Gaia Tella (2002), dopo aver frequentato il Liceo classico F. Vivona, a Roma, si è iscritta alla Facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Siena, presso cui sta per iniziare il terzo anno. Da sempre interessata a tematiche storiche, politiche e filosofiche, intende laurearsi in Filosofia Politica, per poi proseguire gli studi universitari. Appassionata fin da piccola alla scrittura, nel 2017 ha pubblicato il racconto giallo Tutto tranne il movente. Durante gli anni del Liceo ha frequentato una scuola di teatro, altro suo grande interesse.

Recensione a: K. Jaspers, Introduzione alla filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010, pp. 230, € 21,00.

Perché dedicarsi ancora al pensiero filosofico se ormai le scienze esatte sanno dare ogni risposta?

Questo è uno degli interrogativi cui Karl Jaspers fa riferimento per elaborare una propria nuova visione dell’idea stessa di filosofia, espressa pienamente nella sua opera del 1971, Introduzione alla filosofia, nella traduzione italiana di Pietro Chiodi, con postfazione di Umberto Galimberti, pubblicata da Raffaello Cortina Editore nel 2010.

Un dubbio simile è, di per sé, indice di un eccesso di certezze: si potrebbe anche considerare di accettare i limiti della scienza come della filosofia e considerarle due diversi ma coesistenti approcci di ragionamento. Sappiamo, però, di vivere in società in cui la ricerca scientifica ha un ruolo fondamentale, sicuramente maggiore rispetto alla filosofia, ma siamo anche sempre meno consapevoli dell’impatto di questa fede nella scienza sulle nostre esistenze, come anche sulla nostra visione dell’esistenza stessa. È un argomento, questo, trattato da Jaspers già nella prima metà del Novecento, ma mai risolto concretamente.

Nel tempo siamo passati dalle scienze alla tecnica, fino alla tecnologia, ed oggi è facile osservare le trasformazioni che questa evoluzione ha portato, sia a livello individuale che sociale. Se queste novità siano complessivamente positive o negative è opinabile, ma la tendenza è di sottovalutare gli effetti di questo “eccesso di scienza” spinti da un’illusione di controllo. L’intelligenza artificiale, ad esempio, è un fenomeno molto controverso, spesso associato al tema della disumanizzazione delle società e delle vite, molto presente in Jaspers, che appare oggi un precursore rispetto a questo genere di tematiche, più che mai attuali.

Inizialmente il progresso nasce da un bisogno e si serve del ragionamento, viene visto come possibilità di miglioramento di una condizione esistente: costituisce, se gestito in modo consapevole, qualcosa di positivo. Ma se, come in genere accade, si raggiunge l’eccesso, inteso da Jaspers come fede esclusiva nelle scienze, ci si dimentica di troppi aspetti delle nostre esistenze e quindi di quella dimensione che non possiamo non chiamare “trascendenza”.

È l’illusione di poter controllare e conoscere ogni cosa a convincerci che le nostre capacità possano tutto, anche quando in realtà, riflettendoci, non avremo mai certezze. «Pensare l’essere sul modello dell’oggetto presente al soggetto», secondo Jaspers, è il più grande equivoco dell’umano: causa della evidente decadenza del pensiero nella modernità. Si rischia di annullare il senso della ricerca filosofica attraverso una fedeltà esclusiva verso le certezze date dalla scienza, senza rendersi conto del carattere riduttivo di ogni spiegazione. Un presupposto che ci pone al centro, nonostante invece siamo solo una delle possibili espressioni di un assoluto inarrivabile.

Karl Jaspers viene considerato uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo, la corrente filosofica che ricerca il fine della presenza dell’uomo sulla terra. Quale sia lo scopo di tutto: ecco la domanda forse più naturale, pensata da chiunque, almeno una volta nella vita. Per rispondere dobbiamo compiere una radicale rivoluzione di pensiero e dare nuovamente spazio alle incertezze.

Secondo Jaspers dovremmo accettare l’impossibilità per noi di raggiungere e comprendere la trascendenza, essendone noi stessi una rappresentazione possibile. Siamo soggettività e così ragioniamo ed esistiamo. La tendenza evidenziata dall’Autore è sempre più evidente: la filosofia attraversa una fase di crisi, a partire dal suo ruolo nelle società, non riuscendo ad imporsi come alternativa, altrettanto valida, alle ricerche prettamente scientifiche.

Si deve partire da punti di vista nuovi, diversi dai dati. Esistere dà la possibilità di esprimersi, facendo emergere le singolarità di ognuno. Siamo tutti possibili espressioni dell’Assoluto a cui tendiamo. Questo è il concetto di esistenza secondo la filosofia di Karl Jaspers: ma, quindi, in quanti possono effettivamente affermare di esistere? E ampliando il ragionamento dal singolo alle collettività, possiamo, oggi, realmente affermare di saper mantenere ognuno le proprie singolarità, in un mondo ormai basato su omologazione, interesse e progresso scientifico, considerato certo ed universale?

