Gaia Tella (2002), dopo aver frequentato il Liceo classico F. Vivona, a Roma, si è iscritta alla Facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Siena, presso cui sta per iniziare il terzo anno. Da sempre interessata a tematiche storiche, politiche e filosofiche, intende laurearsi in Filosofia Politica, per poi proseguire gli studi universitari. Appassionata fin da piccola alla scrittura, nel 2017 ha pubblicato il racconto giallo Tutto tranne il movente. Durante gli anni del Liceo ha frequentato una scuola di teatro, altro suo grande interesse.

Recensione a: H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, intr. di L. Gallino, trad. di L. Gallino e T. Giani Gallino, Einaudi, Torino 1967, pp. 260, € 19,00.

La società unidimensionale che si va affermando altera la relazione tra il razionale e l’irrazionale.

Nonostante la nostra superficiale consapevolezza di esistere, siamo sicuri di vivere una vita che ci rispecchi? Le democrazie occidentali moderne sono in grado di mantenere la pluridimensionalità sociale e incentivare quella individuale? Per quanto possa sembrare un approccio pessimistico, bisognerebbe ammettere di vivere in una fase di crisi esistenziale che coinvolge la società intera, per poi provare a trasformare la condizione attuale.

«Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione, al perfezionamento dello spreco, ad essere educati per una difesa che deforma i difensori e ciò che essi difendono. […] I mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli» sfruttando «la manipolazione delle parole, voltando il senso in non senso e il non senso in senso comune».

La coesistenza di due principi è, da tempo, alla base delle società occidentali: la democrazia e la produzione. Questa relazione, instabile, si è intensificata con l’affermazione del modello americano in Europa, secondo la visione della democrazia capitalista, portando, secondo Marcuse, anche ad un cambiamento progressivo delle mentalità, con meno reattività nei confronti dei cambiamenti, anche se imposti o non condivisi, fino ad arrivare alla condizione monodimensionale descritta già nel secolo scorso.

L’uomo a una dimensione spinge verso la riflessione. È un’opera che si pone al centro di un dibattito mondiale: la contrapposizione tra capitalismo e comunismo, due estreme espressioni di economia e società, accomunate dalla chiusura verso il confronto reciproco, convinte di poter risolvere concretamente gli interessi di tutti, con approcci opposti, ma entrambi dannosi. Marcuse critica fortemente il consumismo e la moderna società industriale, che egli sostiene essere una forma di controllo sociale. Nonostante il sistema in cui viviamo pretenda di definirsi democratico, in realtà è una forma mascherata di totalitarismo. La razionalità tecnologica si è imposta su ogni aspetto della cultura e della vita pubblica, diventando chiaramente egemonica. Le teorie di Marcuse riprendono alcuni temi legati anche alla filosofia marxista, ma riconsiderandone definizioni, proponendone critiche e nuove alternative. Secondo la visione marxista, ad esempio, la falsa coscienza è un concetto chiave per comprendere come l’ideologia della classe dominante diventi il senso comune del popolo. Secondo Marx ed Engels, «le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti, cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante».

La falsa coscienza è, quindi, una definizione usata per descrivere il modo in cui la maggioranza accetta, assimila e arriva addirittura spesso a difendere e promuovere fenomeni che, in ultima analisi, si muovono contro i loro stessi interessi. In Marcuse lo stesso concetto viene ripreso, ma considerato ormai già così radicato da diventare realtà, evidenziando i limiti della visione marxista ed intendendo il fenomeno anche in un’ottica temporale diversa. Ogni generazione deve, infatti, confrontarsi con la propria attualità.

