Gaia Tella (2002), dopo aver frequentato il Liceo classico F. Vivona, a Roma, si è iscritta alla Facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Siena, presso cui sta per iniziare il terzo anno. Da sempre interessata a tematiche storiche, politiche e filosofiche, intende laurearsi in Filosofia Politica, per poi proseguire gli studi universitari. Appassionata fin da piccola alla scrittura, nel 2017 ha pubblicato il racconto giallo Tutto tranne il movente. Durante gli anni del Liceo ha frequentato una scuola di teatro, altro suo grande interesse.

Recensione a: N. Luhmann, Protesta. Teoria dei sistemi e movimenti sociali, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2017, pp. 207, € 18,00.

Il tutto, che non è mai completamente presente, non può essere presentato come tutto.

Da parte di un autore come Niklas Luhmann ci si aspetterebbe una netta critica nei confronti di tutto ciò che non rientra nell’ambito di schemi chiari e definiti: la realtà però è diversa. Protesta. Teoria dei sistemi e movimenti sociali, una raccolta di saggi, conferenze e interviste del sociologo tedesco, pubblicato da Mimesis Edizioni nel 2017, traduzione italiana di Silvia Rodeschini, fa riflettere sulla Teoria dei sistemi con una prospettiva molto più aperta: la protesta viene considerata un carattere intrinseco della vita umana e sociale, capace di riattivare meccanismi di innovazione.

Luhmann tende ad occuparsi essenzialmente della società moderna, partendo dagli elementi che derivano o si distinguono dal passato, concentrandosi soprattutto sulle criticità del XX secolo. L’analisi riguarda in primo luogo i movimenti studenteschi del ’68, per poi passare attraverso i movimenti sociali, da quello ecologista a quello femminista. Si vogliono evidenziare le tendenze, l’evoluzione ed i cambiamenti interni alla società che portano a spiegare ed eventualmente risolvere problematiche sempre diverse, che si sviluppano secondo contesto. Nella raccolta si passa dallo studio delle caratteristiche alla struttura fino al funzionamento differenziato di ogni elemento costituente della società, ciò che il sociologo definisce sistemi, nell’ambito del sistema generale: la società nella sua globalità. Il concetto di protesta, che apparentemente stride con lo schematismo della Teoria dei sistemi, viene in realtà analizzato dal sociologo e fatto rientrare nel funzionalismo, assegnandogli il ruolo fondamentale di mantenimento della dinamicità sociale.

Il merito della protesta è quello di porre attenzione su tematiche non considerate da nessuno dei sistemi ufficiali concentrati esclusivamente sul proprio punto di vista, troppo occupati a mantenere il loro codice e nell’adattamento dei loro programmi, molto settoriali. Problemi nati dall’incapacità di dialogare tipica dei sistemi ufficiali. La mancanza di flessibilità e capacità di adattamento portano a dimenticare determinate tematiche che in realtà, anche solo da un punto di vista pratico, o per una parte della collettività, sono fondamentali. L’unità nel concetto di movimento di protesta consiste nella coesistenza di codice e programma. Il primo, utile nel definire la distinzione dei valori del gruppo, funziona solo in base a due concetti in contrasto, gli estremi, anche da intendere come il pro e il contro della protesta, senza lasciare spazio ad eventuali alternative. Il programma, invece, è possibile modificarlo, nella misura in cui si mantenga il codice invariato, rispettando così l’identità del sistema. Non sempre è possibile parlare di movimento. Spesso contestazioni disomogenee non riescono a trovare la giusta forma organizzata e si allontanano dal ruolo funzionale dei sistemi, non riuscendo ad ottenere effetti reali sulla società. È importante, per questo, distinguere i movimenti di protesta, effettivi, in quanto nuove forme di sistemi funzionali ordinati: un adattamento luhmaniano in funzione della protesta. Il tratto caratteristico dei movimenti è la protesta stessa, non il tema, né il linguaggio utilizzato per la propria definizione.

Il tema centrale della raccolta sembra essere l’opposizione alla stasi, contestualizzato nella Teoria dei sistemi, ma per approfondire questo aspetto è inevitabile affrontare anche molti altri caratteri della società, compresi eventuali fattori variabili, capaci anche di mettere apparentemente in crisi l’ordine della Teoria: sarà l’effetto della crisi, evidenziata dalla protesta, a dover riattivare i sistemi funzionali, evitando il radicamento dello status quo. La capacità di mantenere interesse e di influenzare le collettività è complessa da gestire da parte dei movimenti. Servono consapevolezza e convinzione per ottenere soluzioni a problemi sociali, quindi estremamente complessi. È fondamentale pensare al ruolo delle emozioni e della comunicazione in questo processo di trasmissione delle problematicità. Il linguaggio, i media sono altre delle variabili alla base di questo scambio di informazioni tra sistemi e si influenzano reciprocamente.