Introduzione alla filosofia riassume i concetti fondamentali della storia del pensiero filosofico, con un’impostazione nuova. Nell’opera ogni argomento viene affrontato separatamente, ma si finisce inevitabilmente con il delineare una prospettiva filosofica alternativa: l’obbiettivo è ridare spazio alla finitudine e all’impossibilità tipici delle esistenze umane, indipendentemente dallo sviluppo scientifico. Jaspers, quindi, pensa e scrive di temi, non attraverso teorie universali, procedendo con una logica filosofica che permette di arrivare alla conclusione indipendentemente dalla domanda di partenza.

Si potrebbe iniziare affermando che «l’Essere nel suo insieme non può essere né soggetto, né oggetto, ma un tutto-abbracciante»: diverso sia da noi, soggetti che pensiamo, che dall’oggetto pensato. Solo attraverso la consapevolezza di questa essenza dell’Essere è possibile ottenere la libertà interiore e di pensiero. A questo punto sembra logico chiedersi a cosa poi corrisponda questo Essere. Spesso viene identificato con Dio, umanizzato ed immaginato, ma, secondo Jaspers, «questi sforzi di pensiero non possono realizzare ciò che si propongono» proprio a causa della limitatezza della soggettività a confronto con il tutto.

L’uomo, quindi, deve cercare di ottenere consapevolezza attraverso la sua esistenza, rendendosi responsabile di sé e delle proprie decisioni, assecondando la propria libertà intellettuale e attiva, perché «Dio opera attraverso le libere decisioni dei singoli» e solo scegliendo, quindi vivendo, potremo avvicinarci al Trascendente. La fede in Jaspers è, prima di tutto, filosofica, indipendentemente dall’argomentazione teologica e religiosa che ne deriva. Per fede, quindi, si dovrebbe intendere l’inclinazione, tipica del mondo verso l’Assoluto, che rende nel tempo consapevoli, anche grazie a “situazioni-limite” che evidenziano la nostra finitudine. Eventi estremi, sia vissuti che osservati, che spingono a pensare, ognuno a suo modo ma tutti con le stesse domande di fondo.

Il mondo è visto sia come contesto della prassi esistenziale, che come oggetto di analisi, l’elemento che racchiude tutte le nostre possibilità, ma non tutto ciò che è, infatti, «la realtà del mondo ha un esserci ondeggiante tra Dio e l’esistenza». La vita filosofica è allora un paradosso: «Siamo persi se smarriamo l’orientamento sulla terraferma. Ma non ci sentiamo appagati, se restiamo su di essa». Solo attraverso la meditazione, autonoma, e la comunicazione, collettiva, sarà possibile ottenere e divulgare l’indipendenza filosofica del pensiero, ritrovando l’origine di se stessi.

La filosofia è un’esigenza puramente umana, «il cammino che ci conduce a noi stessi», basata sul porsi domande, sul ragionamento, per riuscire ad arrivare alla comprensione, mai universale, della molteplicità degli aspetti che caratterizzano l’esistenza. Secondo Jaspers si dovrebbe cercare una dimensione più naturale e filosofica della vita, ragionando senza il bisogno di ottenere risposte, spesso universalistiche e quindi forzate.

Si deve tentare un riavvicinamento del pensiero filosofico alle domande esistenziali: non più centrale il bisogno di risposte certe, ma anche la consapevolezza di qualcosa di irraggiungibile, ma estremamente interessante, su cui interrogarsi. Dobbiamo diventare serenamente coscienti di non poter raggiungere l’Assoluto. Questa consapevolezza ha risvolti certamente positivi, riconoscendo ad ognuno la possibilità di realizzarsi attraverso problemi, movimento e decisioni, sfruttando le nostre possibilità di esistenza e di libertà.

Quindi, per concludere, possiamo tornare alla domanda iniziale sul perché occuparsi ancora di filosofia, nonostante la tendenza crescente verso lo “scientismo”. Karl Jaspers risponde a questo interrogativo, ponendolo tra i fondamenti del proprio pensiero, anticipando anche problemi tipici della nostra attualità. In una delle altre sue opere più conosciute, Filosofia, del 1932, scrive:

Sia nella scienza che nella filosofia c’è un lavoro intellettuale, ma la comprensione dell’attività del pensiero scientifico, che è identico per ogni intelletto, è più facile della comprensione dell’attività del pensiero filosofico, perché quest’ultimo richiede la presenza del proprio se stesso.

Perché allora non continuare, anche oggi, a pensare con filosofia, accettando serenamente la nostra finitudine?

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