Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a
T. Terzani, Buonanotte signor Lenin
TEA, Milano 2018, pp. 424, € 12,00.

Quest’anno sono trent’anni dall’uscita di Buonanotte signor Lenin di Tiziano Terzani. È un libro importante, perché in queste pagine il giornalista fiorentino racconta la caduta dell’Unione Sovietica dall’Unione Sovietica. Fa parte di un insieme di opere che hanno segnato, profondamente, il modo di significare e di intendere l’espansione e il collasso dell’Unione Sovietica; tra queste, si ricorda e si segnala al lettore Il grande gioco e Avanzando nell’oriente in fiamme di Peter Hopkirk, Imperium di Rsyzard Kapuscinski, Ombre sulla via della seta di Colin Thubron. Nell’agosto 1991, Terzani si trova lungo il fiume Amur quando apprende, dalla sua radiolina, la notizia del golpe anti-Gorbacëv che ha appena avuto luogo a Mosca. Siberia, Asia Centrale, Caucaso, in due mesi arriva a Mosca; stato dopo stato, popolazione dopo popolazione, raccoglie riflessioni, testimonianze, fotografie di mondi culturali agli albori e di altri in declino, o addirittura già morti. Perché questo libro, nella maggior parte dei suoi contenuti, non è ancora tramontato? A un primo livello si potrebbe dire che, il suo autore, si trova a lasciare testimonianza dopo già quasi trent’anni di Asia e una notevole esperienza sul campo nell’osservazione di rapidi e lenti collassi sociali regionali, specie nel sud’est asiatico. Un esempio fra tutti è la lettura che lo stesso Terzani fa della Cina, dopo averla esplorata a fondo in ogni sua regione, lettura raccolta nel testo La porta proibita – nel febbraio 1984 Terzani fu arrestato a Pechino, perquisito, interrogato ed infine, espulso dal Paese; aveva visto una Cina diversa e in sofferenza, l’aveva raccontata intercettando con rigore e precisione le gravi conseguenze della rivoluzione culturale del 1949, specie ma non solo nelle regioni dell’Ovest e del sud-ovest, Xinjiang, Tibet, Yunnan. Vieppiù una rigorosa capacità di osservazione dei fenomeni religiosi ed economici (con le rispettivi interpolazioni), che il tempo ha dimostrato essere descrizioni attendibili; infatti, oggi, chi mette piede nelle ex repubbliche sovietiche, e in particolar modo in Uzbekistan, si ritrova in un mondo culturale scarnificato dai valori religiosi, oggigiorno presenti ma che hanno tutte le sembianze della messa in scena tipica dei simulacri baudrillardiani. Nondimeno si registra la tendenza, tipica delle società automatiche, di trasformare il proprio ambiente da ambiente naturale ad ambiente tecnico, dove la natura non sarebbe altro che l’enclave dell’ambiente tecnico. Nel caso dell’Uzbekistan, il fenomeno si nota facilmente a Tashkent e Samarcanda.

Trent’anni fa, durante il viaggio verso Mosca, l’autore segnalava che con la caduta dell’ultima grande ideologia, al suo posto, sarebbe subentrata (ed accettata) la prima ideologia disponibile sul territorio, con il rischio di osservare interi popoli dirigersi acriticamente per scongiurare un vuoto identitario. Fu proprio così. Allora, e oggigiorno si continua ad assitere al fenomeno, la proposta fu doppia: da un lato il fondamentalismo islamico, dall’altro la logica del consumo occidentale. Di fatto, assistiamo ad entrambe le ideologie in tutti gli stati dell’Asia Centrale; ognuno di questi stati continua a vivere in uno stato di sorveglianza e terrore dittatoriale, che non emerge mai dalle informazioni trasmesse dai media; si tratta di dittature morbide che non agiscono secondo i criteri delle dittature del secolo scorso, ma attraverso altri comportamenti, che osservati da “fuori” possono addirittura sembrare bizzarri: Berdymukhamedov divenne presidente nel 2006 del Turkmenistan, dopo la morte del suo predecessore, Saparmurat Niyazov, anch’egli a capo di un regime autoritario e stravagante: durante i suoi anni al governo, Niyazov aveva deciso di rinominare i giorni della settimana come i membri della sua famiglia.  Un altro esempio, sempre dal Turkmenistan: il prendersi cura ossessivamente di una città (anche in termini di verde pubblico) e allo stesso tempo imporre in ogni piazza la propria statua d’oro. Berdymukhamedov ha mantenuto le  limitazioni introdotte da Niyazov sulla libertà di espressione, di associazione e di religione, e ha proseguito con le politiche repressive nei confronti dei dissidenti. Nondimeno fondamentali le pagine relative al Caucaso, e nello specifico quelle sul Nagorno Karabakh.

Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero, 1988. Nel febbraio di quell’anno il consiglio regionale approva la risoluzione che trasferisce la sovranità sul territorio dall’Azerbaigian all’Armenia. Da subito, a Yerevan, cominciano una serie di manifestazioni proprio a favore del trasferimento della sovranità; molto vicino, a Sumgait, scoppiano rivolte anarchiche che durano tre giorni. Terzani si sofferma a raccontare dell’intervento sovietico, in cui trecento armeni vengono uccisi «a bastonate, buttati giù dalle finestre, fatti a pezzi con asce o accoltellati a freddo per strada da bande scatenate di giovani azerbaigiani». È dal tempo di Stalin che Armenia e Azerbaijian non trovano un compromesso capace di definire la storia di ormai numerosi conflitti. Stalin annesse la regione a maggioranza armena cristiana del Nagorno Karabakh al musulmano Azerbaijian. Gran parte degli azeri vive l’idea della cessione di quel territorio come un insulto alla sovranità azera. Nel 1994 ci fu un accordo di cessato il fuoco, che aveva sancito la fine del primo conflitto tra i due fronti. Ma nel 2020, il conflitto si riaccese. Un contingente militare russo sorveglia il Nagorno- Karabakh, a protezione della comunità armena. La strada verso un trattato di pace complessivo sembra ancora lunga, e per tornare alle pagine dedicate al caucauso in Buonanotte signor Lenin, anche il Caucauso come gli stati dell’Asia Centrale, sono distanti dal vivere in serenità e autonomia senza dover fare i conti con la Russia.

Le ex repubbliche sovietiche, oggi, devono fare i conti con un altro tipo di fenomeno, già presente al tempo del lungo viaggio di Terzani, e che può prendere il nome di “copia come originale”; infatti, la maggior parte dei monumenti, piazze, fontane, moschee, scuole coraniche, hanno subito forti restauri e talora intere ricostruzioni, come le famose cupole del Registan di Samarcanda: nel cuore di questa città, svettano tre cupole che in origine erano del colore blu di lapislazzulo, mentre oggi, dopo imponenti restauri sovietici, sono azzurre. Non solo: privati della lingua araba, introdotti e forzati all’uso e allo studio del cirillico, di generazione in generazione è stata persa molta della memoria storica che univa i popoli dell’Asia centrale. Oggi, gran parte della popolazione di Samarcanda e Bukhara, vivono e tramandano una memoria storica che si basa quasi interamente sul lascito sovietico. Ancora: non possono fare a meno di tale lascito, ma allo stesso tempo cercano di svincolarsi credendo di aver trovato un proprio modo di svilupparsi, che non è altro che l’accettazione ad ampio raggio della modernizzazione-occidentalizzazione. Per tornare ancora sul tema della “copia come originale”, e per sottolineare la presenza diffusa di questo fenomeno sul territorio, in questo caso uzbeko, basta visitare il mausoleo di Tamerlano, Universitetskiy Boulevard Bustonsaroy St., Samarcanda: nel retro si troverà una porta che da accesso alla cripta di Tamerlano, il cui accesso è vietato. Proprio alla porta, ci sarà una guida pronta ad indicare al visitatore l’accesso alla “copy crypt”: una cripta che contiene solo gadget acquistabili.

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