Valerio Vagnoli (1952) si è laureato in letteratura italiana moderna e contemporanea con Luigi Baldacci. Dal 1973 al 2007 ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, inclusi gli istituti penitenziari di Firenze. Rimane fondamentale la sua esperienza di maestro nel carcere minorile e nella sezione femminile del carcere di Sollicciano (sembra sia stato il primo docente maschio a ricoprire questo ruolo in Italia) ove peraltro incontrò e lavorò con Antonio Gelardi, già allora un illuminato giovane vicedirettore e in seguito uno dei direttori carcerari più innovatori del nostro Paese. Dal 2007  ha diretto scuole di ogni ordine e indirizzo chiudendo dopo 44 anni la propria attività all'Istituto professionale Saffi di Firenze. E, non a caso, sull'importanza di ricostruire  una autentica formazione professionale nel nostro Paese continua a mantenere  un costante e motivato impegno. Ha fatto parte del “Gruppo di Firenze” e collabora da tempo con quotidiani e riviste.

Recensione a: M. Zappella, Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici e iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione, Feltrinelli, Milano 2021, pp. 176, € 14,00.

Quando il direttore, l’amico Danilo Breschi, mi ha chiesto di recensire questo libro doveva aver immaginato, molto probabilmente sollecitato dalle mie frequenti citazioni tratte da qui e da altre opere del professor Michele Zappella, che si doveva trattare di qualcosa di molto speciale. E aveva visto giusto perché il libro è bellissimo. Davvero. Non a caso, nella mia un po’ caotica biblioteca privata, trova posto nello scaffale che mentre scrivo mi sta di fronte ed è quello a cui faccio costantemente riferimento perché contiene i miei “autori”, i miei punti di riferimento culturali e umani che hanno rappresentato, e che rappresentano, una sorta di conforto e incoraggiamento rispetto a chi, come il sottoscritto, ha rivendicato e ha insegnato quanto sia importante possedere, sempre, una propria autonomia di giudizio.

Tra gli altri meriti del professor Zappella vi è anche quello di essere stato tra i primi, se non il primo, a battersi, già a partire dalla fine degli anni Sessanta, per l’abolizione delle scuole “speciali” e delle classi differenziali, finalmente scomparse del tutto a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Scuole che ospitavano ragazzi “difficili e problematici” in quanto provenienti da contesti di profonda emarginazione e povertà. Da allora molte cose per fortuna sono notevolmente cambiate anche se, come Zappella dimostra, l’inserimento nelle classi “normali” non è avvenuto e continua a non avvenire con le dovute garanzie che i ragazzi “speciali” avrebbero il diritto di avere. Ragazzi “speciali”, denuncia Zappella, il cui numero è tuttavia in continua esponenziale crescita grazie a molte ingiustificate certificazioni. Certificazioni immotivate e non di rado legate a diagnosi sbagliate frutto anche di metodologie legate a test del tutto inadeguati e da tempo superati. Spesso sono le famiglie di ragazzi con qualche problema a richiederle. Così facendo credono di aiutare i loro figli sollevandoli da difficoltà che richiederebbero ben altre strategie e competenze per essere risolte che non la certificazione. Certificazione che è proposta talvolta anche dalle scuole così «le difficoltà del ragazzo finiscono per non riguardare più le insegnanti: ci si sbarazza del problema» e la responsabilità così passerà ad altri. E sulle responsabilità del mondo scolastico Zappella pone costantemente la sua attenzione rendendosi conto come l’inserimento nelle classi “normali” dei ragazzi con problemi si sia risolto in una operazione del tutto demagogica.

Come spesso accade per altri aspetti inerenti la qualità della nostra vita sociale, ci siamo preoccupati di salvare la forma non curandosi per niente della sostanza. Rispetto alle difficoltà e incapacità da parte, e non solo beninteso, della scuola di far fronte alle opportune strategie per risolvere i casi “difficili” che si presentano in classe, ben venga (?) allora l’etichetta: «si seguono le linee guida del Ministero, è un problema genetico, neurobiologico che non la riguarda, può essere un’occasione di dimostrare l’accoglienza della classe nei confronti di un compagno diverso…». Senza contare che la certificazione solleva il mondo scolastico dal dovere fare i conti con ragazzi recuperabili con percorsi didattici che richiederebbero agli insegnanti ben altre competenze che non quelle spesso quasi del tutto inesistenti perfino tra i docenti di sostegno. E così, da tempo, si assiste ad una vera e propria progressiva epidemia di dislessia, discalculia e soprattutto di autismo:

Oggi in molti paesi occidentali i valori di prevalenza sono aumentati in pochi anni di molte decine di volte e questo coincide con l’uso crescente di alcuni test psicologici, ritenuti decisivi per la diagnosi dei Disturbi dello Spettro Autistico. In questa dimensione, molte diagnosi di autismo, basate su questionari o test psicologici strutturati in prove, possono coinvolgere impropriamente e far passare per autistici, bambini che hanno altre difficoltà, come un’ansietà sociale, disturbi del linguaggio, difficoltà nell’uso dei movimenti della bocca per pronunciare parole e frasi e così via.

