Avvocato

Avvocato e dottore in Scienze storiche. Ha al suo attivo pubblicazioni sul federalismo ("Le origini del federalismo: il Covenant”, 1996; "Il sacro contratto. Studio sulle origini del federalismo nordamericano", 1999). Ha inoltre pubblicato "Sovranità. Teologia e sacro alle origini di una categoria politica" (2015); "Il regime alimentare dei monaci nell'alto medio evo” (2017), “Paura e Rivoluzione francese nell’opera di Guglielmo Ferrero” (2021). Inoltre ha curato la riedizione del volume di Guglielmo Ferrero "Palingenesi di Roma antica” (2019). E' autore di articoli e relatore in convegni di studio.

Recensione a
S. Gentile, Macron bifronte. La Francia di Macron fra populismo e sconfitta della gauche
FrancoAngeli, Milano 2019, pp. 133, €19,00.

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Il saggio, chiaro e conciso, si articola in sei capitoli. Il titolo del libro (Macron bifronte), sicuramente ad effetto, rivela meno di quel che è il contenuto di queste pagine. Infatti i capitoli 3 e 4 nonché la metà del capitolo 5 e altrettanto del capitolo 6 non si occupano in chiave diretta del Presidente francese o del suo movimento ma propongono, piuttosto, un’analisi storico-critica del populismo come fenomeno globale delle democrazie contemporanee e tratteggiano in efficace brevitas la genesi e la vitalità delle due formazioni politiche (il Front National e la France Insoumise) che oggi si contrappongono a Macron e al mondo (valoriale, simbolico, nonché di rappresentazione di interessi concreti) che il giovane Presidente incarna. Cosicché solo i capitoli 1 e 2 e parte del quinto e del sesto hanno a oggetto specifico di studio Macron e il suo movimento.

A prescindere dal titolo parzialmente fuorviante, questa duplicità di tematiche non costituisce però un limite del saggio ma anzi, a nostro avviso, lo rende più completo e perspicace nell’analisi interpretativa. L’Autrice mostra consapevolezza di muoversi in equilibrio sul crinale tra due generi differenti di saggistica: l’instant book di taglio giornalistico e il saggio di analisi critica e politologica. Ella cerca dunque di inserire la cronaca di trentasei mesi (dalla fondazione di En Marche al novembre 2018) nel contesto della lunga durata e nella griglia di interpretazione condotta secondo le collaudate categorie weberiane del potere carismatico (delle quali l’Autrice è apprezzata conoscitrice: si vedano i suoi precedenti lavori dedicati al capo carismatico a declinazione francese). Non è agevole seguire da vicino la cronaca e al contempo sollevarsi al di sopra del flusso evenemenziale per elaborare disegni interpretativi d’insieme criticamente fondati e originali.

La Presidenza Macron è cronaca, e sotto questo aspetto il libro di Sara Gentile è parzialmente superato perché, pubblicato nei primi mesi del 2019, si ferma al novembre 2018. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna; la Presidenza Macron, già in crisi quando l’Autrice scriveva l’introduzione («il bilancio attuale [2018] è più che deludente, negativo, inquietante soprattutto a paragone delle aspettative che la sua scalata elettorale e la promessa di una “France nouvelle” e degna della sua “grandeur” avevano suscitato», p. 12), ha continuato a percorrere un declivio discendente: tensioni sociali, la protesta massiccia e organizzata dei “gilets gialli” e dei sindacati, l’estrema destra e l’estrema sinistra vitali e agguerrite contro l’Eliseo, i deludenti risultati elettorali del maggio 2019 (quando il partito del Presidente ha raccolto soltanto il 22,4% dei voti), sondaggi di opinione con indici di gradimento per Macron in caduta libera: tutto fa presumere che l’“esperimento” Macron si stia rivelando una illusione fallimentare. Una Presidenza dunque avviata a un epilogo senza gloria, ma che potrà forse salvarsi per la mancanza di valide alternative.

