Nato a Siviglia nel 1991, è laureato in Scienze Politiche all'Università di Roma "La Sapienza", con una tesi sulla leggenda nera spagnola; nella stessa Università ha ottenuto la Laurea Magistrale in Relazioni internazionali, con una tesi sulle origini del catalanismo. Attualmente sta svolgendo il Dottorato di Ricerca in Scienze Politiche presso l'Università di Catania. Le sue principali linee di interesse e di ricerca riguardano, oltre le tematiche ispanistiche e catalaniste, le relazioni fra Spagna e Italia durante il secolo scorso, avendo pubblicato in diverse riviste italiane e spagnole.

Recensione a
A. García Sanjuán, La conquista islámica de la península ibérica y la tergiversación del pasado
Marcial Pons Ediciones de Historia, Madrid 2019, pp. 509, € 30.00.

«La conquista islámica de la Península no es un problema histórico cerrado» (p. 453). Questa affermazione spiega il motivo di una seconda edizione del testo che si presenterà qui, dato che la prima fu data alle stampe nell’anno 2013. Infatti, nella prefazione, il professore García Sanjuán specifica che, oltre a correggere gli errori di battitura, nulla è stato cambiato a livello di contenuto, il che inizialmente porta il lettore a domandarsi quale sia la necessità di pubblicare una seconda edizione, al posto di effettuare una semplice ulteriore ristampa. Questo quesito viene risolto dallo storico sempre nell’introduzione, dove giustifica tale scelta dalla necessità di ribadire le tesi sostenute come risposta all’ampia ricezione dell’opera e alle successive pubblicazioni che si sono succedute dal 2013.

In un certo senso, lo studioso lamenta che gran parte dei commenti e delle reazioni generate si siano concentrate, quasi esclusivamente, sulla parte in cui egli affronta il tema del negazionismo della conquista islamica, quando invece, anche solo dedicando un semplice sguardo all’indice generale, si poteva facilmente costatare che l’opera era più complessa. Secondo l’autore, l’importanza della conquista del 711, nella storia e nella memoria degli spagnoli, è dimostrata dalla costante distorsione dei fatti alla quale è stata, e viene tuttora, sottoposta da una parte di settori accademici e non solo. Sin dal XIX secolo i quasi ottocento anni di presenza araba e islamica nella penisola iberica sono stati oggetto di un animoso dibattito riguardante l’identità nazionale: «La conquista fue considerada como una auténtica “catástrofe nacional” por buen numero de historiadores, arabistas y académicos decimonónicos para quienes la identidad católica de España era una premisa histórica, no sólo evidente, sino, sobre todo, irrenunciable» (p. 451). In questa nuova edizione, lo storico ci tiene a sottolineare che la critica delle teorie negazioniste non erano l’obbiettivo principale della prima edizione, visto che in essa si dedicava ampio spazio all’analisi del termine di “invasione” per descrivere l’origine di al-Andalus. Questa, secondo l’autore, è una lettura di tipo catastrofistico e forma parte di un discorso denigratorio e ostile nei confronti della presenza musulmana nella Penisola. Per García Sanjuán, negazionismo e catastrofismo sono le tendenze che distorcono maggiormente lo studio di al-Andalus, e hanno visto un crescendo dal 2013, il che, sempre secondo l’autore, giustifica questa seconda edizione. In questo volume, avverte altresì che non si deve perdere di vista nemmeno l’opposta tendenza di mistificare e glorificare il periodo andalusì da parte di altri settori che tendono a insistere su una visione della conquista quale momento storico unico e commovente. Tutte queste visioni ideologizzate della conquista, ovvero la catastrofista, la mistificatrice e la negazionista, continuano ad essere in vigore oggigiorno. In questa pubblicazione, lo storico dedica maggiore attenzione all’ultima delle tre.

La negazione della conquista, che sostiene che l’identità dei conquistatori era diversa, ebbe origine negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso ed ebbe un primo climax con la pubblicazione di Les arabes n’ont jamais envahi l’Espagne di Ignacio Olagüe[1]; tendenza interpretativa in ambito storico che ha visto una persistente continuità, nonché, per motivi ideologici, è vigente nel periodo attuale.

Il volume è conformato da quattro capitoli nei quali lo storico prova a rispondere ad alcune domande di ricerca. Nel primo si chiede il perché della manipolazione storica dell’evento della conquista, mentre soltanto in un sottoparagrafo finale si occupa del discorso negazionista. Per rispondere a questo primo quesito analizza inizialmente il discorso dei vinti, al quale segue quello dei vincitori. Dentro questa parte iniziale introduce il tema del negazionismo e l’impatto dell’invasione e la conquista. Di rilievo invece risulta il discorso trionfalistico delle cronache arabe.

