Enrico Palma (1995) è dottore di ricerca in Scienze dell'interpretazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania. Nel 2022 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento per la classe di concorso A019 (Filosofia e Storia). Le sue aree di ricerca sono la filosofia teoretica, l’ermeneutica letteraria e i paganesimi antichi. Ha pubblicato saggi e articoli per riviste di filosofia, letteratura e fotografia. Con la cura del volume Psyché. L’anima ha contribuito alla collana del «Corriere della Sera» dedicate a Greco. Lingua, storia e cultura di una grande civiltà  (a cura di M. Centanni e P.B. Cipolla, 2022/2023). È redattore della rivista culturale online «Il Pequod». Ha pubblicato De scriptura. Dolore e salvezza in Proust (Mimesis, 2024).

Recensione a: G. Cuozzo, L’eccezione in immagine. Storia, arte pittorica e cinematografica in Walter Benjamin, Jouvence, Milano 2023, pp. 120, €12,00.

Questo libro di Gianluca Cuozzo, introducendo il lettore in alcuni tra i temi più caldi e discussi degli studi su Benjamin, suggerisce in realtà un tipo molto particolare di appropriazione storica che, consapevole di tutta la ricchezza, dirompenza e suggestione del pensiero benjaminiano, rilancia la riflessione sul passato per cogliere fin nel profondo le sfide che il presente pone dinanzi alle nostre scelte politiche, sociali e ambientali aggettanti sul futuro. Attraverso le tre idee di storia, arte e cinema, e degli esempi più o meno benjaminiani tratti da ciascuna di essa, nonché ricorrendo come discrimine al concetto schmittiano di stato di eccezione, l’autore propone da un lato una possibilità interpretativa riguardo alcuni dei nodi più difficili e ancora irrisolti dell’opera del pensatore berlinese, e dall’altro una rielaborazione originale e feconda, non manchevole del necessario risvolto applicativo sulla prassi e sulla vita che la filosofia benjaminana invita a concretizzare.

Seguiamo allora le chiare intenzioni di Cuozzo, espresse in modo altrettanto limpido: «Ora, è mia convinzione che questa riflessione benjaminiana, intrisa di pessimismo storico (sulla scorta di quel “malismus” tipico delle Weltgeschichtliche Betrachtungen di Jacob Burckhardt, quale “riconoscimento, storicamente attestato, della presenza del male nell’ambivalenza morale dell’esperienza umana”) ma aperta al novum (sebbene presente sotto forma di “scheggia messianica”), tocchi anche l’urgenza della nostra situazione presente, in preda a molte incertezze e di prospettive piuttosto fosche: tra i vari elementi di insecuritas non posso non ricordare il tema dell’esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili, di una sanguinosa guerra in Europa (e della relativa minaccia atomica) e quello dell’emergenza climatica, che stanno ridisegnando il nostro destino in modo radicale, ponendoci al cospetto di compiti inediti rispetto a cui siamo quasi del tutto impreparati» (p. 25).

La riflessione di Cuozzo si muove, per così dire, sul crinale storia-teologia che molto ha dato da parlare agli esperti di Benjamin, soprattutto in considerazione del vero e proprio rompicapo critico considerato giustamente dall’autore come il sottotesto delle Tesi sul concetto di storia di vent’anni successive, il Frammento teologico-politico. Le tematiche sollevate dal Frammento, nel modo criptico ed enigmatico in cui sono esposte, sarebbero anzi state assorbite e rese più chiare nelle Tesi, coagulate nella figura dell’Engel der Geschichte in cui profano e messianico, storia e redenzione, sarebbero riuniti nello sguardo contemplativo del presente, attraverso il quale distruzione e nichilismo divengono in realtà la prima manifestazione del Messia come annunciatore di un nuovo ordine mondano.

L’indicazione hegeliana (nel senso dell’astuzia della ragione) e, più segnatamente, vichiana che propone Cuozzo è premiante, poiché consente di intendere i due piani mondano e messianico come due realtà parallele che si incontrano nel segno della sospensione distruttrice della violenza politica (altrimenti detto lo stato d’eccezione) e l’instaurazione di una configurazione più confacente agli oppressi. Il messianico, in quest’ottica, sarebbe dunque l’energia che pervade la storia e che la conduce al suo tramonto, laddove, una volta distrutto l’ordine che fin lì l’ha contraddistinta, può, provando a esprimere questo concetto con un ossimoro che ne illustra la dinamica, finalmente ricominciare, ma redenta.

Rispetto a ciò, si può quindi dire dapprima che «la natura (s’intenda qui anche la storia) è messianica solo in virtù di questo “eterno trapassare” (indirettamente, dunque), in cui solo si dà la vera condizione della felicità come fenomeno eminentemente transitorio ed effimero (per meglio dire, si tratta di una felicità resa possibile dal far tabula rasa di tutte le condizioni storiche a cui la politica, nel suo agire intramondano, si vincola, di fatto compromettendosi con lo status quo nel suo tendere alla realizzazione del paradiso in hoc saeculo)» (p. 35), e in seguito che, come corona da apporre a questo ragionamento, il progresso, per Benjamin la bufera che spira dal paradiso e che si impiglia nelle ali dell’Angelo tenendogliele spalancate, è necessario latore di quella distruzione su cui solamente, come una pars construens, si può erigere una storia e quindi un futuro redento, un rovesciamento dialettico attraverso il quale si converte «la tenebra in luce, la sciagura nella salvazione dei fenomeni» (p. 45).

