Stefano Brugnolo (1956) e si è laureato nel 1980 a Venezia sotto la direzione di Francesco Orlando, ha insegnato Letterature comparate, e dal 2009 è docente di Teoria della letteratura presso l’Università di Pisa (dal 2018 in qualità di professore ordinario). Si è occupato e ha scritto di autori e testi appartenenti a varie tradizioni linguistiche e nazionali. Si è occupato di umorismo, della relazione tra scritture scientifiche e scritture letterarie, di letteratura coloniale, del soprannaturale in letteratura, di letteratura delle periferie, di retorica e stilistica. Ha scritto vari libri, tra cui: La tradizione dell’umorismo nero (1994), La letterarietà dei discorsi scientifici (2000), La tentazione dell’Altro. Avventure dell'identità occidentale da Conrad a Coetzee (2017), Dalla parte di Proust (2022) e Rivoluzioni e popolo nell’immaginario letterario italiano e europeo (2023).

Io di Elena Ferrante ho letto due romanzi. Uno è L’amore molesto; l’altro è il primo volume della serie L’amica Geniale. E li ho trovati davvero buoni, molto belli, sì. Se poi qualcuno dicesse: sì ma non sono dei capolavori! Io direi che si tratterebbe di una obiezione scema. E comunque poi non ho proseguito con altre letture perché le polemiche intorno a quel suo “caso” mi hanno fatto passare la voglia da quanto erano pretestuose, ma quei due romanzi li ho trovati belli, e ne porto un buon ricordo.

Non sono adesso in grado di entrare troppo nel merito ma almeno questo lo voglio dire: in entrambi i casi si tratta di esplorazioni sottili e prolungate di relazioni molto intime e anzi viscerali tra donne. In un primo caso la relazione è quella tra una figlia e una madre; nel secondo caso è la relazione tra due amiche.

Ebbene in entrambi i casi a me pare che Elena Ferrante sia stata capace di raccontarci le difficoltà, le contraddizioni di questi rapporti viscerali, lunghi una vita, ma anche la loro enorme portata affettiva. Elena Ferrante rifugge infatti, pare a me, da tutti quegli stereotipi che in nome di ideali di emancipazione e progresso vorrebbero che tra femmine vigano solo rapporti di solidarietà, sorellanza, rispetto, eccetera. E invece no; come è giusto che sia tra figlia e madre e tra grandi amiche, oltre all’amore c’è anche l’invidia, la competizione, il sospetto. Queste dimensioni Ferrante ce le sa raccontare benissimo. Ed è questa complessità a rendere più interessanti e veri quei rapporti tra donne, a renderli pieni di sfaccettature e sorprese. A renderli romanzeschi.

Elena e Lila mi sono perciò parse due personaggi memorabili della letteratura moderna. Non solo, mi pare che Ferrante sia stata capace di intrecciare l’intimità di quelle relazioni viscerali, primarie, con la grande Storia. Lo ha fatto in modo del tutto naturale, in un modo che pochi sanno fare ancora (essendo che l’Intimità nei romanzi s’è sempre più separata dalla Storia). La stessa Napoli così presente in questi romanzi è tutt’altro che una Napoli da cartolina, come alcuni hanno detto, è invece sul modello di quella della Ortese: una Napoli invadente, violenta, intrusiva, anche se certo affascinante. Ma mi fermo qui, perché queste sono le mie sensazioni di lettore ingenuo e inesperto che non ha approfondito l’opera della Ferrante e che dunque non intende tranciare giudizi.

Dico solo: non sono un lettore speciale, ma non sono nemmeno un lettore fesso che va dietro a qualunque moda. Ho provato a dire le mie impressioni di lettore ma sono pronto a confrontarle con quelle di altri che invece hanno trovato brutte quelle opere. Le rispetto e anzi sono curioso di quelle reazioni, ma ecco piacerebbe che anche questi altri lettori fossero curiosi delle mie e non mi trattassero come lo scemo del villaggio. Vorrei che fossero meno teppistici nel trattare me e la Ferrante come dei cretini. Non ne vedo la necessità.

Ma non m’importa nemmeno questo, la polemica è normale nell’ambito della critica letteraria, va bene. No, trovo però irritante un’altra cosa. Trovo irritante che molti dicano questo: se i lettori del “New York Times” hanno premiato L’Amica geniale non è mica sulla base di un loro giudizio discutibile quanto si voglia ma ponderato e maturo, è perché si sono fatti abbindolare dalle immagini da cartolina illustrata che Ferrante gli ha rifilato di Napoli e dell’Italia.

Siamo alle solite: gli americani sono fessi e si fanno vendere la fontana di Trevi dal primo venuto; vuoi Totò, vuoi Elena Ferrante. Come è noto invece “ccà nisciuno è fesso”; e cioè i critici italiani (soprattutto quelli educati alla scuola teppistica) mica si fanno abbindolare da quelle cartoline illustrate, fiutano subito il falso, il kitsch e lo denunciano da par loro. Quello che va bene ai lettori ‘mericani mica può andare bene a noi.

Era già successo, eh. Per esempio con il Gattopardo. Anche il Gattopardo era molto piaciuto all’estero, anche a critici e lettori tipo Lukacs, Aragon, Yourcenar, Marias, Vargas Llosa, Said, eccetera eccetera. Apparentemente non dei fessi qualunque. Ma vuoi mettere il giudizio di Alicata, Moravia o Sanguineti, loro mica si fecero mettere nel sacco, e subito sgamarono Tomasi di Lampedusa: anche la sua Sicilia era una Sicilia farlocca, proprio come la Napoli della Ferrante.

Cose simili sono accadute per La Storia della Morante, un altro grande successo internazionale e trasversale. C’è sempre questo pregiudizio modernista contro opere percepite e liquidate come nazional-popolari, che piacciono troppo alle masse. Ripeto, non voglio entrare in nessuna polemica sul valore o disvalore dell’Amica geniale, no, quello che mal sopporto è l’idea che solo “noi” (critici) italiani possiamo capire “davvero” gli scrittori italiani. Gli stranieri si fanno abbindolare, noi invece no! E invece vale l’opposto: il valore di un libro risalta tanto più se esso viene letto, capito, amato anche e proprio da lettori lontani.

La Sicilia del Gattopardo non la capiscono meglio i siciliani, ma i giapponesi, i canadesi, i turchi! Che razza di criterio campanilistico è mai questo secondo cui un’opera di uno scrittore la capisce meglio un suo concittadino! La impressionante Sardegna del Giorno del giudizio di Salvatore Satta, per esempio, l’ha capita meglio e di più un lettore come George Steiner che l’ha giudicato uno dei capolavori del Novecento, di quanto l’abbiano capito i nostri critici e storici della letteratura che infatti hanno trascurato quel libro. Questo solo per dire che si può certo dissentire dal giudizio che i critici del NYT hanno dato dell’Amica geniale, ma senza pretendere che essi si siano fatti abbindolare da chissà quale truffa letteraria. Gli è piaciuto quel romanzo, lo hanno trovato bello, e basta. A molti invece no? Bene, ma allora si entri nel merito del giudizio e non ci si metta a dire che chi lo ama è un allocco che si incanta davanti a operazioni di marketing turistico. Questi giudizi sono di un provincialismo nazionalista ridicolo, abnorme, aberrante.

Elena Ferrante può piacere o no, ma per discutere del suo valore si esca finalmente da queste polemichette e ci si confronti in modo serio.

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