Ciascuna riflessione, come queste sopra riportate, fa riferimento ad analisi e dati molto puntuali e arricchiti inoltre da schede di approfondimento e da racconti legati alla lunga ed eccezionale esperienza professionale di neuropsichiatra infantile che Zappella continua peraltro a svolgere. Vale la pena di ricordare che anche per quanto concerne lo studio legato ai Disturbi dello Spettro Autistico, Zappella rappresenta un autorevole riferimento a livello internazionale. È professore emerito di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Siena ed è stato inoltre uno dei primi ad occuparsi, in Italia, dei problemi educativi, neurologici e sociali legati al bullismo. E anche di questo si parla nel saggio, così come si analizzano molti problemi legati alla didattica: scrittura in corsivo, tecniche di lettura, uso dello smartphone, autorevolezza docenti, rispetto delle regole e altro ancora.

Realmente penetranti e a tratti perfino commoventi le descrizioni di alcune, anche recentissime, sue esperienze professionali così come lo sono le pagine dedicate ai racconti, anche di carattere storico, delle  condizioni dei ragazzi, di quelli svantaggiati naturalmente, in un passato a volte anche lontano. Un passato da cui emergono esperienze formative e umane di straordinario interesse e di altrettanta straordinaria bellezza. Si vedano i riferimenti all’antica Repubblica di Siena e al ruolo  che in passato ebbero nell’educazione degli “ultimi” (come erano allora gli orfani o i figli di ragazze madri e comunque della povera gente), istituzioni come l’antico ospedale di Santa Maria della Scala o l’Istituto Pendola anch’esso di Siena. Chiuso nel 1980 era stato fondato nel lontano 1828 dal padre scolopio Tommaso Pendola che aveva accolto bambine e bambine sordi, figli naturalmente di diseredati. Bambine e bambini che riuscivano, grazie ad una metodologia adeguata e consolidata nel tempo a recuperare un significativo linguaggio espressivo. Alla sua chiusura, «i ragazzi sordi vennero inseriti nelle classi comuni, con insegnanti di sostegno che non di rado sapevano poco o nulla di pedagogia della sordità. Possiamo immaginare il disagio e il danno per questi ragazzi, figli di persone povere, colpiti proprio da quelle forze politiche che se ne dicevano sostenitrici, ma i cui rappresentanti erano in realtà guidati da rigidi schemi ideologici, che a tutti gli effetti li tenevano lontani dal popolo». E ancora struggente il racconto della Nave degli scugnizzi, un programma di recupero per ragazzini napoletani che vide coinvolte personalità come la figlia di Giovanni Giolitti e la moglie di Francesco Saverio Nitti e l’interesse della stessa Maria Montessori.

In ogni capitolo del libro si percepisce la profonda delusione da parte del prof. Zappella, di una  persona, ricordiamolo, che ha grandissimi meriti per aver fatto cancellare le classi differenziali dal nostro sistema “formativo”, delusione per come la scuola “dell’accoglienza” italiana continui ancora a penalizzare, emarginandoli, per la inadeguatezza delle competenze e delle strutture, proprio come un tempo, gli allievi più svantaggiati; di fatto, impedendo loro di diventare altro rispetto all’etichetta di “diversi” che questa società, per comodità, continua ad appiccicargli ancora addosso.

Da segnalare, oltre naturalmente ai capitoli dedicati agli “autismi”, il capitolo ottavo in cui si ricordano eventi e personalità, in particolare quelle di Eugenio Borgna e di Mario Tobino, che lo hanno maggiormente segnato. Eventi che lo porteranno a scegliere definitivamente la strada della psichiatria infantile. Insieme a questi, le pagine dedicate alle sue esperienze professionali a Londra e a Washington nonché quelle, di pura letteratura, in cui si racconta la sua esperienza di primario dell’ospedale psichiatrico di Volterra e l’incontro, in occasione della celebrazione nel teatro cittadino di un 25 aprile, tra una ricoverata, che si saprà essere stata una importante comandante partigiana, e Umberto Terracini.

Dimenticavo: Bambini con l’etichetta, nello scomparto speciale della mia un po’ caotica libreria era, e lo rimarrà, accanto a Il paese dei Celestini. Istituti di assistenza sotto processo di Bianca Guidetti Serra e Francesco Santamaria (Einaudi 1973). A poca distanza Un volgo disperso. Contadini d’Italia nell’Ottocento, di Adriano Prosperi.

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