Il concetto di uomo unidimensionale sostiene intrinsecamente la possibilità di altre dimensioni dell’esistenza umana, oltre a quella vissuta da Marcuse, o da quella attuale: ma sfere precedentemente considerate private ora tendono sempre più a confluire all’interno della logica del sistema dominante, impedendo la pratica del pensiero critico e, di conseguenza, l’apertura verso molte altre delle nostre dimensioni. Contro questo clima di prevalente unidimensionalità del pensiero e del comportamento, Marcuse propone il Grande Rifiuto come unica opposizione possibile ed efficace ai metodi onnicomprensivi di controllo, messi in atto dalle società moderne. Si tratta della difesa del pensiero negativo contro le generalizzazioni del positivismo, prevalente. Le moderne società industriali hanno, infatti, creato una società benestante, riuscendo a mascherare lo sfruttamento di dominio e di controllo messo in atto dal sistema. Qui si ritrova l’importanza di far crescere un pensiero negativo, di opposizione. Nelle società del consumo, secondo Marcuse, un piccolo numero di individui ha il potere di condizionare le nostre percezioni, anche della stessa libertà, semplicemente fornendoci opportunità illusorie, come l’acquisto della nostra felicità, o spingendoci a considerare le connessioni sociali solo attraverso elementi materiali. Una razionalità tecnologica così diffusa da ostacolare l’evoluzione positiva della vita sociale ormai da decenni: una crisi prolungata, tipica di tutte le più recenti contemporaneità, da quella di Marcuse fino alla nostra. Si sono imposte, nel tempo, condizioni materiali alla libertà umana, continuando ad anteporre interessi particolari, di minoranza, ai bisogni collettivi.

Per quanto ovvio appaia il carattere irrazionale dell’insieme, e con ciò la necessità di mutamento, il rendersi conto della necessità non è mai bastato per afferrare le alternative possibili. Davanti all’efficienza onnipresente del sistema dato di vita, le alternative di chi discerne tale necessità sono sempre apparse utopistiche. […]

Nello stato più avanzato la dominazione funziona come amministrazione, e nelle aree sovrasviluppate del consumo di massa la vita amministrata diventa la buona vita del complesso, nella difesa della quale si uniscono gli opposti. Questa è la forma pura di dominio. Per converso, la sua negazione appare essere la forma pura della negazione, sembra ridursi all’unica astratta richiesta che il dominio finisca […] questa negazione prende la forma politicamente impotente di rifiuto assoluto – un rifiuto che sembra tanto più irragionevole tanto più il sistema costituito accresce la sua produttività e allevia il fardello della vita.

La reazione di molti alle incoerenze del sistema della metà del XX secolo, vissuto da Marcuse, fu comunque l’estremismo, talvolta la violenza, già con i movimenti studenteschi del ’68, diffusi in tutta Europa, con caratteri specifici in ogni stato, senza però ottenere in nessuna società effetti duraturi, causando, nel tempo, solo un allontanamento delle esperienze empiriche dalle aspettative di rinnovamento avute da Marcuse nello scrivere L’uomo a una dimensione. Secondo lo studioso una società consapevole deve voler dialogare al suo interno, sapendosi anche confrontare con una qualche forma di opposizione radicale, dall’esterno. Serve che la società non si fermi, continui ad innovarsi e autogestirsi, anche per far fronte all’opposizione, con cui si porta avanti un processo di alternanza fluida.

Ora, all’inizio del XXI secolo, la situazione sembra continui a peggiorare, seguendo la tendenza descritta, alcuni decenni fa, dal sociologo tedesco. La struttura sociale e culturale tende intrinsecamente all’unidimensionalità. L’opposizione interna è stata assorbita dalla società stessa: dalla caduta del muro di Berlino nell’89 e la fine della contrapposizione tra il blocco capitalista, statunitense, ed il blocco comunista, sovietico, le mentalità sono cambiate e, di conseguenza, le società. È riguardo alle cause di questo declino, oggi evidente, che scrive Marcuse, negli anni Sessanta. Le democrazie ormai delegittimate, sono il riflesso di società bloccate sul piano politico, culturale e delle aspettative nel futuro, da tempo. Secondo il concetto di totalità, i rapporti sociali dominanti tendono ad influenzare ogni sfera della vita, anche individuale, fino ad ogni specifico settore della sfera pubblica, senza lasciare spazi di autonomia. Si diffonde così un pessimismo radicale nell’ambito delle società, viste come totalità razionali dominanti con poca considerazione dell’alta frammentazione interna.