Infatti proprio l’affermazione di En Marche nel 2016-2017 ha definitivamente mandato in frantumi la classica quadrille bipolaire secondo la definizione di Duverger: la contrapposizione di un blocco di sinistra (PCF-PSF) a un blocco di centrodestra (neogollisti e liberali) che per decenni aveva retto il sistema politico della V Repubblica. Una alternanza quadripartitica che in realtà – come nota l’Autrice – era entrata in crisi da tempo (a causa dell’inesorabile declino del Partito Comunista, per anni il più forte partito comunista d’Occidente dopo quello italiano; ma soprattutto a causa della comparsa, già nel 1972, di un partito antisistema come il Front National, capace di coagulare attorno a sé oltre un quinto dell’elettorato).

En Marche sta per Emmanuel Macron: le iniziali del “partito” del Presidente non sono scelte a caso, sottolineano anzi la stretta identità tra il movimento e l’enfant prodige Macron. Né è casuale che l’atto di fondazione di En Marche sia stato coreograficamente organizzato ad Amiens, città natale di Macron. Il movimento nasce nell’aprile 2016, sotto la Presidenza Hollande, ad opera di un giovane uomo dalla brillante e fulminante carriera. Macron, neppure quarantenne e con un passato nella banca d’affari Rothschild, è ministro (dicastero dell’economia) del Presidente Hollande e ha da poco abbandonato il PSF. Gli analisti si sono a ragione domandati quali siano state le vere ragioni ad aver spinto Hollande, consultato da Macron, a concedere il “nulla osta” alla fondazione del nuovo soggetto politico da cui il Presidente socialista non ha poi tratto alcun vantaggio. Fatto sta che il neonato movimento En Marche attrae subito i delusi della politica e dei partiti della quadrille bipolaire e muove guerra all’immobilismo politico, economico e culturale nel quale la Francia sta sprofondando, incapace di far fronte alle sfide della globalizzazione e agli innumerevoli problemi scatenati dalla crisi del 2008.

Secondo l’Autrice En Marche è un movimento pragmatico, legato alle contingenze elettorali e con una bassissima intensità ideologica: un movimento nato dall’alto, per opera e in funzione di Emmanuel Macron e dei ristretti circoli dai quali egli proviene. L’analogia storica più calzante, per restare in ambito francese, è data dal Rassemblement du peuple Français (1947) del generale De Gaulle ai tempi della IV Repubblica, la cui azione politica rese possibile la fondazione della V Repubblica a forte vocazione presidenzial-carismatica. Ma differenti sono le finalità dei due movimenti e le idealità che vi sono sottese. D’altronde il discorso pubblico di Macron è costellato di richiami incessanti a De Gaulle, suo esplicito punto di riferimento nel tentativo di prendere una scintilla della sua legittimità carismatica. E neppure mancano echi (di per sé eloquenti, ma nella sostanza improbabili) di Napoleone Primo Console.

La personalità carismatica di Macron viene dall’Autrice sottoposta a verifica secondo il noto modello weberiano, ma con esiti negativi: il “carisma” dell’attuale Presidente lo distingue dal grigio Hollande ma la distanza coi grandi nomi prima evocati resta incolmabile. Il carisma di Macron è di tono minore e va semmai ricondotto a una variante di quel potere personalizzato e spettacolarizzato di cui Silvio Berlusconi offre il precedente più cospicuo. Una analogia che coinvolge anche gli strumenti partitici: En Marche e Forza Italia presentano indubbie affinità: entrambi movimenti del “presidente”, creati dall’alto e dopo attenta pianificazione sondaggistico-pubblicitaria, e dove prevale «l’aspetto organizzativo molto centralizzato, e soprattutto la guida di una sola persona» che li connota come partiti personalizzati (p. 20)

