Nato a Siviglia nel 1991, è laureato in Scienze Politiche all'Università di Roma "La Sapienza", con una tesi sulla leggenda nera spagnola; nella stessa Università ha ottenuto la Laurea Magistrale in Relazioni internazionali, con una tesi sulle origini del catalanismo. Attualmente sta svolgendo il Dottorato di Ricerca in Scienze Politiche presso l'Università di Catania. Le sue principali linee di interesse e di ricerca riguardano, oltre le tematiche ispanistiche e catalaniste, le relazioni fra Spagna e Italia durante il secolo scorso, avendo pubblicato in diverse riviste italiane e spagnole.

Recensione a
Manuel Alcántara & José Manuel Rivas Otero (coord.), Los orígenes latinoamericanos de Podemos, Tecnos, Madrid 2019, pp. 192, €21.95.

Sin dall’esordio politico del 2014, in occasione delle elezioni del Parlamento Europeo, è stato scritto molto sul partito politico spagnolo “Podemos”. In ambito scientifico vi sono diversi lavori che si sono focalizzati sull’organizzazione, suoi fondatori e suoi votanti. Alcuni esempi sono gli studi di Müller, Fernández Albertos, Iglesias, Torreblanca e per la stessa casa editrice lo studio di Álvarez Tardío e Redondo Rodelas. Gli autori si prefiggono come obbiettivo quello di approfondire le relazioni politiche, accademiche e professionali dei fondatori di Podemos verso l’Iberoamerica, in un momento storico di cambiamento politico. Il volume, per tanto, parte dal simbolico ringraziamento effettuato diverse volte da Pablo Iglesias verso l’America di lingua spagnola per essere stata la scuola dalla quale hanno appreso a concepire la politica. Secondo i dirigenti del “partito viola”, le esperienze di liberazione ispano-americane furono, assieme alle manifestazioni del movimento del 15M, motivo d’ispirazione per la loro organizzazione. In numerose occasioni è stata riconosciuta pubblicamente l’enorme influenza che hanno avuto i movimenti sociali e i processi di trasformazione politica d’oltreoceano. Nell’introduzione, gli studiosi Manuel Alcántara Sáez e José Manuel Rivas Otero, affermano che fu con la vittoria di Hugo Chávez, nelle elezioni del 1998 in Venezuela, che ebbe inizio la denominata “mareggiata rosa” in America. Nei successivi dieci anni, si succedettero nei diversi paesi governi conformati da partiti si sinistra molto eterogenei. Tutti loro, sebbene le esperienze furono differenti in ogni luogo, condividevano la critica del modello neoliberale imperante nella regione sin dall’ultimo decennio del XX secolo; avevano in comune altresì la difesa di politiche di benessere sociale, la convinzione secondo per cui lo Stato doveva essere protagonista in ambito economico e, per ultimo, una sorta di discorso antimperialista. Molto interessante è l’affermazione dove sostengono che è stata la prima volta nella storia in cui la Spagna riceve influenze dall’altra parte dell’Atlantico: «A lo largo de prácticamente dos siglos de relaciones entre los países latinoamericanos y España este escenario es insólito y cabe referirse a él como una venturosa epifanía en la que, por primera vez en su historia, una formación política española bebe sus fuentes en experiencias llevadas a cabo al otro lado del Atlántico» (p. 12). Per quanto possa essere discutibile quest’affermazione, è importante evidenziare che a livello collettivo, giovani accademici, inquadrati in diversi livelli delle Università di Madrid, Valencia, Siviglia e Zaragoza, si sono organizzati per entrare in contatto con il mondo politico iberoamericano per imparare sul campo gli insegnamenti che poi applicheranno in Spagna. A questo proposito servì la Fundación Centro de Estudios Políticos y Sociales (d’ora in avanti CEPS), dove attraverso della figura dell’assessore accumularono un enorme bagaglio di esperienze. Il volume è diviso in sette capitoli, alcuni di essi corredati alla fine da corpose bibliografie, dove dieci studiosi si sono occupati di diversi aspetti che dimostrano il percorso americano dei fondatori di Podemos.