Marcuse è conosciuto per la sua capacità anticipatrice. Secondo il sociologo dovrebbe esistere una ragione oggettiva alla base delle scelte collettive, quindi politiche, secondo la logica della democrazia rappresentativa, ma in continua evoluzione, secondo scopi definiti e condivisi, nell’ambito di rapporti sociali rinnovati, mirando alla collaborazione.

La critica della società contemporanea analizza le società alla luce delle capacità che essa usa o non usa, o di cui abusa, per migliorare la condizione umana. […] La teoria della società non possiede concetti che possano colmare la lacuna tra il presente e il suo futuro; non avendo promesse da fare né successi da mostrare, essa rimane negativa. In questo modo essa vuole mantenersi fedele a coloro che, senza speranza, hanno dato e danno la loro vita per il Grande Rifiuto.

Attraverso un confronto con le alternative storiche, portato avanti dallo stesso Marcuse nelle sue opere, è possibile evidenziare gli aspetti critici della propria contemporaneità, proponendo anche diverse alternative possibili per «alleviare la lotta dell’uomo per l’esistenza».

Convertire l’illusione in realtà e la finzione in verità dimostra fino a quale punto l’Immaginazione è diventata uno strumento di progresso. E di esso, come di altri nelle società costituite, si è metodicamente abusato. […] L’Immaginazione era semplice gioco, impotente nel regno delle necessità, e dedito soltanto ad una logica fantastica e ad una fantastica verità, quando il progresso tecnologico ha annullato questa separazione, riducendo la facoltà libera della mente. Ma ciò riduce anche la lacuna tra Immaginazione e Ragione. Le due facoltà antagoniste diventano interdipendenti su un terreno comune.

Oggi, sempre più inclini al disinteresse, viviamo esistenze monodimensionali, che annullano in fondo le nostre stesse personalità: perché solo alcuni scelgono realmente, e spesso non chi rappresenta effettivamente gli interessi generali. In pochi oggi possono dirsi soddisfatti della loro posizione all’interno della collettività, pochissimi si sentono effettivamente partecipi delle decisioni che finiscono, però, con l’influire sullo stile di vita di chiunque. Sentirsi impotenti di fronte alla società, intenderla come un qualcosa di autonomo ed esterno da noi, non fa che aggravare la relazione tra individualismo e collettivismo, già molto complessa. La quasi totalità dei nostri sforzi mira a raggiungere obiettivi falsi a cui, però, diamo sempre più importanza, avendo perso capacità critica e di pensiero.

Conoscere se stessi è complesso, un processo continuo che probabilmente non ha risposte definitive: sembra certamente più facile mostrarsi come si dovrebbe, seguendo uno standard imposto dalla società, e quindi da noi a noi stessi, in un vortice di legittimazione di comportamenti, su cui poi, in realtà, tutti si interrogano individualmente. Capiamo chi siamo in gran parte attraverso le nostre scelte, ma se queste vengono basate solo su motivi di omologazione o poste contro l’interesse generale, non saranno utili. Vedere come le società sono cambiate nel corso dei secoli mette in luce l’evoluzione dell’umanità e delle sue decisioni, ma analizzando in particolare la società occidentale, a partire dalla seconda metà del XX secolo, sembra di non essere più in grado di controllare la nostra vita: una enorme quantità di variabili in evoluzione continua, l’aumento della comunicazione, diventata però paradossalmente sempre meno consapevole e costruttiva, in un contesto di prevalenza del monismo esistenziale, nascosto dietro le più ampie libertà e possibilità.

E tuttavia questa società è, nell’insieme, irrazionale. […] La sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza – individuale, nazionale e internazionale. […] Le capacità (intellettuali e materiali) delle società contemporanee sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata.

Per risolvere questa contraddizione si deve capire realmente cosa sia la libertà, individuale e collettiva, cosa significhi avere possibilità, prendersi la responsabilità delle scelte fatte e mettere anche in discussione se stessi.

