Claudio Capo (1995) è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXIX ciclo) presso l’Università “Guglielmo Marconi” di Roma e laureando in Scienze Filosofiche presso l’Università Roma Tre. Si è laureato nel 2022 in Antropologia culturale presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Le sue ricerche si focalizzano sul socialismo rivoluzionario italiano della prima metà del Novecento. I suoi interessi principali concernono l’analisi storico-filosofica delle forme spirituali, culturali e sociali dalla modernità alla contemporaneità. Ha pubblicato diversi contributi presso il mensile di attualità metapolitiche «Diorama Letterario».
Recensione a
R. Pezzimenti, Politica e religione. Saggio filosofico sulla secolarizzazione nella modernità
Rubbettino, Soveria Mannelli 2021, pp. 408, € 25,00.
L’uomo moderno ha ucciso Dio ma si guarda bene dal rinunciare a quelle strutture che, nel corso dei secoli, ne hanno permesso un incontrastato dominio. La modernità, brandendo l’arma della secolarizzazione, si appropria del pensiero cristiano e, declinando i suoi insegnamenti in una prospettiva esclusivamente materialista, ne inaugura una nuova stagione.
I centri intorno ai quali si organizza la modernità costituiscono – spesso in modo latente – la forma storica ultima di una politica fondata sulla realizzazione delle speranze cristiane. Tuttavia l’impulso della modernità – che si distacca decisamente dalle epoche precedenti – è quello di dar vita ad una storia cristiana nei suoi presupposti e anticristiana nelle sue conclusioni. Nel precisare le linee della sdivinizzazione (Entgoetterung) già Heidegger osservò che con questa parola era da intendersi il duplice processo attraverso cui, per un verso l’immagine del mondo si cristianizza e, per l’altro, il cristianesimo si rende moderno[1]. Nonostante ciò fu Schmitt – grande assente del saggio recensito – che per primo, in Teologia politica, individuò negli apparati ideologici e nelle dottrine statuali moderne la secolarizzazione dei concetti teologici cristiani[2].
È in questo solco che si inserisce il saggio di Pezzimenti, Politica e religione. L’Autore si propone di esaminare da vicino le oscillazioni del processo storico-culturale derivato dalla progressiva secolarizzazione del cristianesimo che, alternando fasi di sostituzione a fasi di rinnovamento, ha contribuito in maniera determinante alla formazione della modernità occidentale. Il sottotitolo del testo, Saggio filosofico sulla secolarizzazione nella modernità, ci offre un ottimo punto di partenza per sviluppare alcune considerazioni. Sullo sfondo va tenuto presente come il processo di secolarizzazione si accompagni alla centralizzazione della storia nel pensiero umano. Per Hegel la verità, realtà alla quale l’uomo continuamente tende, è soggetta al divenire e si realizza per suo tramite. Ne consegue che anche l’esperienza umana si svolge e si esaurisce esclusivamente nel divenire. L’hegelismo trasferisce l’attesa cristiana del compimento finale del Regno di Dio sulla terra all’esaurirsi del processo storico. Nel pensiero di Hegel la convinzione che la religione umana stia dando vita ad un vero e proprio cammino di liberazione è centrale. Gli uomini vanno creati e rinnovati periodicamente fino al compiersi della storia ma non è più Dio a farlo, bensì un corposo apparato di istituzioni umane che si organizzano secondo una concezione integrale del mondo (einheitliche Weltanschauung).
Di questo cammino all’interno della storia se ne faranno interpreti le grandi ideologie della modernità. Pezzimenti osserverà da vicino quelle rappresentazioni ideologiche che più di tutte sembrano derivare da una riduzione allo stato profano della religione cristiana: marxismo e capitalismo. Il senso storico, le prospettive e gli strumenti linguistici, il marxismo li deriva dalla mentalità giudaico-cristiana e applica loro un secolarismo totalizzante. Lo stesso Gramsci riconosce strette analogie tra la filosofia di Marx e la predicazione paolina, tanto nelle vicende storiche, quanto nei presupposti ideologici. Per i marxisti la chiave di volta per interpretare il mondo è la dialettica materialista. Secondo questa, ogni ente sarebbe sottoposto ad un processo di autotrasformazione dovuto al fatto che il suo contenuto è continuamente espresso da forze materiali contraddittorie. Il materialismo storico (materialistische Geschichtsauffassung) altro sarebbe che l’applicazione di questa filosofia alla storia delle società umane.