Conseguentemente, la domanda del secondo capitolo si focalizza sull’esistenza di testimonianze storiche coeve. Per affrontare tale quesito, l’autore, ricollega le fonti latine, quelle arabe e i registri archeologici che sono emersi negli anni: le monete e i sigilli in piombo divengono delle prove fondamentali per lo storico. García Sanjuán considera che questi siano elementi che, diversamente dalle prove scritte, non sono stati prodotti per creare una memoria storica. Per lo studioso, dunque, sono delle prove irrefutabili della presenza e del dominio islamico nei territori dei visigoti.

Nel terzo capitolo approfondisce l’identità dei conquistatori, in parte per rispondere alle tesi negazioniste, e col fine di evidenziare che dalla prospettiva storiografica è irrilevante se i conquistatori fossero dei “buoni” o “cattivi” musulmani; diversamente da quel che accade in ambito politico. In questa parte il professore espone le tesi dei negazionisti riguardo l’identità dei conquistatori. Secondo costoro i contingenti nordafricani che giunsero nella penisola nel 711 non erano “autentici” musulmani, bensì erano di fede ariana, per cui preferiscono parlare di continuità dell’arianesimo invece di arrivo della nuova religione. L’autore del libro riporta le affermazioni di storici come Emilio González Ferrín, secondo il quale i nuovi conquistatori erano una sorta di “reparti paramilitari” conformati da visigoti, vandali, svevi, alani, bizantini e mercenari di ogni tipo[2]. In questo modo si pretende di mettere in discussione l’origine dell’islam nella penisola iberica, affermando invece che vi fu una persistenza dell’arianesimo e una tardiva formazione della nuova religione. L’autore afferma che l’interesse negazionista nell’inventare distinzioni categoriali come “premusulmani” e “maomettani” serve soltanto a provare a negare l’identità culturale e religiosa di coloro che entrarono militarmente nella penisola iberica. Al contempo, critica il metodo portato avanti da questi studiosi che inventano nuove terminologie senza l’appoggio di alcuna fonte. García Sanjuán sostenta questo capitolo rivedendo diverse testimonianze, fin dal primo secolo dell’egira, che dall’Oriente all’Occidente affermano che i conquistatori potevano essere caratterizzati da un’identità araba ed islamica.

Lo storico conclude la sua ricerca nella quarta parte domandandosi perché i conquistatori riuscirono nella loro impresa. È in questo capitolo quando lo storico espone le proprie tesi, nonché la sua visione degli eventi. Centrale è, per tanto, l’analisi che porta avanti qui della situazione che esisteva nell’Hispania visigota all’inizio del VIII secolo. Ripercorre eventi come la morte di Witiza e le tendenze storiografiche che si suddividono in: quella tradizionale, che afferma che la causa principale della scomparsa del regno fu la forte crisi interna; e la più recente, dove si sostiene che il regno visigoto era stabile e ritrova le cause della sua caduta in eventi fortuiti. Questo aspetto così dibattuto si spiega in funzione delle debolezze, strutturali e congiunturali, della monarchia visigota, dove, come evince l’autore attraverso le fonti consultate, la violenza fu adoperata per imporre un nuovo dominio destinato a perdurare durante molti secoli. Nella presente parte lo studioso evidenzia e collega la conquista con i patti tra le parti in conflitto, i meccanismi di dominio dei conquistatori, così come le difficoltà che riscontrarono che portarono all’inizio della controffensiva cristiana.

Questa seconda edizione, grazie all’introduzione e al corpus bibliografico, permette di accertare il grado di approfondimento che, successivamente alla prima stampa, García Sanjuán ha continuato a portare avanti. L’analisi da diversi punti di vista delle fonti arabe, inserite nella recente produzione scientifica, che parlano della conquista e il lavoro di traduzione che lo storico effettua nella sua opera, fanno capire quanto sia importante per la comprensione degli eventi un uso professionale degli strumenti che si hanno a disposizione. La tematica è sempre più attuale, al punto di uscire costantemente dall’ambito della ricerca, accademica o meno, per approdare nella dialettica politica. Le argomentazioni adoperate in questo lavoro di ricerca da García Sanjuán sono solide, lasciando trasparire in diversi punti del testo un alto grado di malessere causato dalle tesi di quelli che egli chiama “negazionisti”, ai quali dedica ampio spazio. Diviene, dunque, un testo molto utile per seguire con attenzione il progresso degli studi della materia e per avere sottomano una preziosa bibliografia per chiunque voglia approfondire il tema. Per ultimo, si vuole soltanto segnalare che lo stile della scrittura, dove permane la precisione terminologica, rende molto scorrevole il testo per qualsiasi lettore, anche non necessariamente madrelingua spagnolo. La complessità degli eventi storici qui narrati è resa accessibile grazie alla chiarezza espositiva costante lungo tutto il testo.

Note:

[1] I. Olague, Les arabes n’ont jamais envahi l’Espagne, Flammarion, Paris 1969.

[2] Cfr. E. González Ferrín, Historia general de al-Andalus. Europa entre Oriente y Occidente, Almuzara, Cordoba 2006.

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