Laureato in Scienze Politiche al «Cesare Alfieri» di Firenze, si interessa di storia del periodo fascista e dell’Italia repubblicana. Sul fascismo apuano ha pubblicato Al gancio del Negroni. «Il Popolo Apuano» di Stanis Ruinas. Fascismo rivoluzionario e Regime nella provincia del marmo (Solfanelli 2016) e Fascismi di provincia. Pontremoli e l’Alta Lunigiana 1919-1925 (Youcanprint 2019). Ha pubblicato saggi e articoli su riviste di studi storici («Rassegna Storica Toscana», «Nuova Antologia», «Diacronie») e sulla rivista on line del Centro Studi Geopolitica.info.

Recensione a
S.P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale
tr. it. di S. Minucci
Garzanti, Milano 2000, pp. 512, € 18.00.

Pubblicato negli Stati Uniti nel 1996 il libro di Samuel Huntington suscitò ampia discussione, rilanciata dopo l’11 settembre 2001, che sembrava iniziare la “sfida” della civiltà islamica. Il libro, fuori da quelle contingenze, offriva in realtà un paradigma delle relazioni internazionali post Guerra Fredda. Esso conserva la sua attualità, in questo momento che vede una guerra in Europa tra Russia e Ucraina, tanto più utile per l’insufficienza di un’informazione mediatica che oscilla tra spettacolarizzazione della cronaca e funzione istituzionale.

Il paradigma di Huntington disegna un sistema internazionale dominato dal conflitto non tanto e solo tra gli Stati, compatte entità che agiscono in relazioni di potenza in un mondo anarchico, bensì da un conflitto tra diverse civiltà, unità «culturali» di lunga formazione definite da storia, stili e norme di vita comuni, soprattutto dall’identità religiosa. Tra di esse, Huntington distingue in Europa la civiltà “occidentale”, più precisamente euro-atlantica, da una civiltà russo-ortodossa, la cui identità religiosa cristiana deriva dalla tradizione orientale di Bisanzio.

Il confine tra queste due civiltà attraversa l’Ucraina, divisa tra una parte occidentale, cattolica uniate, di lingua ucraina e di forti sentimenti nazionali, che guarda all’Europa occidentale, e una orientale, russofona e ortodossa, che guarda alla Russia. Questa divisione è foriera di “conflitti di faglia”, tipici delle aree di contiguità tra le civiltà quando attraversano uno stesso Stato.

Huntington prefigurava tre possibili scenari del conflitto sulla faglia russo-ucraina che orientano ancora oggi le analisi. Lo scenario di una guerra diretta tra Russia e Ucraina era prefigurato dalla teoria realista dello scontro tra Stati-potenze spinti da reciproca paura per la propria sicurezza. John Mearsheimer nel 1993 riteneva «matura» una guerra con la conquista russa dell’Ucraina e propugnava il mantenimento di armi nucleari in Ucraina per deterrenza antirussa. Huntington giudicava poco probabile questo primo scenario: «Si tratta di due popoli slavi, prevalentemente ortodossi che per secoli hanno mantenuto stretti rapporti e tra i quali i matrimoni misti sono oltremodo frequenti». Ne derivava l’indicazione di incoraggiare la cooperazione tra i due paesi, a garanzia della stessa indipendenza ucraina (l’Ucraina rinunciò nel 1994 alle atomiche).

Più realistica, secondo Huntington, la possibilità di una spaccatura del paese tra le due regioni, con l’orientale annessa o federata alla Russia. Ne conseguiva che «la creazione di un’Ucraina uniate orientata a Occidente sarebbe tuttavia possibile solo grazie a un forte ed efficace sostegno occidentale, che potrebbe giungere solo qualora i rapporti tra Russia e Occidente si deteriorassero come ai tempi della Guerra Fredda». In sostanza, l’Ucraina Ovest entrerebbe nell’Ue e nella Nato, proprio ciò che la Russia di Putin non vuole. Huntington riteneva più probabile un terzo scenario, cioè che «l’Ucraina resti unita, resti un paese diviso, resti indipendente e sviluppi, in linea generale, legami di cooperazione con la Russia. Una volta risolte le dispute relative alle armi nucleari e alle forze militari, le questioni più serie saranno di carattere economico e la loro risoluzione sarà facilitata da una cultura in parte comune e da stretti legami personali» (pp. 240-243).

Sul piano esplicativo, il paradigma dello scontro di civiltà conferma la sua attualità, poiché individua sulla faglia ucraina lo scontro in Europa. Sul piano previsionale, è comprensibile che nel momento dell’invasione russa la conclusione di Huntington appaia a dir poco ottimista, poiché sembra in atto il primo scenario. Sembra, perché una guerra russo-ucraina jusqu’au bout, pur militarmente fattibile, porterebbe all’interno della Russia una regione in costante conflittualità proprio perché attraversata dalla faglia di civiltà. Inoltre, come si usa dire, tutte le guerre prima o poi finiscono. Resta un dopo da gestire e sul piano normativo (il da farsi) dalle lontane analisi di Huntington emergono indicazioni di attualità. Risolta la questione delle armi nucleari, le residue dispute su “forze militari” richiamano in sostanza la richiesta russa di neutralizzazione dell’Ucraina. Inoltre, il paradigma dello scontro di civiltà ha il vantaggio di estendersi sul periodo medio-lungo, non breve e contingente. Esso avverte che i conflitti di faglia tendono a riproporsi, difficilmente trovano una composizione duratura e gli accordi tra i protagonisti sono tregue più che pace.

