Tania Naomi Sportiello (1996) è laureata in Lettere e sta per conseguire la laurea magistrale in Filologia Moderna presso l'Università degli studi di Catania. Nel corso dei suoi studi ha incentrato i suoi interessi soprattutto in ambito storico discutendo una tesi sperimentale su Cosimo De Medici Il Vecchio e nel mondo greco-latino tramite la partecipazione a svariati seminari e convegni.
Recensone a: Il gladiatore II, regia di Ridley Scott, interpretato da Paul Mescal, Pedro Pascal, Connie Nielsen, Denzel Washington, Joseph Quinn e Fred Hechinge.
Sono settimane che fa parlare di sè. Ventiquattro anni dopo Ridley Scott ci regala un sequel degno erede del suo primo capolavoro. Da quando è uscito il botteghino è stato preso d’assalto (attualmente al settimo posto del box office); tra aspettative e curiosità un po’ tutti siamo stati attratti in questo vortice di romanità, passatemi il termine. Ancora una volta Scott ha scelto Roma antica come protagonista del suo film, ambientandolo durante l’impero di Caracalla e Geta; non dimentichiamo infatti che il prequel era ambientato nella Roma di Marco Aurelio e Commodo. Inutile dire come il grande cineasta abbia fatto discutere delle sue scelte, tra critiche e consenso, non si può di certo negare che Ridley Scott abbia cercato di creare ancora una volta un capolavoro, se ci è riuscito? Io direi di sì ma ad una condizione: pur essendo un sequel ha una sua identità e non va del tutto assimilato al Gladiatore I. Noi spettatori non dovremmo guardarlo con le aspettative di chi “pretende” un film all’altezza del primo o che anzi lo superi.
Scott ha scelto con non poca maestria i suoi attori principali: Paul Mescal protagonista nei panni di Annone che dopo la conquista della Numidia viene portato a Roma come schiavo barbaro, Denzel Washington ha interpretato Macrino e Pedro Pascal, alias il generale Acacio. Loro tre fra tutti si sono distinti non tanto per il ruolo che hanno ricoperto quanto per la grande capacità di interpretazione e di rivestire i panni dei rispettivi personaggi. Annone, figlio del grande Massimo Decimo Meridio, rivestirà nel film le stesse vesti del padre, a differenza di Maximus emblema del classico eroe romantico, Annone ha delle caratteristiche che rendono il suo eroismo quasi dannato; mosso da thumos, la sua forza deriva dalla sua rabbia e dalla sua ira, sentimenti che non lo abbandonano quasi mai, causa ne sono la perdita e l’abbandono. Paul Mescal nei panni di Annone/ Lucio Vero ricoprirà lo stesso ruolo di Russel Crowe in Massimo Decimo Meridio. Impresa ardua per Mescal non deludere le aspettative visto che il suo predecessore è uno dei migliori attori al mondo (a detta dello stesso Scott), il suo background teatrale lo ha senza dubbio facilitato nella sua interpretazione. Ma come ho già detto, per apprezzare al massimo il film e le interpretazioni dei suoi attori è opportuno non creare un continuo confronto con il prequel. L’attore premio Oscar Denzel Washington si impone con carisma facendo emergere la sete di potere e l’interesse politico che hanno logorato la figura di Macrino con il suo unico scopo di prendere il potere a qualsiasi costo, è proprio lui a notare la forza di Annone iniziandolo al gladio «quella rabbia è il tuo dono, non la reprimere perché sarà quella a portarti alla grandezza». Pedro Pascal è stato capace di toccare gli spettatori per l’umanità del generale Acacio, per la sua voglia di realizzare il sogno di Roma, voluto fortemente da Marco Aurelio, era un sogno fragile ma ricco di speranza, per i suoi ideali si è con coraggio schierato contro gli imperatori Caracalla e Geta tramando contro loro a costo della vita perché voleva restituire il potere al senato. I due imperatori ci sono stati presentati quasi come una caricatura, a fare da contraltare la loro sete di sangue. Per quanto Joseph Quinn sia perfettamente entrato nella parte dell’imperatore Geta devo ammettere che è piuttosto difficile reggere il paragone con Joaquin Phoenix nei panni di Commodo nel primo film.