Nel primo capitolo José Manuel Rivas Otero si concentra sulla produzione accademica di tre fondatori di Podemos: Pablo Iglesias, Íñigo Errejón e Juan Carlos Monedero; con l’intento di tracciare il nesso fra le teorie iberoamericane e il progetto politico viola. Come si vedrà in altri autori, l’idea dalla quale molti partono è che Podemos non abbia mai negato l’influenza ricevuta dall’America nella sua formazione politica e accademica (p. 17). L’autore evidenzia l’influenza esercitata da pensatori sudamericani, come Ernesto Laclau, nella dottrina politica podemita. In questa parte, Rivas Otero si propone di conoscere la gittata e la misura in cui le idee americane contribuirono a formare il movimento che avrebbe cambiato il sistema di partiti in Spagna. Per adoperare questo lavoro ha esaminato le ricerche sui movimenti sociali alermundistas e indianistas, ha visto altresì gli studi che si sono occupati dei governi di sinistra in Iberoamerica, gli scritti dove si sono approcciati i processi di cambiamento politico e per ultimo le conclusioni tratte in ambito accademico che diedero luogo a Podemos.

I fondatori di Podemos hanno in comune, oltre alla provenienza accademica, anche l’essere simpatizzanti o militanti di sinistra che condividono la premessa marxista secondo la quale non basta conoscere e interpretare il mondo, ma bisogna anche trasformarlo. Per il neomarxismo, la mobilizzazione politica risponde al cambiamento dei processi produttivi, così come all’iniziativa inconscia di una moltitudine chiamata a costruire un’alternativa contro-egemonica al sistema capitalistico globale (p. 20). I processi di trasformazione politica inaugurati dai nuovi governi progressisti all’alba del XXI secolo destarono l’attenzione di molti di loro, in particolare su Monedero ed Errejón, generando grandi aspettative a sinistra, dato che dal tentativo di Salvador Allende in Cile nessun partito che si dichiarasse apertamente socialista aveva preso il potere in Iberoamerica. «El estudio de la política llevó a los fundadores de Podemos a transitar desde teorías europeas que trataban de explicar los fenómenos a partir de factores estructurales y geopolíticos, hacia teoría latinoamericanas, como el indianismo y la teoría del discurso, que ponían su enfoque en la construcción de subjetividades políticas» (pp. 28-29). Questi strumenti teorici portarono i politologi dell’Università Complutense a considerare l’opportunità di creare un progetto politico che potesse rappresentare le ingiustizie, le richieste e le rotture che si erano prodotte dopo la crisi. Vi era in Spagna uno spazio dove si poteva presentare un’alternativa politica alle politiche di austerità incarnate dal Partito Popolare (PP) e dal Partito Socialista spagnolo (PSOE). L’ipotesi Podemos si organizzò intorno a tre pilastri: i programmi televisivi di Iglesias, La Tuerka e Fort Apache, le esperienze politiche sudamericane e la crisi politica spagnola. La sempre maggiore presenza di Iglesias nello schermo dotò il partito di un capo mediatico che racchiuse le diverse richieste sociali, creando in questo modo le volontà collettive di gramsciana memoria. La prima occasione furono le proteste del 15M che, come spiegano Íñigo Errejón e Chantal Mouffe in Construir pueblo. Hegemonía y radicalización de la democracia, Podemos non fu l’espressione politica del 15M, ma senza queste proteste forse non sarebbe stata possibile la nascita di Podemos successivamente.

