Katiuscia Vammacigna, nata e cresciuta a Brindisi, si laurea in Filosofia a Lecce, specializzandosi a Parma, dove insegna per diversi anni. Tornata a Brindisi, si dedica a passioni quali scrittura, teatro, filosofia. Frequenta corsi di scrittura creativa e partecipa a diversi concorsi letterari. Nel 2018 si classifica seconda nel concorso letterario Verso l’altro, promosso dall’associazione Jonathan di Brindisi, con il racconto La mia terra non ha nome. Sempre nel 2018 riceve una menzione di merito per il Premio Letterario Nazionale Città di Mesagne con il racconto Odore di salsedine su Tunisi. Si definisce ironica, appassionata e curiosa di indagare ancora sè stessa e il mondo attraverso la scrittura.

Sulla dissidenza e la responsabilità. A proposito di Václav Havel

 Ma poi la piazza fermò la sua vita
E breve ebbe un grido la folla smarrita
Quando la fiamma violenta ed atroce
Spezzò gridando ogni suono di voce…
 Francesco Guccini (Primavera di Praga)

Può un ortolano cambiare l’ordine delle cose e farsi promotore di una rivoluzione dissidente? Possono l’arte, la cultura, la musica farsi portavoce di un anelito di cambiamento, con atti di dissenso a difesa della libertà e della verità? Può l’azione di un singolo provocare lo stesso effetto di una goccia che cade improvvisa, rompendo la superficie d’acqua in cerchi concentrici sempre più grandi, con la stessa potenza d’un battito d’ali di farfalla, capace di scatenare un uragano dall’altra parte del mondo? La risposta è tra le pagine di un libro del 1978, Il potere dei senza potere di Václav Havel, drammaturgo, politico e figura di spicco della dissidenza cecoslovacca durante l’occupazione sovietica.

Nel 1948 il regime comunista, si insedia in Cecoslovacchia. Seguirà un periodo di dominio totalitario, interrotto solo da un tentativo di ribellione nel 1968, con la Primavera di Praga, repressa nel sangue. Nel 1969 lo studente Jan Palach si dà fuoco in piazza San Venceslao a Praga, aprendo la strada ad una serie di gesti di protesta contro l’occupazione sovietica. Palach diventa il simbolo della necessità di dissentire e molti atti di dissenso seguirono a quel gesto disperato. E così accade che un bel giorno, un comune ortolano di Praga, dopo aver disposto come ogni mattina i suoi ortaggi in bella vista, decide di cambiare l’ordine delle cose, togliendo dalla vetrina del suo negozio la scritta, Proletari di tutto il mondo, unitevi! Con quell’atto, l’ortolano esprime il suo dissenso e, come sottolinea Havel, abbatte il mondo della menzogna, urlando che il re è nudo e che è possibile vivere nella verità. E la verità ha una dimensione esistenziale e politica, nel momento in cui il battito d’ali di una singola coscienza è in grado di risvegliare le coscienze collettive. L’ortolano schierandosi, varca la linea che separa gli oppressi dagli oppressori e si siede dalla parte del giusto e del vero. È lo stesso Havel a scegliere come modello di dissidente, l’ortolano di Praga, per farci riflettere sul fatto che chi dissente, non esercita una professione o un ruolo politico. Chiunque può essere un dissidente, se permette alla sua responsabilità interiore di entrare in conflitto con le strutture esistenti e decidere da che parte stare. Se l’ortolano avesse continuato ad esporre quel cartello perché così imponeva il regime, si sarebbe adattato alle circostanze, contribuendo a crearle, diventando vittima e strumento del sistema, in una sorta di autototalitarismo sociale. Il passaggio della Cecoslovacchia dal regime alla democrazia liberale avviene attraverso una Rivoluzione di velluto, con un periodo di dissidenza, censura ed espressioni artistiche.