La consapevolezza di civiltà diverse in Europa suggerisce quindi la necessità di un accordo ampio con il riconoscimento alla Russia del ruolo di Stato guida del mondo ortodosso, accompagnato da trattati di associazione e non aggressione (pp. 357-358). Oggi, anche il realista Mearsheimer pensa che Putin non voglia conquistare e integrare l’Ucraina in una più grande Russia e ritiene che ciò non sia neppure possibile. Anche Mearsheimer pensa che «ci sia una seria possibilità che gli ucraini possano elaborare una sorta di modus vivendi con i russi» («The New Yorker», 1° marzo 2022).

Huntington ricorda che la Russia è un paese «in bilico», concorde sulla propria identità ma non sulla civiltà di appartenenza. La dialettica che attraversa la storia russa tra occidentalisti e slavofili, tra europeismo e originalità euroasiatica, resterà irrisolta, poiché è «un tratto inalienabile del carattere nazionale» (p. 206). Bisognerà conviverci e accettarla come una condizione da gestire, non un problema da risolvere.

Lo scontro delle civiltà suggerisce anche un’osservazione sull’entente cordiale tra Russia e Cina, nella quale alcuni commentatori vedono il possibile perno di un nuovo ordine mondiale. Può darsi. Tuttavia, tra la civiltà russo-ortodossa e quella sinica-confuciana esistono differenze anche più marcate che tra la prima e quella occidentale. Inoltre la geopolitica prospetta un conflitto potenziale tra Russia e Cina anche più critico di quello con l’Occidente. Se la Russia non accetta concentrazioni di potenza a Ovest, nondimeno le teme a Oriente. Gli avvicinamenti russo-cinesi sono spesso reazioni a vertenze con l’Occidente, mentre un asse russo-cinese di lungo periodo dipende dal grado di soddisfazione dei rapporti con l’Occidente ma anche «dall’ascesa della Cina a potenza egemone dell’Asia orientale e dalla conseguente minaccia per gli interessi russi da un punto di vista economico, demografico e militare» (p. 359). Oggi, sul confine orientale russo preme l’esuberanza economica e demografica, unita a superiorità tecnologica e militare, di una Cina, Stato-guida di un’altra civiltà, che ha raggiunto lo status di potenza globale.

Approfitto, in chiusura, per aggiungere un richiamo a un “effetto collaterale” della guerra in Ucraina che mi pare non abbia richiamato la giusta attenzione: la decisione della Germania di un massiccio riarmo. La guerra in Ucraina ha offerto l’occasione alla Germania di superare il condizionamento del suo terribile passato e avviare la riabilitazione della propria potenza proporzionando la propria forza militare a quella economica. Non più gigante economico e nano politico, bensì in prospettiva gigante in toto. Un passo in fondo atteso, dopo la riunificazione. L’Ue, già scricchiolante dopo la Brexit, dovrà fronteggiare il fatto nuovo. La Francia è diffidente, la Polonia teme la Germania non meno della Russia. La Russia non avrà la Nato in Ucraina ma poco più in là troverà la rinata potenza dell’antica rivale europea. Qualche europeista dirà che questa è l’occasione di una nuova Ced, premessa degli Stati Uniti d’Europa. Forse. Ma la storia insegna le differenze, non le ripetizioni: allora la Ced era voluta dalla potenza egemone, oggi non credo che gli Usa saranno entusiasti della formazione di un blocco militare europeo che completi quello economico saldato da una moneta unica.

Nessun paradigma è completo e privo di limiti, ma ciascuno offre dei vantaggi. Quelli dello scontro di civiltà sono diversi. Non è incompatibile con la teoria realista delle relazioni internazionali, ne amplia piuttosto la dimensione. Inoltre rispetta e richiede la lettura geopolitica dei rapporti internazionali. Infine, poiché ogni paradigma, oltre una funzione esplicativa, ha una funzione normativa, cioè oltre a spiegare i conflitti mira anche a suggerire le soluzioni, anche quello dello scontro delle civiltà non si sottrae a questo compito. La validità di un paradigma è misurata dalla sua capacità di rispondere alle domande che la realtà pone, ma anche dalle soluzioni che riesce a suggerire. Credo che il lavoro di Huntington, non solo in relazione alla crisi russo-ucraina, offra un contributo attuale su entrambi i piani e conservi ancora, a distanza di trent’anni, il rango di livre de chevet sul nuovo ordine mondiale post Guerra Fredda.

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