Due i nemici di Macron: uno generico e propagandistico (la politica tradizionale, inerte e superata dei partiti legati al vecchio sistema); l’altro preciso: il Front National. La contrapposizione di Macron al FN della “stirpe” Le Pen assume centralità politica e simbolica nel discorso complessivo del Presidente, accentuata dall’ovvia considerazione che l’avversario da battere al secondo turno delle presidenziali fu proprio Marine Le Pen. Eppure alcuni caposaldi della politica lepenista (allarme per il declino della Patria; avversione all’immigrazione massiccia; senso di insicurezza interno, internazionale ed economico) sono penetrati a fondo nella coscienza collettiva francese. La “lepénisation” ha fatto sì che in Francia «si sedimentassero una serie di idee, stereotipi e atteggiamenti mentali che hanno reso legittimo e pubblicamente dicibile l’universo politico e valoriale del FN» (p. 28). Fenomeno già chiaramente visibile ai tempi del Presidente Sarkozy (che non a caso cercò di cavalcare, appena addomesticate, alcune delle tematiche del FN), la “lepénisation” è oggi un fatto con cui Macron deve misurarsi. Non basta l’appello alla “rupture” con la politica tradizionale; non basta neppure l’appello ai valori repubblicani contro il pericolo neo-fascista (perché il FN, soprattutto dopo l’uscita di scena di Jean Marie Le Pen, non è assimilabile al neofascismo né per prassi né per ideologia).

Macron fa propri stili e modalità populisti in molti e significativi passaggi del suo discorso pubblico. L’appello diretto al “peuple” (un universo concettuale e emotivo tanto ambiguo quanto coinvolgente, tra suggestioni di patria, nazione, sovranità, etnia, classe sociale: si leggano le pp. 60-64), l’accentuazione in chiave carismatica e personalistica di una Presidenza “verticale”, il richiamo alla “grandeur” nazionale in chiave gollista se non proprio bonapartista, la sottolineatura di tematiche orientate alla difesa delle frontiere e alla regolamentazione dei flussi migratori avvicinano il Presidente al populismo “di destra”. Ma (contraddizione difficilmente sanabile), questo Presidente è lo stesso personaggio che pone «la realtà globalizzata e la difesa e il rilancio dell’Europa unita» al centro della sua azione politica (p. 110).

Nei fatti l’odierna Presidenza si rivela amica di una globalizzazione ritenuta buona e positiva (un’opportunità), e Macron stesso – uomo dell’establishment –  persegue con sollecitudine politiche di ristrutturazione economico-finanziaria a costi sociali elevatissimi e con l’adozione di misure oggettivamente antipopolari, avverse a quella porzione di popolo francese già impoverita dalla globalizzazione. Emmanuel Macron sembra dunque un pendolo tra le esigenze di un mondialismo saldamente europeista e un sovranismo propagandisticamente incentrato sulla preservazione dell’identità nazionale.

L’Autrice, che scrive nel novembre 2018, è sobriamente severa con Macron (e probabilmente oggi lo sarebbe ancor di più): «La cifra dominante di Macron è il suo essere uno e tanti, con tante facce ma senza il dramma esistenziale dei personaggi pirandelliani»; egli è «politicamente vocato a mutazioni camaleontiche» (p. 126). Tanti i volti contraddittori, ma soprattutto due: il bonapartista a vocazione carismatico-plebiscitaria, saldamente piantato nel terreno della storia nazionale; e il liberale europeista globalizzato, contiguo a gruppi di pressione e di influenza (anche culturale) mondialisti. Il suo movimento En Marche, raggruppamento di tecnici e pragmatici ma anche di uomini della vecchia politica, copre oggi uno spazio politico potenzialmente immenso: dalla sinistra riformista e liberale alla destra gollista e conservatrice. Oggi minoritario nel Paese reale, l’agglomerato presidenziale ha però buon gioco nel misurarsi con avversari inconciliabilmente divisi. I populismi rossi (Melenchon; al populismo di sinistra e alla crisi storica del socialismo è dedicato il capitolo quinto del saggio) e neri (Marine Le Pen), probabilmente maggioritari se sommati, presi singolarmente restano minoritari. Da qui, paradossalmente e nonostante il forte vento di impopolarità, una non del tutto improbabile possibilità di rielezione, nel 2022, per l’ex enfant prodige Emmanuel Macron.

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