Poco dopo la repressione della Primavera di Praga si afferma un emergente gruppo musicale rock, The Plastic People of Universe, che prendono il nome da una canzone di Frank Zappa e che, attraverso la loro musica, decidono di squarciare il velo dell’apparenza, con suoni ribelli e note dissidenti, in un contesto culturale fatto di artisti, scrittori, musicisti che volevano preservare la libertà d’espressione sotto il regime. H. Arendt ne L’origine del totalitarismo aveva sottolineato che la mancanza della libera espressione dell’arte e della cultura, era caratteristica peculiare dei sistemi totalitari. I concerti dei Plastic People, infatti, sono censurati e vietati al pubblico, costringendo la band ad organizzare concerti clandestini. La loro musica è un chiaro atto di dissenso contro il regime. Per questo nel 1976, fu avviato un processo politico contro la band. Havel prende a cuore il destino di questi ragazzi che hanno deciso di vivere nella verità e attira l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale sulla vicenda. Nello stesso frangente Havel fonda il movimento dissidente cecoslovacco Charta 77, la prima opposizione organizzata che minerà le basi del regime. Seguì una petizione e un’azione culturale collettiva che porterà alla scarcerazione dei componenti della band. La vicenda dei Plastic People risvegliò le coscienze, perché la musica per tutti era simbolo della libertà dell’uomo e perché nessun regime poteva mettere a tacere la voce dell’Essere.

La storia più recente ci riporta al triste episodio della band turca dei Grup Yorum che si è opposta al regime di Erdogan. Tre dei componenti della band iniziano, in segno di protesta, uno sciopero della fame che li porterà, purtroppo, alla morte. Havel richiamandosi a Levinas, sostiene che l’uomo deve farsi promotore di un senso di responsabilità che non va predicato, ma testimoniato, cominciando da se stessi. Siamo noi a dover cominciare. Solo così, ribadisce Havel, può accadere che una palla di neve possa diventare valanga, se non resta circoscritta alla singola azione di chi lancia per primo/a la palla. Ogni azione individuale deve organizzarsi in un’azione condivisa, attraverso polis parallele fatte di libri, riviste, organizzazioni culturali, che fanno rete, in un circolo virtuoso di movimenti dissidenti al servizio della verità e per il bene comune, espressione della responsabilità verso il mondo e per il mondo. È necessario dissentire, cercando la verità in se stessi e varcando quella linea sottile tra oppressi ed oppressori che, nei sistemi post-totalitari, attraversa ogni uomo. Parlando di post-totalitarismo, Havel si riferisce al regime comunista del blocco dei Paesi satelliti dell’Unione sovietica, ma le sue riflessioni sono attuali e possono adattarsi anche al nostro Occidente libero e democratico. L’ideologia post-totalitaria, infatti, è un potere anonimo, arbitrario e manipolatore che schiavizza, e che è ormai la dimensione comune della società contemporanea. Il nuovo potere ideologico che domina la società è un movimento cieco e irresponsabile non più per gli uomini, ma da cui gli uomini sono trascinati e manipolati. Nelle democrazie contemporanee il conformismo ossessivo e il primato dell’utile, hanno sancito una nuova forma di controllo totalitario, rappresentato da un’autorità anonima e spersonalizzata che ci condiziona: il Grande fratello del senso comune e dell’opinione pubblica che domina anche attraverso i new media e i social e che rende l’uomo sempre più inerte. La nostra società democratica è perciò minacciata dalla stessa inerzia dell’uomo.

L’individuo contemporaneo non pensa autonomamente e ha perso il coraggio di prendere posizione, perché è più semplice lasciare le cose come stanno, in un ordine immutato e immutabile. Secondo Havel l’alternativa non è tra Occidente e Oriente, tra socialismo e capitalismo, ma tra una forza impersonale, anonima, irresponsabile e la responsabilità concreta dell’individuo e della collettività. È necessaria a tal fine un’educazione politica, civile e spirituale dell’uomo. Viviamo ormai in un tempo in cui c’è crisi di responsabilità, concetto che, seguendo il monito del filosofo della responsabilità, Hans Jonas, dovrebbe essere un principio regolativo a priori dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Se il mondo, la società, la politica possono cambiare in meglio sarà solo in seguito al cambiamento nella coscienza dell’uomo, nel coraggio di prendere posizione, spinto, come ha fatto lo stesso Havel, dal dovere di servire la verità, rivendicando il proprio diritto ad intervenire nel mondo, con un atto di responsabilità personale e autentica. L’uomo contemporaneo deve riscoprire l’importanza di una responsabilità permanente per se stesso, per la società in cui vive e per quella in cui vivranno le generazioni future. Solo con la responsabilità e il coraggio di dissentire attraverso un’idea, una parola, una nota, un’azione o addirittura un fiore bianco, come accade oggi in Bielorussia contro il regime di Shevchenko, potrà affermarsi una ideologia e una società più giusta e ogni potere arbitrario potrà essere sconfitto dal potere dei senza potere.

 

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