In un’intervista di Heidi Renk e Marco Bruns del 1986, Niklas Luhmann dichiara: «Ora, io penso, che i nuovi movimenti sociali mirino ad assumere una posizione eccezionale: descrivono la società come se ne fossero al di fuori». È la protesta, quasi estraniandosi dal sistema dei sistemi, a far notare alla società nel suo complesso ciò che altrimenti non verrebbe considerato come questione di cui occuparsi: i movimenti di protesta rivelano criticità intrinseche della collettività dei sistemi, solitamente autonomi e privi di relazioni valide all’autoanalisi e alla critica di sé, mantenendo distante la società dalla stasi, a cui però attualmente ci stiamo abituando. Come è possibile affermare ciò senza rendersi conto che si tratta di un ragionamento astratto?

È lo stesso Luhmann a evidenziare questo aspetto. Partendo dal presupposto di vivere in un sistema funzionale e autopoietico stabile, definibile sempre, questo dovrebbe quindi essere in grado anche di evolvere secondo le condizioni di contesto, per evitare la stasi, generando movimento interno. Per riuscire a mantenere fluidità, sarebbe fondamentale la considerazione di continui nuovi fattori. La protesta si esprimerebbe nelle sue varie forme per identificare elementi dimenticati dai sistemi ufficiali. I gruppi di interesse dovrebbero poi ottenere una forma organizzata, in movimenti di protesta o sociali, e portare avanti il loro programma, variabile, secondo un preciso codice, fisso. In questo l’aspetto dell’organizzazione diventa fondamentale. Una volta che il tema del programma si è esaurito, raggiungendo una giusta attenzione, dovrebbe concludersi il ruolo del “fluido” sistema della protesta. La responsabilità, però, dovrebbe passare ai sistemi tradizionali per fare in modo di risolvere la problematica: in questo caso, probabilmente, si potrebbe parlare, come nella Teoria, di universalità e autopoiesi del nostro sistema società.

Tutto ciò avviene nel mondo che conosciamo oggi?

È difficile indicare una teoria come universale, priva di limiti temporali o spaziali e capace di racchiudere in sé l’ordine di tutto. È possibile creare uno schema, capace di riflettere i vari aspetti della società, ammettendo però fluidità e mobilità. Queste strutture teoriche sono utili per cercare di spiegare la logica della società, ma per questo devono potersi adattare ad ogni condizione interna ed influenza esterna. I sistemi autopoietici definiti da Luhmann sanno evolversi, e nelle interviste del libro è questo uno degli aspetti più chiari. Il sociologo cerca di spiegare il proprio punto di vista, i suoi cambiamenti di posizione su determinate tematiche nel tempo e chiarisce i possibili casi di cattiva interpretazione della sua teoria. La visione universale nella Teoria dei Sistemi è da intendere, secondo Luhmann, come pretesa di applicabilità universale, quindi come la capacità di riguardare ogni aspetto della vita umana, prospettiva diversa dal considerarsi l’unica possibile e valida teoria nella descrizione della società. L’Autore tenta di mantenere unità ed un approccio scientifico nei confronti dello studio della sociologia: tutto ciò che riguarda la società deve poter essere descritto attraverso la sua teoria. Ma fino a che punto è possibile distinguere la pretesa di universalità dalla pretesa di esclusiva validità e correttezza rispetto ad ogni altra teoria riguardante gli stessi temi, o almeno di una parte di essi?

Forse è illusorio pensare di creare un ordine che descriva l’intera società e di conseguenza la totalità della realtà con cui è possibile confrontarsi. Probabilmente si finirebbe con l’annullare ogni relativismo, questo potrebbe causare chiusura ed assenza di flessibilità, costituendo un ostacolo al funzionalismo. È proprio su questo punto che si concentrano la maggior parte delle critiche mosse al sociologo: ci si focalizza sullo schema dei sistemi autopoietici e razionali pensando che, in fondo, l’obiettivo ultimo di questa visione del mondo sia l’organizzazione. Leggere Luhmann in Protesta, Teoria dei Sistemi e Movimenti Sociali può far ottenere una nuova visione dell’Autore come sociologo e come individuo, capace di sviluppare una teoria estremamente sistematica, in cui credeva evidentemente e che cercava di difendere e divulgare, ma capace di accettare anche elementi meno definibili, in dialogo con i sistemi autopoietici più definiti.

Nella raccolta si notano, da parte di Luhmann, momenti di totale sicurezza nella propria visione, ma anche alcune situazioni di apparente incertezza, capaci di far trasparire una graduale flessibilità e adattamento della Teoria dei Sistemi: in qualche modo si definisce sempre uno scopo funzionale per tutto, ma attraverso un’evoluzione nella concezione stessa dei sistemi. Molto utili anche i riferimenti fatti dallo stesso Luhmann ad altri sociologi, contemporanei e non, per mettere a fuoco somiglianze e differenze delle varie teorie che nel tempo hanno cercato di descrivere la società, come continua ad accadere oggi, anche se forse con minore consapevolezza.

