Lorenzo Bravi (1982) è laureato in Lettere e Storia. Laureato in Lettere e Storia. Redattore presso Dissipatio.it. Ha scritto per«L'Intellettuale dissidente» e«Pangea». Collabora con la rivista «Il Pensiero Storico».
Recensione a: Adriano Prosperi, Machiavelli. Tra religione e politica, Officina Libraria, Roma 2024, pp. 168, € 18,00.
Officina Libraria, casa editrice specializzata in cataloghi di mostre d’arte, ha sviluppato una collana denominata Storia, diretta da Lucio Biasiori e Francesco Torchiani. Con questa operazione editoriale vengono raccolti i saggi scientifici di storia di carattere scientifico, ma messi a disposizione anche al pubblico colto. Contributi e articoli che, per l’appunto, compongono la presente raccolta di Adriano Prosperi, pubblicati tra il 1997 e il 2021 in diverse sedi editoriali. Nell’economia del volume, ogni contributo, per un totale di sette, compone un capitolo, più l’introduzione. Già dal titolo e dal sottotitolo, Machiavelli. Tra religione e politica, il protagonista è il quondam fiorentino.
In sede di recensione e per di più di una raccolta di saggi, è di fatto impossibile dare una valutazione o un quadro di sintesi d’insieme degli interi contributi, ma ci si può soffermare sull’analisi del saggio intitolato Il Principe e la cultura europea, cui è dedicato il quarto capitolo, ab origine pubblicato per l’Istituto della Enciclopedia italiana nel 2013 in cui l’Autore, con precisione e acribia, fornisce una ricostruzione della fortuna che l’opera di Machiavelli e lo stesso Segretario fiorentino ha avuto fin dal primo triennio del Cinquecento, non appena la sue opere politiche e storiche, Il Principe, I Discorsi sulla prima deca di Tito Livio e le Storie Fiorentine, vennero pubblicate nella edizione di Antonio Blado nel 1531 a Roma, tipografo ufficiale di Clemente VII e pochi mesi dopo pubblicate dell’editore Giunti a Firenze.
Opere di Machiavelli, che ebbero un subitaneo successo, ma non a Roma e nemmeno nella città cha a Machiavelli ha dato i natali e dove ha vissuto la maggior parte della sua vita, ma a Bologna, nuova capitale della cultura italiana, grazie alla concentrazione di studenti provenienti da tutta Europa per partecipare alle lezioni dall’Alma Mater Studiorum. Tra questi, sottolinea Prosperi, vi furono gli iberici Joao de Barros e Juan Ginés de Sepulveda. Entrambi nel 1533 analizzarono i celebri capitoli 11 e 12 del I libro dei Discorsi, inerente il parallelismo che fece Machiavelli con la religione civile pagana, portatrice di virtù civiche per i Romani. De Barros utilizzò il binomio religione-potere politico per comporre un panegirico per la corte portoghese nel 1533, in cui elogiò la monarchia iberica per aver saputo realizzare l’unione tra essa stessa e la religione cattolica. De Sepulveda, d’altro lato, riprese la lettura di Machiavelli per compilare una Exhortatio in cui incitava Carlo V a muovere guerra contro i Turchi. Ma lo stesso De Sepulveda attaccò le teorie di Machiavelli, in quanto aveva considerato il cristianesimo come una religione che distoglieva dalle virtù civiche: «A suo avviso era proprio l’esempio del caso spagnolo a dimostrare che tra la disciplina militare e la religione cristiana c’era una perfetta consonanza» (p. 68).
Tra questi personaggi Prosperi inserisce anche Girolamo Osorio, all’epoca presente anch’egli a Bologna, futuro prelato e vescovo, che nel trattato De nobilitate disprezzava il volgo a vantaggio della nobiltà. Quest’ultima era considerata portatrice di virtù militari a difesa dell’ortodossia religiosa. Reginald Pole, nell’Apologia ad Carolum, definì Il Principe come un libro scritto da Satana.
Machiavelli fu letto e interpretato non solo dagli intellettuali provenienti dalle istituzioni religiose, ma come ha riportato Francesco Sansovino, anche dal sovrano spagnolo Carlo V, che possedette in traduzione spagnola sia Il Principe che i Discorsi e sulla sua scia, scrive Prosperi, Il Principe dalla seconda metà del Cinquecento era presente in tutte le biblioteche degli uomini di potere, anche in quella di Sisto V, lo stesso pontefice che mise all’Indice l’opera omnia di Machiavelli.
