Katiuscia Vammacigna, nata e cresciuta a Brindisi, si laurea in Filosofia a Lecce, specializzandosi a Parma, dove insegna per diversi anni. Tornata a Brindisi, si dedica a passioni quali scrittura, teatro, filosofia. Frequenta corsi di scrittura creativa e partecipa a diversi concorsi letterari. Nel 2018 si classifica seconda nel concorso letterario Verso l’altro, promosso dall’associazione Jonathan di Brindisi, con il racconto La mia terra non ha nome. Sempre nel 2018 riceve una menzione di merito per il Premio Letterario Nazionale Città di Mesagne con il racconto Odore di salsedine su Tunisi. Si definisce ironica, appassionata e curiosa di indagare ancora sè stessa e il mondo attraverso la scrittura.

Tra distopia e realtà: l’importanza di dissentire

Nel 1949 George Orwell pubblica il romanzo 1984, che rientra nel genere distopico e che rappresenta un’analisi del totalitarismo moderno e post-moderno. La trama si svolge in un futuro prossimo in cui il potere è nelle mani di tre Stati: Oceania, Eurasia ed Estasia. Le vicende del protagonista Winston Smith, prototipo del dissidente politico, si svolgono a Londra, in Oceania, dove un regime totalitario governa in base all’ideologia del Socing, dottrina politica del Partito unico, attraverso lo sguardo inquisitore del Grande Fratello (Big Brother), il leader assoluto del partito, che nessuno ha mai visto di persona. La città è però tappezzata da manifesti che raffigurano «il volto di un uomo (…) con folti baffi neri (…). IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA»[1].

Ovunque sono stampati gli slogan del partito: «La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è la forza»[2]. I seguaci del Socing devono aderire a questi tre slogan. Le contraddizioni del totalitarismo si palesano nei Ministeri del governo: il Ministero della Verità manipola l’informazione, il Ministero della Pace si occupa della Guerra, il Ministero dell’Amore mantiene l’ordine pubblico su criteri ideologici contrari all’amore, e il Ministero dell’Abbondanza è responsabile dell’economia, senza sanare la povertà[3].

Smith lavora per il Ministero della Verità, con il compito di censurare testi non in linea con la politica ufficiale. Egli sceglie di condurre un’esistenza sovversiva, il cui primo atto è la decisione di scrivere un diario: «Segnare quella carta rappresenta per lui un atto (…) cruciale»[4]. Diventa così un dissidente, commettendo uno «psicoreato», consapevole che ciò avrebbe significato la morte, che per i sovversivi, arriva attraverso una pallottola piantata nella nuca. Ogni controrivoluzionario è arrestato e il suo nome, «cancellato dagli archivi (…). Chiunque può controllare l’altro. Ogni gesto eccentrico, (…)  tic nervoso, sintomo di un conflitto interiore»[5], viene scoperto. «La tensione, poteva tradursi in un sintomo visibile»[6], come accade a Smith, la cui ulcera varicosa alla caviglia, è chiara espressione di una nevrosi. Smith rappresenta il nemico oggettivo del Partito, colui, che in futuro, può commettere un reato contro lo stesso Partito. In Oceania «la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera»[7]. Orwell precisa poi: «Lo chiamavano controllo della realtà (…). In neolingua bipensiero […]. Credere […] di dire verità sacrosante, mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte»[8]. In base all’ideologia del Partito i libri di storia vengono riscritti. Nello Stato di Oceania «i processi pubblici di psicocriminali (…) erano eventi spettacolari»[9].

Il Partito organizza manifestazioni collettive, come i «Due Minuti d’Odio»[10], in cui tutti urlano contro l’immagine di Emmanuel Goldstein, simbolo del traditore per antonomasia. Il Partito sostiene di aver liberato i prolet dalla schiavitù del capitalismo. Ma «i proletari, abbandonati a sé stessi, continueranno a lavorare, generare e morire, privi di impulso alla ribellione»[11]. Ed essi saranno soggetti ad un controllo capillare. Winston cerca di ricordare un passato che gli appare sbiadito: egli comprende il come, ma non il perché. E sul diario scrive: «un bel giorno il Partito avrebbe proclamato che due più due fa cinque, e voi avreste dovuto crederci»[12]. L’ideologia morale del Partito disprezza poi ogni espressione dell’io creativo, condannando l’erotismo come psicoreato: «Il vero atto sessuale, era un gesto di rivolta»[13]. Così, quando Smith incontra Julia, anch’essa non allineata, si lascia trasportare dal desiderio. I due amanti vivono il rapporto sessuale «come un atto dissidente».[14] Di più: «Il loro amplesso era stato una battaglia, l’orgasmo una vittoria. Era un colpo inferto al Partito […], un atto politico»[15]. È la vittoria dell’io autentico contro ogni pseudo-pensiero o pseudo-sentimento. I due amanti riscoprono odori e sapori autentici, come il sapore dionisiaco del vino, contro l’inganno di una vita surrogata. La stanza dove Winston e Julia si incontrano è un luogo del passato, in cui essi «potevano muoversi come animali ormai estinti»[16]. I due amanti sanno che, se scoperti, dovranno confessare. E quando ciò avviene, Winston, separato da Julia, è sottoposto a torture che lo inducono a farlo. Il suo torturatore è l’inquisitore O’Brien, il quale lo definisce «un’imperfezione nel sistema […], una macchia che va cancellata»[17]. Ma non basta obbedire al Grande fratello, bisogna amarlo.