Nella seconda parte, Agustín León si focalizza sulla strategia dialettica del discorso politico e i cambiamenti della stessa in occasione della campagna elettorale del mese di dicembre del 2015. Si chiede quali siano state queste strategie politiche che i capi di Podemos riconoscono aver imparato in America. Attraverso gli articoli e la comunicazione dei principali membri si capisce come la costruzione di un “noi” contrapposto a un “loro” e il conseguente iniziale superamento della diarchia sinistra-destra siano centrali in questa analisi. Successivamente, si passò a riconoscere sempre di più nelle mobilizzazioni e nei movimenti sociali i protagonisti di quel “noi”, divenendo in questo modo più movimentista. Nelle elezioni del 20 dicembre del 2015 Podemos si affianca ai partiti territoriali En Comú, En Marea e Compromís, iniziandosi ad aggiungere nel loro bagaglio ideologico le istanze separatiste del diritto di decidere l’appartenenza alla Spagna. Un anno più tardi, in occasione delle elezioni generali de 2016 si assiste a un superamento della dialettica contro i concetti di destra e sinistra producendosi una svolta verso quest’ultima che culminò con la candidatura congiunta ad Izquierda Unida, dalla quale emerse il nome più recente Unidos Podemos. Attraverso questo percorso lo studioso evince i tempi e il modo in cui la strategia imparata in Iberoamerica viene sostituita da un discorso tradizionale della sinistra spagnola.

«Podríamos decir que el 15M es la expresión social de la crisis de régimen, y Podemos su mayor expresión política. Podemos no representa el 15M, pero sin 15M difícilmente existiría Podemos» (p. 70). Questa affermazione racchiude l’importanza del terzo capitolo scritto da Gemma Ubasart-González e Salvador Martí i Puig, nel quale analizzano la produzione intellettuale dei membri del primo comitato direttivo di Podemos. Stabiliscono tre momenti chiave della “socializzazione politica” del movimento. Il primo corrisponde al ciclo di proteste che si estende dal 1996 al 2004, coincidente con l’arrivo di José María Aznar alla guida del governo del PP, e si conclude con le proteste contro la guerra in Irak e gli attentati del 11M, prolungando l’analisi fino alla crisi del 2008 e i tagli sociali imposti dai governi di PSOE e PP. Il secondo momento coincide con le esperienze iberoamericane di alcuni esponenti di spicco del futuro partito. Il terzo e ultimo momento coincide con le proteste degli indignados. Gli studiosi sottolineano l’importanza che ebbe il think tank CEPS, e l’influenza che ebbe in America, provando ad allontanarsi dalle ricostruzioni giornalistiche e dalle accuse di parte che vedono la formazione viola come una sorta di quinta colonna del Venezuela in Spagna.

Nella quarta parte, Antolín Sánchez descrive le esperienze accademiche e professionali in America dei fondatori del partito. Per capire in che modo queste si vengono a creare si approfondisce esaustivamente la fondazione CEPS e le collaborazioni che i fondatori di Podemos realizzarono. In questo periodo venivano espresse profonde critiche nei confronti del marxismo tradizionale per via del riduzionismo di classe e il suo determinismo storico: «Para ellos gran parte de la incapacidad del marxismo clásico para entender los movimientos sociales surgidos a partir del 68 (por ejemplo, el feminismo, el movimiento ecologista, las luchas antirracistas, contra la discriminación de los homosexuales…) era por su reduccionismo de clase, ya que concebían las identidades políticas determinadas por la posición del individuo en las relaciones de producción de la sociedad y no prestaban atención a la articulación discursiva» (p. 89). Sánchez evidenzia che i processi populisti di sinistra, che sono giunti a livelli governativi, ci sono riusciti grazie all’appoggio delle classi subalterne conformate da contadini, indigeni o donne. Uno degli obbiettivi di Podemos, per tanto, è stato quello di riuscire a fare arrivare il suo messaggio negli strati di popolazione non politicizzate. Il metodo adoperato in questo capitolo è quello dell’analisi dei testi accademici, i libri, le dichiarazioni e i discorsi politici previ alla fondazione di Podemos per rapportarli a quelli successivi.