Un accenno va fatto alla scelta del regista di “modernizzare” i combattimenti al Colosseo introducendo animali come gli squali durante le battaglie navali o degli animali simili a rinoceronti durante i combattimenti, scelta per cui è stato parecchio criticato per aver snaturato la storicità dei fatti. A mio avviso trattandosi di un film che potremmo collocare a metà tra genere storico e fantasy/azione e avendo ben chiare le peculiarità del modo di operare di Scott, che non si caratterizza di certo per verosimiglianza storica, è del tutto normale che lui abbia voluto intraprendere delle scelte di stile che non hanno come priorità la storicità di ciò che narra. Ad ogni modo, se andiamo ad interrogare le fonti del passato nel Colosseo, o forse dovrei dire Anfiteatro Flavio, era parecchio diffusa la pratica della venatio, ossia adoperare animali esotici durante i combattimenti. Infatti, durante il film non sono mancati riferimenti agli autori classici, cito ad esempio i versi virgiliani che Annone rivolge all’imperatore: «Facile discernere nell’Averno, giorno e notte la porta di Dite è aperta e facile è la via ma risalire i gradini e rivedere il cielo, questa è la fatica, questa è l’impresa». Questi versi dell’Eneide virgiliana risultano significativi perché è proprio tramite essi quando si trova in platea che Lucilla, figlia di Marco Aurelio, riconosce in Annone suo figlio Lucio Vero che aveva mandato via da Roma dopo la morte di Massimo, oltre al fatto che rendono perfettamente il senso di caducità dell’essere umano.
Il momento dell’agnizione del figlio affiancato al flashback della morte di Maximus innalza il livello di emotività del film. Connie Nielsen nei panni di Lucilla spicca per la drammatizzazione della figura materna; in un primo momento assistiamo al rifiuto dettato dalla rabbia da parte di Annone da ora Lucio, uno dei momenti più alti del film è quando Lucilla si congeda da Lucio dicendogli: «se non vuoi l’amore di tua madre, allora prendi la forza di tuo padre, ne hai bisogno. Il suo nome era Massimo Decimo Meridio e io lo vedo in te». Lucio riesce a perdonare la madre per averlo abbandonato, a contraccambiare il suo affetto nonostante la sua anima sia martoriata dal dolore per la perdita della moglie rimasta uccisa in battaglia a causa di Acacio, in ciò possiamo notare il destino simile riservato al Gladiatore I per l’uccisione di moglie e figlio. Sono piuttosto frequenti i flashback che creano un legame tra il sequel e il prequel, scelta azzeccata visto l’effetto emozionale che ne scaturisce grazie a Now We are free di Zimmer, ora arrangiata dal suo allievo Harry Gregson-Williams; la colonna sonora riecheggia carica di quel passato glorioso e al tempo stesso nostalgico, un passato ricco di valori di giustizia, forza e coraggio, tutti elementi che ritroviamo anche nel Gladiatore II.
Si ripete come in molti film del regista la netta distinzione fra vincitori e vinti quasi come fosse una metafora che la vita va vissuta, a tratti combattuta. Scott ha girato il film a Malta e in Marocco e insieme allo sceneggiatore David Scarpa hanno sapientemente usato immagini e inquadrature creando un prodotto di grandezza scenica non indifferente, riuscendo a coinvolgere lo spettatore catturando l’attenzione per tutta la durata del film; non solo non ci si annoia a guardarlo ma è quasi impossibile distrarsi. Ogni inquadratura è stata curata nei minimi dettagli, non lasciando nulla al caso, si prospettano infatti diverse candidature agli oscar. Il gladiatore II è già candidato al Golden Globe per il miglior risultato al box office, e Denzel Washington è candidato come miglior attore non protagonista. Non credo di fare un azzardo definendo potente e accattivante questo film, ha conquistato un po’ tutti ed era inevitabile visto che portava sulle spalle il peso della grandezza del primo film, un film che racchiudeva un sogno, il sogno di Roma:
Un ideale, una città per molti e un rifugio per chi ne ha bisogno. Una casa per cui vale la pena combattere, una casa per cui mio padre ha perso la vita. Quel sogno è perduto, ma vogliamo ricostruirlo insieme.