Questa censura non causò la cessazione della pubblicazione, dato che gli scritti machiavelliani vennero ristampati, in sempre nuove edizioni a Basilea, meta di rifugio di esuli religiosi. Proprio questi esuli lessero e studiarono le opere di Machiavelli in rapporto tra religione e politica. Ma il fatto fondamentale per Prosperi fu la nascita di questo fenomeno intellettuale denominato machiavellismo, che era l’interpretazione errata del pensiero teoretico di Machiavelli, in quanto non basata su un’analisi storica e filologica. La causa, secondo la tesi di Prosperi, andava ricercata nell’attività della censura che pose le condizioni per una circolazione dei testi alterati e mutili e, dall’altra parte, vi era chi si professava antimachiavellico con una conoscenza solo indiretta della sua opera.
Il machiavellismo nacque anche dalla contraffazione dell’opera dell’autore quando questi era ancora in vita, che consisteva nel prendere qualche idea e riutilizzarla per scopi diversi, come fece Agostino Nifo nel 1523, con il trattato De regnandi peritia del 1523. Ma secondo Prosperi a Machiavelli venne imputato anche di essere un autore immorale anche dai calvinisti, come Innocent Gentillet, che accusò l’opera di Machiavelli di fare da libretto teorico per la strage di San Bartolomeo del 1572. La stessa sovrana francese Caterina dei Medici si servì del libello di Machiavelli per attuare la strage degli ugonotti.
Le teorie politiche di Machiavelli furono estrapolate anche da pensatori del calibro di Giusto Lipsio che nel suo Politicorum definì Machiavelli un pensatore acuto. Rimanendo nell’ambito geografico dei Paesi Bassi, non può essere escluso Spinoza che nel Trattato teologico-politico e nel Trattato politico delineò il suo modello di Stato partendo proprio dall’analisi fatta da Machiavelli. Ma la lettura di un Machiavelli come esplicatore delle tesi che insegnava al popolo le malefatte del governo del principe-tiranno era già stata sostenuta a fine Cinquecento da Alberico Gentili nel De Legationibus. Machiavelli come teorizzatore di un bilanciamento dei poteri, come egualità tra istituzioni politiche e giuridiche, descritte da Harrington nell’utopia dell’isola di Oceania, che aveva l’effetto di rendere i cittadini liberi e non servi. Come sottolinea Prosperi, è proprio dalla lettura di Harrington che John G.A. Pocock creò i presupposti per la futura teoria contenuta nel suo The Machiavellian movement.
Machiavelli che entrò anche nel pantheon dell’Illuminismo, con la voce Machiavélisme nel 1765 nell’Enciclopedia di Diderot, che riprende la tematica dell’opera di Alberico Gentili, ovvero del Machiavelli come educatore del popolo contro i tiranni-principi a sostegno di uno Stato repubblicano. Interpretazione che sarà anche di Rousseau nel suo Contratto Sociale, dove Il Principe è definito come le livre des repubblicanes.
Analoga lettura di Machiavelli nell’Ottocento, fatta in sintonia con le esigenze che scaturivano dai nuovi ideali nazionali. Dall’idea di Machiavelli repubblicano si passò a quella di teorizzatore della nazione, come fece Hegel nel saggio giovanile sulla Costituzione tedesca in cui citò l’exhortatio finale de Il Principe indirizzandola all’unità della Germania. Ma proprio tra il Novecento e l’Ottocento il concetto di machiavellismo ebbe la possibilità di sciogliersi, grazie all’attività filologica e archivistica in cui emersero sempre più nuovi documenti e un’attenzione allo studio della vita dell’Autore. Emblematica fu la scoperta dell’Apografo Ricci nel 1883 da parte di Oreste Tommasini, in cui vennero riportate una parte consistente delle missive di Machiavelli e in modo particolare l’epistola indirizzata all’amico Francesco Vettori del 10 dicembre del 1513 in cui si poté fissare la data di inizio della stesura de Il Principe. Contemporaneamente Machiavelli divenne anche il fautore e il precursore del fascismo in conseguenza del ruolo che una religione secolarizzata e una alterata concezione del progresso ebbero nell’alimentare le ideologie totalitarie.
Prosperi chiude il saggio esaminando l’interpretazione che del Segretario fiorentino diede Leo Strauss nel 1958, nel celebre saggio Thoughts on Machiavelli. Strauss propose una lettura stereotipata di un pensatore amorale ateo. A fianco di questa interpretazione è ricostruito il dibattito dei pensatori anglosassoni come Hans Baron, Isaiah Berlin e Quentin Skinner, tutti concordi nel sottolinearne il filo-repubblicanesimo machiavelliano. Secondo Prosperi, Machiavelli risulta ancora soggetto all’eterno stereotipo del machiavellismo. Auspica pertanto che giunga quanto prima il momento di fare dell’opera e del pensiero di Machiavelli uno studio articolato e critico, contestualizzando entrambi all’interno delle vicende dell’Italia del primo Cinquecento.