Così come nel cristianesimo, il marxismo pone al fondamento della propria ideologia un radicale dualismo manicheo: l’esistenza non è concepita in maniera assoluta, ma in termini rigidamente dicotomici. La disputa biblica tra il bene e il male nel marxismo è declinata nel segno di una cruenta lotta tra sfruttatori e sfruttati, tra borghesi e proletari. La totalità dei rapporti della vita umana si esaurisce all’interno di questa conflittualità di origine economica e culturale. Il materialismo è l’unico strumento escatologico[3] in grado di traghettare l’uomo verso quell’uguaglianza materiale che segnerà la fine della lotta tra classi – vero motore della storia. Sarà Lenin, successivamente, a tradurre questi presupposti filosofici in prassi politica. La Russia diventerà la casa madre del marxismo, luogo in cui questo, intollerante ed esclusivista, mostrerà il suo vero volto. Il Lenin tratteggiato in Politica e religione appare come ateo e religioso ad un tempo. La visione escatologica, l’attuazione dell’universalità tramite la Città Perfetta, la determinazione dell’ortodossia e delle eresie, lo spirito egualitario, sono tanto presenti nel cristianesimo quanto nel marxismo. Quest’ultimo svelerebbe de facto i tratti di una religione rovesciata che, secolarizzando il cristianesimo, punterebbe a sostituirlo. Lo stesso Lenin in Socialismo e religione andrà a connotare il Partito sulla base di una concezione del mondo scientifica, materialistica e atea[4].
Tuttavia la concezione scientifica e materialistica del mondo trova il pieno sviluppo non già nell’attuazione del marxismo, ma nell’opulenza della società capitalista. In questa l’individuo è schiacciato dal rullo compressore della reificazione (Entfremdung) che lo consuma in una serie di rapporti economici e lo appiattiscono. La società capitalista guida il più feroce attacco all’uomo: l’istupidimento si diffonde largamente e gli uomini vanno incontro alla propria schiavitù, alla propria abiezione, riponendo torbide speranze nella mercificazione dell’esistenza[5]. L’ampliamento ab libitum della dimensione dei mercati ha favorito la razionalizzazione e la desacralizzazione della vita. Il Sacro viene a rappresentare l’antieconomico per eccellenza e dev’essere abbattuto, la razionalizzazione, invece, lo strumento principe per organizzare la vita – tanto del singolo quanto della società – secondo il calcolo utilitaristico. Questi due pilastri dell’ideologia capitalista vengono favoriti da un insidioso connubio tra processo scientifico e onnipresenza del mercato – vedi i tempi ultimi. Mai prima dell’avvento del capitalismo l’uomo si è trovato difronte all’irruzione nella storia di una religione capovolta, spuria ed emancipata dal divino.
La scienza e il mercato sono muti di fronte ai problemi di senso dell’esistenza umana. Parafrasando Heidegger, la scienza non pensa, anzi, riflette il gigantesco paradosso di una fede irrazionale nella ragione e dell’esaurimento al dato fenomenico dell’esistenza. La ragione illuminista bandisce il nous e fonda se stessa tramite l’ossimoro del metodo scientifico visceralmente fideistico. Gli assunti di base che caratterizzano l’ideologia scientifica, i principi epistemologici e i fatti naturali altro non sono che veri e propri atti di fede, aprioristici e intoccabili. La scienza moderna è il definitivo compiersi di una religione universalistica atea e materialista.
In conclusione, il processo di secolarizzazione si può intendere come l’appiattimento della dimensione verticale e sacrale dell’esistenza. L’orizzontalità che ne deriva rappresenta la matrice comune che mette in connessione marxismo e capitalismo, derivati profani della religione cristiana. Quando la corruzione di un popolo arriva al suo colmo questa spegne la cultura, lo rende incapace di immaginare il trascendente, in tal modo l’uomo imbruttisce, i suoi legami sociali si sfibrano e non è più capace di manifestare il proprio genio creativo. È la distruzione di qualsiasi estetica, di qualsiasi vigore. Il giovane nasce vecchio e si invecchia morendo nello spirito.
Note:
[1] Cfr. M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Id., Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp. 72-73
[2] C. Schmitt, Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972, pp. 61-75.
[3] Cfr. L. Feuerbach, Principi della filosofia, Necessità di una trasformazione, in K. Löwith, La sinistra hegeliana, Laterza, Roma-Bari 1982, p. 309.
[4] V. Lenin, Socialismo e religione, in «Lo Stato operaio», XII, n.10, 1 giugno 1938, p. 160.
[5] Cfr. B. Croce, L’Anticristo che è in noi, in «Quaderni della Critica», 1947, pp. 68-69.