O’Brien sostiene che Smith si sbagli e che 2+2=5. E Smith, «per un fuggevole istante […] vide cinque dita, e la mano non presentava alcuna deformità»[18]. Winston ha scelto di essere un dissidente, l’ultimo uomo di una specie estinta, perché è prevalso quello che Hannah Arendt ha definito l’individuo atomizzato, idealtipo di ogni totalitarismo. Ma Winston, alla fine del romanzo, perde la sua lotta per la libertà e la difesa dell’io autentico, perché conduce una battaglia solitaria. Così chiude il romanzo: «Il proiettile tanto atteso gli si stava finalmente piantando nel cervello. La lotta era finita. Ora amava il Grande fratello»[19]. Il passato è stato cancellato: ha vinto l’oblio!

Nel romanzo di Orwell il richiamo al mondo reale è evidente nei riferimenti alla Russia di Stalin e ai regimi totalitari. Ma è compiendo un salto dalla distopia alla realtà, che quell’esito totalitario diventa attuale, trovando espressione nel regime comunista dell’odierna Repubblica popolare cinese, nell’analisi che ne fa il giornalista Marco Lupis nel suo libro I cannibali di Mao (Rubbettino, Soveria Mannelli 2019). In Cina, infatti, milizia e partito sono legati e vi è un controllo capillare attraverso un sistema di «sorveglianza reciproca che trasforma ogni persona in un inquisitore»[20]. Il Partito organizza processi e condanne a morte di massa contro il «nemico del popolo»[21]. In Cina «le confessioni pubbliche sono continue e la delazione è […] obbligatoria»[22]. La storia recente testimonia un severo regime di controllo, contro i tentativi di apertura democratica nel Paese, che si è concretizzato nella repressione della rivolta studentesca di piazza Tienanmen del 1989 e delle rivendicazioni liberali da parte di Hong Kong, tornata sotto la sovranità cinese, dopo anni di protettorato inglese. I mass media e le notizie sono controllate e manipolate dal Partito. La nuova era di Xi Jinping ha promosso un piano quinquennale che punta sulla tecnologia e l’intelligenza artificiale, dimenticando i diritti dell’operaio. La Cina impone la sua egemonia attraverso quello che Joseph S. Nye definisce un Soft Power, potere soffice, un’invasione culturale silente, che vede il moltiplicarsi di marchi e tecnologia cinese, con l’obiettivo di esportare un totalitarismo neo-comunista, in tutto il mondo. In Cina l’uso di micro-droni, il riconoscimento facciale e il monitoraggio del credito, sono realtà di fatto, attraverso cui controllare la vita dei cittadini. L’esito totalitario si è concretizzato così in un Grande Fratello informatizzato, i cui manifesti riproducono ora l’immagine di un uomo con gli occhi a mandorla, che segue le nostre vite e le invade attraverso un potere soffice, ma insidioso. Siamo spettatori di un neo-totalitarismo rispetto al quale possiamo prendere posizione in difesa dei diritti e della libertà. Ed è quello che cerca di fare oggi Hong Kong, dimostrando ancora una volta l’importanza di dissentire, attraverso le scelte sovversive di dissidenti, come il giovane Joshua Wong. Non si deve permettere, come è accaduto a Winston, che essi siano uccisi da un proiettile, che colpisca dritto al centro il loro libero pensiero. È necessaria, invece, come sostiene il dissidente ceco Václav Havel, una responsabilità collettiva, che sostenga i singoli e i loro atti sovversivi in difesa della verità e dell’autenticità. Solo così si potrà sperare di vincere la battaglia per la libertà.

Note:

[1] Orwell G, 1984, Mondadori, Milano 2013, p. 5.

[2] Ivi. p. 8.

[3] Ibid.

[4] Ivi, p. 11.

[5] Ivi, p. 217.

[6] Ivi, p. 68.

[7] Ivi, p. 37.

[8] Ivi, p. 38.

[9] Ivi, p. 48.

[10] Ivi, p. 19.

[11] Ivi, p. 216.

[12] Ivi, p. 85.

[13] Ivi, p. 72.

[14] Ivi, p. 131.

[15] Ivi, p. 132.

[16] Ivi, p. 157.

[17] Ivi, p. 262.

[18] Ivi, p. 265.

[19] Ivi, p. 305.

[20] Ivi, p. 325.

[21] Ibid.

[22] M. Lupis, I cannibali di Mao. La nuova Cina alla conquista del mondo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, p. 127.

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