Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia.È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.

Recensione a: F. Camilletti, Spettri familiari. Letteratura e metapsichica nel secondo Novecento italiano, Unicopli, Milano 2024, pp. 230, € 19,00.

Sarebbe assolutamente riduttivo “confinare” i romanzi, i racconti e gli altri scritti di cui si occupa Fabio Camilletti in questa raccolta di saggi nel campo, pur significativo, della “letteratura fantastica”. Tutti i testi esaminati si occupano di spettri, apparizioni, occultismo e sedute spiritiche senza dubbio, ma rimandano a questioni più ampie, che riguardano la storia delle idee e la storia culturale dell’Italia del Novecento.

Particolarità di questo volume, poi, è il fatto di concentrarsi non sul periodo d’oro dello spiritismo in Italia, cioè fra il 1880 e il 1920, della sua diffusione nella cultura di massa, sulla stampa, ma anche fra intellettuali e scienziati, ma nella seconda metà del Novecento, nel lungo dopoguerra e negli anni del boom. Nel secondo dopoguerra,

la scena spiritica è ormai una realtà diasporica e provinciale, frammentata in piccole cerchie – isolate e spesso ostili tra loro – e incapace di alcuna incisività sulla cultura circostante. Le sedute sono ormai, il più delle volte, pratiche casalinghe, strutturate secondo protocolli standardizzati e incentrate sui messaggi di vicinanza e conforto che giungono dalle entità disincarnate: una medianità a “effetti intellettivi” che ha relegato nel gabinetto delle anticaglie gli spettacolari “effetti fisici” dei medium di inizio secolo – rumori, musiche, mobili spostati con violenza, venti freddi, colpi sferrati da mani invisibili. E tuttavia, fra anni Cinquanta e anni Sessanta, lo spiritismo d’antan inizia a riprendersi gradatamente la scena (p. 146).

E ciò anche grazie ad autori come Dino Buzzati, Giorgio Vigolo Eduardo De Filippo, ma anche Giorgio Bassani, Ernesto De Martino e Federico Fellini, che sono i protagonisti di analisi che hanno il merito di mostrare quanto, allora, non fosse più davvero in questione la realtà di fantasmi e sedute spiritiche, ma il loro significato simbolico e la loro valenza euristica. La credenza (più o meno sincera) nel fatto che i morti tornino dall’aldilà per comunicare con noi, semmai attraverso il movimento “spontaneo” di una tavoletta ouija o di un bicchiere di vetro su un tavolino, non rappresenta – sia per la cultura alta sia per quella popolare – soltanto una sopravvivenza del pensiero magico, ma anche un modo per comunicare, in modo diretto, cose che non riescono ad esprimere direttamente:

Si comprende meglio, allora, la funzione strutturale della ouija in un romanzo come Il giardino dei Finzi-Contini, nel quale l’esattezza delle risposte del “bicchierino” non fa virare la narrazione verso i territori del “fantastico” più di quanto accada, per dire, col palazzo napoletano di Eduardo e le dicerie che lo circondano: ma nel quale – ancora, esattamente come in Questi fantasmi! – la spettralità ha comunque funzione diegetica, consentendo l’enunciazione di quanto i personaggi non hanno il coraggio di dichiarare nemmeno a sé stessi. Perché questo è la ouija, un giocattolo che però, inquietantemente, funziona: e che parla, e spesso coglie nel segno, per quanto tenda a parlare in modo criptico, a volte interpretabile solamente a posteriori (p. 204).

Un altro aspetto che ritorna in diverse narrazioni è l’ambiguità: nessuno riesce davvero a capire – e, alla fin fine, per ciò che dicevamo prima, non è poi davvero importante capirlo – se i fantasmi appaiano veramente o no. Prendiamo il caso esemplare di Questi fantasmi! di Eduardo De Filippo, il quale, introducendo la versione televisiva della commedia nel 1962 seppe condensare in poche parole tutto questo: «Io dico che i fantasmi siamo noi, lo siamo quando non vogliamo credere che una realtà ci annienta, anzi ci schiaccia […]. I fantasmi li vede chi ci crede» (p. 92). La letteratura del dopoguerra, assieme ad altre forme artistiche (in primis il cinema) ha fatto riemergere ciò che era sempre rimasto sotto traccia (credenze, paure, illusioni) e che aveva segnato profondamente l’immaginario delle generazioni precedenti: così, proprio in Questi fantasmi! Ritorna la fede negli spiriti (benigni o dispettosi), manifestando, tramite essi, una vera e propria “crisi della presenza”. E proprio per dirla con De Martino, in fin dei conti l’importante non è credere nei fantasmi, ma prendere sul serio chi ci crede.

D’altra parte, ciò che è rimasto vivo anche nell’Italia modernizzata e tecnologizzata degli anni Sessanta e e poi oltre, è stato un bisogno mai risolto di sentirsi al di là dell’ordinario, di sconfinare e, forse, di essere illusi. In questo senso, i racconti di Giorgio Vigolo, ambientati in una Roma fuori del tempo e di ogni tempo, danno perfettamente l’idea di cosa significhi scoprire lo straordinario mimetizzato e confuso nel quotidiano. Il perturbante, per dirla con Freud, è proprio nella scoperta, apparentemente fortuita, di una porta verso l’ultra-mondano, che è prossima ma invisibile. È un’atmosfera di fusione fra l’aldiqua e l’aldilà, che molti ricorderanno ad esempio rappresentata in un vecchio sceneggiato RAI, Il segno del comando (1971).

Questo bel volume può rappresentare senza dubbio uno spunto per nuove indagini sulla cultura popolare italiana (rifacendosi, ad esempio, agi studi di Cesare Bermani), sulla presenza in essa di ciò che viene generalmente considerato come marginale e, tutto sommato, insignificante, come appunto le superstizioni, la magia e l’occulto: qualche anno fa, ad esempio, imperversava la moda ufologica, mentre oggi la rete veicola soprattutto una pseudo-cultura del sospetto fatta di false news. L’importante è riconoscere i meccanismi che sono alla base della diffusione di queste idee, ma saper anche cogliere il significato profondo di esse, al di là degli aspetti più folcloristici e pittoreschi

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