Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Un essere umano si trova su un’imbarcazione di fortuna, in pieno Oceano Atlantico. Un Atlantico metaforico: il viaggio si svolge nelle Azzorre dell’anima. L’imbarcazione è immersa nell’oscurità, priva di luci. L’essere umano alza lo sguardo verso il cielo, ma non riesce a orientarsi: non sa “leggere” le stelle.

Una voce, gentile, lo invita a osservare meglio: c’è una candela a bordo, con uno stoppino di ottimo cotone e del buon olio. Lo stoppino viene acceso. Una fioca luce si sprigiona, illuminando i dintorni. La navigazione diventa meno oscura, meno cieca.

Queste sono le notti dell’angoscia e dell’inquietudine, dello strazio e della frammentazione del linguaggio. Una voce sussurra all’essere umano. Questo sussurro riscalda come la piccola fiamma, invita l’essere umano non solo ad essere trasportato, ma anche a guidare la sua rotta.

A volte la direzione si perde, ma luci soffuse iniziano a emergere anche dall’esterno: sono i fari. Non il maestoso faro di Alessandria, ma quello di Agadir sì, e pian piano anche quello di Algeri.

Questi fari non brillano di continuo. Alcuni, come i fari acustici, non si vedono ma si ascoltano. È necessario lasciarsi guidare dalla loro eco nelle notti di nebbia, quando l’angoscia torna a colpire, il corpo sussulta e la malinconia si fa clinica.

Serve ancora una voce, una voce capace di agire come Kafka immaginava le sue opere: asce pronte a spezzare il mare di ghiaccio dentro di noi. Con questo aiuto, insieme, si può andare verso un fascio di luce la cui gittata sfiora il mito, come quella del faro di Alessandria. Questo non solo illumina il mare aperto, ma offre una fiducia rinnovata verso un altro tipo di navigazione: il cabotaggio. In questo viaggio costiero si rivedono volti familiari, si riconoscono luoghi della città natale, emergono oggetti cari dal grande edificio del ricordo.

Una voce, uno stoppino di buon cotone, del buon olio, e un fascio di luce intermittente e lontano. Oltre le liste sintomatologiche e oltre le tecniche: ci troviamo esattamente al centro della vita.

In ricordo di Eugenio Borgna, la cui voce ha accompagnato tante donne e tanti uomini nella navigazione attorno e fuori dalle Azzorre dell’anima.

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