Nelle opere più conosciute del sociologo, spesso le più studiate, si nota tendenzialmente un approccio sistemico e funzionale del suo pensiero. Leggere conferenze, discorsi e lezioni ci consente di ottenere un quadro più ampio. Spesso possono essere fondamentali anche le interviste per una maggiore comprensione della Teoria dei sistemi nel suo complesso e del suo rapporto con il concetto di protesta. Limitandosi alle opere scientifiche di Luhmann probabilmente si comprenderebbero chiaramente alcuni meccanismi logici, ma potrebbe capitare di trovare contraddittori alcuni elementi, o meno condivisibili secondo il proprio punto di vista. Focalizzandosi anche sulle interviste sembra di poter accettare anche gli aspetti meno chiari, più fluidi, nell’ambito dello schematismo dei sistemi tradizionali. Attraverso le domande dei giornalisti diventa più facile capire il pensiero del sociologo: i dubbi evidenziati rispecchiano la visione di molti lettori, infatti ognuno cercando la giusta, o almeno la propria, interpretazione della teoria di Luhmann potrebbe porsi domande, ma spesso elementi che appaiono poco chiari, contrastanti o fluidi si chiariscono con la spiegazione e gli esempi dell’Autore: «Non serve un’idea centrale per produrre miglioramenti. Se ci si orienta alla pratica, le difficoltà risiedono nell’inesauribilità delle possibilità».

Nelle società moderne, a partire chiaramente da quella italiana, la stasi è frequente, evidenziando un deficit di assorbimento delle cause di protesta: questo porta ad annullare parte dell’utilità funzionale dei movimenti sociali e mette a rischio la sistematicità dell’intera società, vista come sistema di sistemi. Come se la concezione sistematica della teoria dovesse imparare, oggi, ad adattarsi ad un nuovo contesto, svilupparsi parallelamente alla società stessa che descrive. In un mondo globalizzato ed internazionale, costituito sull’interesse, la complessità interna al sistema dei sistemi è amplificata.

Secondo la prospettiva luhmaniana, un grave problema dell’attualità è la generale disfunzione prolungata dei sistemi principali nel rispondere alle esigenze: una volta che il problema viene percepito, la protesta, anche organizzata in movimento, non riuscirà mai ad esaurire almeno parte dei suoi temi perché troppi altri fattori faranno in modo che, se l’interesse è di mantenere lo status quo, questo resti tale, solo eventualmente adattandosi alla problematica, o semplicemente imponendola come un assioma alla collettività stessa. Se questi dubbi o problematiche restano troppo a lungo evidenti alla società tendono a modificare la composizione interna dei sistemi tradizionali e gli effetti di questa attesa di risposte influenzano anche il tipo di protesta ed i comportamenti: i temi si sommano in programmi sempre più plurali, aggregati di interessi creano fratture e vanno ad influenzare i codici fissi ma diversi tra loro, la variazione dei programmi è continua.

L’epoca di cui si parla in questo libro sono gli anni ’80 e ’90 del XX secolo, un periodo delicato a conclusione di un secolo di enormi trasformazioni. Sembra che ormai però la società sia entrata in una fase nuova: oggi si è molto lontani dall’espressione del pensiero e dalla rivendicazione di attenzione, tipiche della seconda metà del Novecento vissuta da Luhmann, le cui diverse e riconosciute proteste, molto spesso organizzate in movimenti, ottenevano effetti reali sulla società, pur ovviamente con dei limiti in quanto costituite da soggettività, al pari di tutti i sistemi. Dalla considerazione della sua teoria come chiusa e autopoietica, funzionale e sistematica, si può passare ad una interpretazione nuova: il punto di partenza organizzato per comprendere anche aspetti variabili, flessibili, considerandone la fluidità, a suo modo funzionale, come capacità di adattamento. La società contemporanea è sempre più tendente alla superficialità, anche spesso consapevole, e all’utilità relativa di ogni aspetto dell’esistenza, tanto da perdere molte delle sue capacità funzionali, come rispondere efficacemente alle criticità e all’interesse collettivo.

Gli eventi che viviamo noi direttamente, oggi, sono diversi da quelli descritti e analizzati da Luhmann: bisognerebbe cominciare a considerare di contestualizzare nuove condizioni e presupposti per trovare la nostra stabilità. In un’intervista del 1994 Luhmann, rispondendo alle domande di Kai-Uwe Hellmann, afferma:

Mi sento più a mio agio, per concludere, non rubricando i movimenti sociali alla voce di una classificazione che esiste già. Se si vogliono prendere sul serio i fenomeni non bisogna usargli violenza a livello concettuale. Preferisco ammettere un po’ di disordine nella mia teoria.

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