Liberare l’immaginazione, in modo che possano esserle concessi tutti i suoi mezzi di espressione, presuppone la repressione di molte cose che ora sono libere e perpetuano una società repressiva. E tale rovesciamento non è questione di psicologia o di etica, ma di politica.

Ciò che, invece, si nota è un aumento dei contrasti e dell’antagonismo generalizzato: un fenomeno paradossale, che non fa che ampliare il divario fra gli interessi particolari e le aspettative prive di effettivo impegno, un fenomeno che crea caos, non portando vantaggi a nessuno: non è ostacolando gli altri che ritroveremo la nostra dimensione. Si finge di scegliere chi essere, per paura di ammettere il contrario, si fa riferimento ai diritti democratici senza considerare quanto siano delicati, soprattutto se intesi in un contesto socio-economico sempre più capitalizzato, e si finisce con il costruire un mondo di illusioni che ci influenza durante il corso di tutta la nostra vita.

Perché questo stile di vita, e prima ancora di pensiero, sembra essere l’unico possibile?

Essendo ormai questo l’approccio più comodo e comunemente diffuso nei confronti dell’esistenza, la finzione viene impropriamente supportata e diffusa, secondo la logica dell’apparenza: «Come si può solo pensare che il circolo vizioso si possa rompere?».

Data la situazione illusoria che ci circonda, dovremmo, invece, fare in modo di ritrovare consapevolezza della realtà, intesa anche semplicemente come la complessità del mondo, la relatività del tutto, riattivando interesse effettivo verso la società di cui siamo parte. Si potrebbe partire da un cambio di mentalità: gli individui dovrebbero ritrovare una propria dimensione autoanalitica, diventare consapevolmente convinti delle proprie scelte, secondo un’ottica di equilibrio tra interessi individuali e collettivi, tornando ad essere coscientemente partecipi della vita sociale.

Un mutamento qualitativo presuppone necessariamente una pianificazione a favore di tutti contro questi interessi particolari, ed una società libera e razionale può sorgere solo su questa base. […] L’autodeterminazione sarà reale nella misura in cui le masse si saranno dissolte in individui liberi da ogni propaganda, indottrinamento e manipolazione, capaci di conoscere e comprendere i fatti e di valutare le alternative.

Non siamo più abituati a riflettere su noi stessi né su cosa realmente pensiamo: un mondo unidimensionale non rende uguali, ma identici, non permette pari opportunità, ma crea personalità prive di sfumature soggettive.

Marcuse vive e studia le società occidentali della metà del XX secolo. La nostra attualità, il XXI secolo, è, in molti aspetti, totalmente diversa. Il confronto tra le due epoche è, però, sicuramente utile per cercare di spiegare la crisi attuale delle democrazie europee. Ciò che colpisce, leggendo L’uomo a una dimensione, è la lucida capacità di anticipare tendenze: sulla base di considerazioni fatte negli anni Sessanta e Settanta del 1900, quindi nell’ambito di società sempre più capaci di dialogare e di imporsi, il sociologo tedesco ha saputo chiaramente anche identificare i possibili rischi e le conseguenze di fenomeni che, oggi, hanno stabilizzato l’unidimensionalità anticipata dall’autore.

Attualmente stiamo attraversando quella fase di allontanamento dalla politica, e quindi di delegittimazione della democrazia, che si può ritrovare nelle prospettive ipotizzate da Marcuse per il futuro. È chiaro che si tratti di un testo piuttosto pessimista riguardo alla possibilità di superare la mancanza di libertà della società tecnologica ed in generale lo status quo irrazionale che ci circonda, da anni, a livello globale. Nonostante ciò, sembra restare comunque aperta, anche secondo Marcuse, la possibilità di superare questa generalizzata superficialità, più o meno consapevole. La dimensione perfetta sarebbe l’equilibrio: una società basata su valori immateriali, ma capace di gestire consapevolmente il materialismo tipico della modernità. Si tratta di ampliare le nostre prospettive per arricchire noi stessi di dimensioni perse.

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