Un saggio essenziale in questo volume è la quinta parte dove Rubén Martínez Dalmau ripercorre l’origine della fondazione CEPS e delle sue tre principali esperienze di collaborazione in Venezuela, Ecuador e Bolivia. Effettuando un percorso atipico, riesce ad offrire una prospettiva di studio chiarificatrice riguardo il ruolo avuto dal think tank. Si è scritto molto su questa fondazione, ma spesso senza rigore e senza contrastare le informazioni, in molti casi, secondo l’autore, con evidenti intenti di fare disinformazione. È lunga la lista dei processi politici iberoamericani in cui ha partecipato la fondazione CEPS; tranne nei casi argentino e uruguaiano, il gruppo stabilì contatti sin dagli anni Novanta del secolo scorso con molti soggetti. Man mano che i governi si allontanavano dalle spinte di cambiamento iniziali, la fondazione abbandonava le capitali dove aveva inaugurato una sede di collaborazione per gradualmente ritirarsi in Spagna. L’autore sostiene infine che benché Podemos e CEPS siano stati due progetti diversi, anche se interconnessi, non vi fu in nessun momento alcuna relazione organica diretta tra i due; al contempo però senza i passi fatti da CEPS non ci sarebbe stata la nascita di Podemos, o sicuramente sarebbe stata ben diversa (p. 132).

Nel sesto capitolo Julián Martínez Ramos si focalizza nelle reciproche influenze fra alcuni membri di Podemos e Alianza País in Ecuador. Parte dalla costatazione, fatta nei precedenti saggi, per cui senza le proteste degli indignados e i movimenti sociali sudamericani non si può comprendere Podemos. «Particularmente, el 15M supuso la materialización colectiva del sentimiento de exclusión y desafección que el sistema político generó después de más de treinta años de bipartidismo en España- Esta situación latente explotó cuando la crisis económica europea trajo consigo el aumento del desempleo, de la desigualdad, y por supuesto de la corrupción. Además de ello, buena parte de la ciudadanía española sentía desaparecer las bases del Estado de bienestar y empezaba a cuestionar las bases de la economía de mercado, interpretada como la responsable de la crisis económica» (p. 136). Lo studioso sostiene che l’esito di Podemos, e la capacità di perdurare, si basi in quattro elementi: l’uso strategico delle coalizioni multilivello, la spettacolarizzazione della politica, l’eccellente utilizzo della sfera digitale e l’articolazione populista del discorso.

Nell’ultima parte, prima delle conclusioni collettive, Esther del Campo García e Jorge Resina de la Fuente studiano le interconnessioni tra Podemos e il processo politico boliviano. L’obbiettivo che si prefigurano in questo capitolo è lo studio delle relazioni tra il processo politico boliviano, che portò all’elezione di Evo Morales nel mese di dicembre del 2005, e la riorganizzazione della sinistra spagnola con la fondazione di Podemos nel gennaio del 2014. L’influenza è tale che il nome che diedero al partito spagnolo proviene dalla coalizione di centro-destra dell’ex-presidente boliviano Jorge Quiroga. La distanza ideologica non impedì che il nome Podemos fosse utilizzato anni dopo per battezzare la nuova formazione spagnola. Oltre a questo aneddoto del Campo García e Resina affermano che il grande contributo che la Bolivia diede a Iglesias e ad Errejón fu il donare loro una nuova concezione pragmatica della politica: «Fue un laboratorio en el que pudieron contrastar y aprender sobre el camino algunos preceptos teóricos y generar una suerte de manual de política contemporánea, con herramientas que les permitieron hacer de Podemos una fuerza central en el sistema de partidos español» (p. 175).

In conclusione, gli autori del testo concordano nell’affermare che sia innegabile la profonda influenza esercitata dal continente americano nel pensiero che diede luogo a Podemos, almeno per quel che riguarda la Bolivia, l’Ecuador e il Venezuela. Gli autori dimostrano una profonda conoscenza dei soggetti studiati, così come degli autori che li hanno ispirati. Questo, unito al fatto che alcuni degli studiosi formano, o hanno formato parte del CEPS, fornisce al lettore una prospettiva nuova dalla quale analizzare il fenomeno. Il lavoro si conclude con un invito a proseguire lo studio delle esperienze di vita e professionali dei soggetti analizzati, così come le reti e i vincoli stabilitisi per comprovare l’eventuale scomparsa degli stessi o se invece perdurino e si svilupperanno ulteriormente.

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