotta delittuosa si esprimerebbe in personalità antisociali, con comportamenti determinati da alterazioni cerebrale da cui si genererebbe una condizione psicopatologica» (p. 132).

Il lettore di questa Storia della criminologia vedrà riemergere in diversi momenti una antica contrapposizione attorno alla responsabilità ultima del male umano: la libertà dell’individuo, la “colpa” di una natura matrigna oppure di una società alienante? E non dobbiamo mai dimenticare che dalla lettura che si dà del crimine, deriva direttamente una diversa soluzione per combatterlo: sia essa la prigione o il manicomio a vita o, in alcuni casi estremi, la castrazione o la sedia elettrica.

È attorno a queste eterne questioni che si affolla un numero sempre più grande di discipline: diritto penale, penologia (ovvero lo studio della pena e delle sue applicazioni), diritto penitenziario, psichiatria forense, medicina legale, psicologia giudiziaria, solo per fare un elenco comunque imparziale. Tutte le varie interpretazioni, appunto antagoniste, non sono, però, che tentativi insufficienti per rispondere a quella sfida che il crimine ha sempre posto all’intelligenza umana.

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