Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia.È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.

Recensione a
L. Sansone, La Galassia Lombroso
Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 258, € 24,00.

Finalmente è possibile leggere qualcosa di nuovo su Cesare Lombroso e la sua Galassia. Livio Sansone, un antropologo italiano che da molto tempo insegna in Brasile, si occupa in questo volume di ricostruire la fortuna del celebre e controverso scienziato in diversi paesi dell’America Latina e, soprattutto, “usa” il caso Lombroso per mostrare i meccanismi di diffusione e affermazione nel mercato globale delle idee e delle ideologie.

Ancora oggi il termine “lombrosiano” appare più che mai attuale, per certi versi più che da noi. Anche se le idee di Lombroso appaiono ormai oggi chiaramente tramontate, ciò non toglie che negli anni a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo (con una lunga coda nel Novecento) esse abbiano trovato il modo di radicarsi laggiù:

Se dunque vi è una parte del mondo in cui il termine “lombrosiano” è ancora oggi largamente usato è proprio l’America Latina, nonostante l’importanza assunta dal DNA e il sorgere di una genetica popolaresca che ha preso il posto della fisiognomica dell’epoca. Si tratta, in effetti, di un termine il cui uso ricorda quello della parola “kafkiano” non sembra che sia necessario leggere e conoscere Kafka per utilizzarla; qualcosa di simile succede anche con i termini “gramsciano” e “felliniano” che si usano a loro volta con poca esattezza (p. 7).

Al centro delle interessanti ricerche di Livio Sansone c’è, senza dubbio, il problema razziale nel complesso sistema di pensiero dello psichiatra veronese e, in secondo luogo, il modo in cui quest’ultimo fu letto e reinterpretato in contesti così diversi come quelli sudamericani. Per prima cosa, occorre sottolineare che Lombroso non fece altro che “respirare l’aria” che tutti, nell’Italia e nell’Europa di fine Ottocento, respiravano: le razze semplicemente esistevano e non potevano essere ignorate per chi si occupasse dell’uomo e delle società umane. Ciò non significa, però, che Lombroso debba essere frettolosamente liquidato – come fece ad esempio George Mosse – fra gli imprensentabili, ossia fra i teorici del razzismo più violento.

Lombroso ebbe tanta fortuna in America Latina, invece, a causa il suo strutturale eclettismo, del suo incontenibile collezionismo, della sua spinta, che può apparire ingenua, verso sempre nuovi territori del sapere. Così, ad esempio, «una parte importante della popolarità delle idee lombrosiane in questa parte del mondo si doveva alla sua curiosità per la fisionomia, la mimica, i tratti del comportamento e della psiche, nonché all’uso eclettico dei concetti di atavismo e criminale nato» (pp. 48-49).

Ancor di più, una eredità essenziale e radicata del lombrosismo in realtà come quella argentina e quella brasiliana, è rappresentato dalla sua ultima (parascientifica potremmo quasi dire) passione per lo spiritismo:

È proprio lo spiritismo, il suo ultimo grande tema di ricerca, che contribuisce a fare divenire Cesare Lombroso, per così dire, immortale. Ci sono viare prove che molti continuarono a scrivergli anche sapendo che era già deceduto. E Cesare Lombroso continua a presentarsi dopo la morte in varie sessioni di spiritismo (p. 190).

In altri termini, il nome di Lombroso (le sue idee, sempre piegate agli interessi del momento, ben più dei suoi libri bisogna dire) sopravvisse alla sua Scuola positiva e alle stesse teorie criminologiche sorte in essa.

Occorre però dire che la parte più attraente del volume è, a nostro avviso, quella che ricostruisce tutti i rapporti (le lettere, gli articoli, i viaggi) fra la “Galassia Lombroso” e il mondo intellettuale dell’America Latina. In questo senso, Sansone non ha trascurato il lato più concreto di quelle relazioni:

Nonostante i limiti imposti dalla documentazione, relativamente scarsa considerando l’importanza, durata e dimensione delle relazioni tra la Galassia Lombroso e l’America Latina, mi sforzo di mostrare gli aspetti del quotidiano e la socio-antropologia di questi scambi: come effettivamente avvenivano, chi pagava le spese, cosa si aspettava chi viaggiava e chi invitava, cosa si diceva e si taceva da ambo le parti, cosa ne riportavano la stampa dell’epoca e le riviste scientifiche, quali erano le regole e l’habitus della pratica scientifico-accademica, cosa viaggiava oltre alle persone (manufatti, immagini, reperti umani o meno…) (p. 9).

Ecco che allora possiamo leggere le cronache minuziose dei viaggi di Gina Lombroso e del marito Guglielmo Ferrero o di quelli di Enrico Ferri, accolti come vere star negli ambienti accademici (ma non solo) di San Paolo o di Buenos Aires.

Senza dubbio, gli intellettuali italiani, ancora nei primi decenni del Novecento, erano percepiti come più prossimi dei loro colleghi di altri paesi europei. Per parte loro, scienziati e scrittori italiani avevano in quella possibilità di viaggiare in paesi così remoti per tenere conferenze a ripetizione (venendo addirittura preferiti dagli impresari rispetto alle compagnie teatrali, perché più remunerativi) una vera e propria valvola di sfogo per ottenere un eccezionale riconoscimento e una indubbia occasione di guadagno.

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