L’ordine del profano, il regno mondano degli uomini, non ha come fine, e questo Benjamin lo afferma apertis verbis, il regno di Dio, verso il quale la storia provvidenzialmente organizzata condurrebbe, bensì la distruzione. Difatti, con quella che con tutta probabilità è un’invenzione originale di Benjamin, lo Sturm, il vento del progresso che accumula macerie al suo passaggio, è l’inveramento di quel tramonto necessario al Profano per giungere alla felicità del cambiamento, alla redenzione come annullamento di ciò che era per l’instaurarsi, o per meglio per il restituirsi, dell’integro.

Mutuando il lessico da Schmitt, dal cui confronto con Benjamin Cuozzo inizia le sue riflessioni, e considerando l’ineludibile Jetztzeit dell’avvento messianico, di questa distruzione che insieme ripara e riformula nella vertigine di un tempo che è tutt’altro che essere un compimento, tutto ciò può allora essere descritto in questi termini: «Lo stato di eccezione autentico, per Benjamin, è questo esercizio di nichilismo messianico, anarchico e distruttivo, cui siamo richiamati per far fronte a una situazione urgente – di massimo pericolo – corrispondendo a essa con una soluzione del tutto nuova, ossia con l’acquisizione di un punto archimedico in discontinuità rispetto a ogni norma pregressa» (pp. 55-57). Riflessioni rispetto alle quali, infine, il Messia si pone come una «figura soteriologica che non è da intendersi come il compimento della storia (uno sviluppo naturale e lineare di alcune virtualità in essa già presenti), bensì – allegoricamente – come la sua fine/interruzione» (p. 56). Lo scenario che, a questo punto, Benjamin prospetterebbe è l’esatto opposto dell’inerzia inamovibile del sovrano barocco: si tratta di un Ausnahmezustand in cui si rompe l’unità tra diritto e violenza, tecnica e sfruttamento, «in vista di uno spazio umano del tutto nuovo (regno di Dio), i cui tratti sono tanto messianici quanto politicamente anarchici» (p. 61).

Più in generale, potremmo esprimere l’assetto teoretico del mondo secondo Benjamin ricorrendo al concetto di concomitanza, per cui il Profano e il Messianico sono concomitanti l’uno rispetto all’altro e l’occasione del loro incontro, dell’avverarsi dell’entrata del Messia nel mondo, è concomitante alla preparazione a cui ci si appresta rispetto a un suo possibile accadere, verificabile in qualsiasi momento: «Infatti, l’ora di questo accadimento è l’ora di ogni momento, che fa riferimento a un presente di tempo non di ordine cronologico, attimo scontornato e cristallino (come quello della resurrezione) in cui occorre essere pronti all’intervento messianico: “perché ogni singolo istante può essere l’adesso della sua venuta”» (p. 67).

La riflessione di Cuozzo prosegue con l’analisi di alcune immagini, direttamente o solo accostabili a Benjamin, in cui il pensiero del filosofo berlinese si acutizza, trova la sua espressione plastica nel raggrumarsi del pensiero stesso nell’opera d’arte, più segnatamente nel Denkbild. La Santa Cecilia di Raffaello, la Resurrezione di Grünewald, la Melancholia di Dürer o il Settimo Sigillo di Bergman sono alcuni degli esempi più nitidi a partire dai quali, secondo l’acuta osservazione di Cuozzo, si possono trovare al contempo sintesi e diramazioni della filosofia di Benjamin. Il lavoro dell’artista è molto simile per certi aspetti allo storico da lui concettualizzato, il quale, spazzando la storia contropelo, allo stesso tempo ne individua e raccoglie i frammenti per redimerli, per concedere loro l’attimo della redenzione. Ad esempio il cinema, l’istante cinematografico, ha questo funzione, tale facoltà, di raccogliere ciò che è sparso e di raffigurare la famosa Dialektik im Stillstand, che per Benjamin corrisponde alla dinamica storica della salvezza e del comparire della chance. È significativo allora individuare tutto questo nel grande film di Bergman, in cui il cavaliere, prendendo del tempo in più alla propria morte dalla Morte in persona, lo impiega per beneficare l’alterità sofferente e in disagio. Lo stato d’eccezione si declina allora plasticamente come lo spazio e il tempo in cui la salvezza può accadere, il Messia entrare nell’agone della storia: «Qui a essere sospeso, infatti, è il tempo della distruzione, sollevato dal suo incedere casuale e necessitante da uno stato d’eccezione che, di fatto, permette l’emergere del novum (la salvezza) – o, se non altro, la speranza in esso» (p. 95).

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